Boe segnasub, un anno dopo
Uno scorcio dell’Isola d’Elba
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A distanza di tredici mesi torniamo a parlare di boe segnasub, cercando di approfondire il discorso iniziato nell’editoriale “Una boa, tanti problemi”. In tale articolo abbiamo evidenziato le carenze e le contraddizioni di una normativa incompleta ed iniqua, che nel tentativo di dettare norme mirate alla tutela dell’incolumità del subacqueo in immersione finisce per ottenere l’unico risultato di salassarlo in caso di una sua mancanza, senza proteggerlo dal reale pericolo, rappresentato dalle eliche delle imbarcazioni. L”articolo 130 DPR 1639/68 impone al subacqueo di segnalarsi con una bandiera rossa con striscia diagonale bianca visibile a non meno di trecento metri, posta sul galleggiante (boa, plancetta, etc..) oppure sul mezzo nautico d’appoggio che accompagna il subacqueo. Ogni violazione dell’art. 130 da parte del sub viene punita con una sanzione amministrativa da 516 a 3098 euro (misura ridotta: 1024 euro) ma, cosa veramente singolare, non esiste una norma corrispondente che imponga ai diportisti una distanza di rispetto dalla bandiera e che preveda sanzioni per chi si avvicina troppo al segnale di uomo immerso mettendo a repentaglio l’incolumità del sub.
Riprendiamo il discorso per analizzare le possibili soluzioni a breve e lungo termine. La soluzione ideale sarebbe una modifica della normativa nazionale, valida su tutto il territorio. In particolare, l’articolo 130 potrebbe essere modificato in più punti:
1) Dove prevede che la bandiera debba essere visibile a non meno di trecento metri senza dettare misure regolamentari ben precise e valide indipendentemente dalle condizioni meteo marine;
2) Dove non chiarisce in modo inequivocabile come ci si debba comportare nel caso in cui, ancorato il gommone, ci si allontani a pinne con pallone al seguito;
3) Dove prevede una sanzione così elevata per il sub;
4) Dove non prevede che le imbarcazioni debbano transitare ad una distanza ben superiore di 50 metri dalla boa/bandiera segnasub, sanzionando in modo adeguato il mancato rispetto dell’obbligo.
Senza entrare nel dettaglio delle modifiche, tutto sommato abbastanza intuitive, sarà bene chiarire che una rivisitazione del DPR 1639/68 difficilmente potrà avvenire in tempi brevi e che, in ogni caso, sarebbe auspicabile un intervento di portata più ampia che non si limiti a risolvere solo il problema delle boe segnasub. Nonostante i vari interventi di modifica che si sono avuti negli anni ottanta, infatti, la legge 963/65 e il DPR 1639/68 restano due corpi normativi non certo attuali e per giunta frutto di una tecnica legislativa poco convincente, che a tratti genera situazioni di vera e propria ingiustizia anche al di là dell’articolo 130.
Il problema della sicurezza di chi si immerge tanto in apnea quanto con ARA riguarda valori supremi come la vita e l’incolumità degli individui e per questo motivo dobbiamo rivolgere la nostra attenzione alle possibili soluzione “tampone”, che possano almeno “limitare i danni” in attesa dell’auspicabile intervento normativo. Un’analisi del panorama delle norme contenute nelle Ordinanze dell’Autorità Marittima vigenti sul territorio nazionale si rivela decisamente interessante ed indica una via ben precisa: l’intervento delle Capitanerie di Porto. Leggendo il documento “Mare Sicuro 2002”, visibile sul sito del Comando generale delle Capitanerie di Porto, ci si rende conto di quanto l’Autorità Marittima abbia a cuore questo problema: nella sezione dedicata alla sicurezza della navigazione, si raccomanda ai diportisti di “fare attenzione ai galleggianti dei subacquei […] moderando la velocità e navigando a più di cinquanta metri di distanza”. Ma a ben guardare, alcune Capitanerie hanno fatto molto di più: hanno imposto ai diportisti di mantenere la distanza di sicurezza con Ordinanza. Facciamo un paio d’esempi pratici.
Nel Circondario Marittimo di Oristano, l’articolo 30 dell’ Ordinanza 08/2002 (Regolamento recante norme per la Disciplina delle attività diportistiche e dell’attività di locazione e noleggio di natanti da diporto nell’ambito del Circondario Marittimo di Oristano) recita: “Salvo che non siano disciplinate più restrittive limitazioni da parte di altre disposizioni, a tutte le unità da diporto è comunque vietato [……] avvicinarsi a meno di 100 (cento) metri da galleggianti, boe, gavitelli e simili, sormontati o meno da segnali prescritti dalle norme sulla pesca marittima, in quanto questi possono significare la presenza di impedimenti, reti, parangali, ovvero di subacquei in immersione”.
Altrettanto esplicito l’articolo 1 punto 3 dell’ Ordinanza Balneare 2002 della Capitaneria di Porto di La Spezia: “Chiunque compia attività subacquea è obbligato a segnalare la propria presenza con appositi palloni o segnali (bandiera rossa con banda trasversale bianca) issati su unità navali. E’ in ogni caso vietata la navigazione ed il transito a meno di 60 (sessanta) metri da tali segnalazioni”.
Se il Ministero o lo stesso Comando Generale delle Capitanerie di Porto disponessero l’inserimento di una norma analoga, ad esempio, in tutte le Ordinanze Balneari, si farebbe certamente un buon passo avanti. Certo, inutile illudersi che una semplice norma con minaccia di sanzione possa cancellare il triste fenomeno dei subacquei investiti dai natanti, ma almeno si porrebbe rimedio ad una situazione normativa inaccettabile. Considerando che gli Italiani sono in genere abbastanza sensibili quando si tocca loro il portafogli, una previsione del genere unita all’opera di informazione – che in parte già si sta facendo – potrebbe senz’altro costituire un consistente passo avanti in direzione di una maggiore tutela di tutti gli amanti delle immersioni, pescatori e non.
Apnea Magazine ha coinvolto altri siti, associazioni e mailing list nella promozione di questa soluzione: dopo una serie di contatti telefonici con il Comando Generale delle Capitanerie di Porto, abbiamo inviato al suo Ufficio Relazioni Esterne una richiesta formale, che pubblichiamo integralmente nella sezione Normativa.
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Category: Editoriali