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Video Pescasub: Aneddoti e…cernie (parte 1)

| 13 Novembre 2014 | 0 Comments
Le Collaborazioni di Apnea Magazine

Nasce dalla collaborazione con Fabio Bertuccio (istruttore FIPSAS di pesca in apnea, di apnea e allenatore di apnea indoor) un nuovo format editoriale dal titolo “Aneddoti e…” che si propone di analizzare comportamenti e metodologie di cattura di vari pesci, presentando degli interessanti aneddoti di pesca, accompagnati dalla clip video a compendio visivo/didattico di quanto le parole non riescono a raccontare con la stessa intensità della video ripresa in solitaria, facendo completamente immedesimare il lettore nell’azione di caccia, quasi la stesse compiendo in prima persona…buona lettura e a presto per nuovi episodi! 

 

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Una grossa cernia è a pagliolo (foto F. Bertuccio)

La grande Cernia Bruna, croce e delizia di numerosi appassionati, ha rappresentato la “tesi di laurea” del pescatore subacqueo dagli albori della disciplina fino a circa un ventennio fa. Nonostante abbia, col tempo, perso appeal a favore dei pelagici – anche in conseguenza dell’avvento e della diffusione dei fucili lunghi e delle tecniche di caccia in acqua libera – resta ancor oggi, specie in riferimento ai pesci più smaliziati e di taglia, una preda ambita, che costringe spesso il pescatore a mettere in campo tutto il proprio potenziale tecnico, tattico ed atletico per portare la cattura a compimento.

L’impegno richiesto per catturare i serranidi più difficili, ne rende la pesca ben più pericolosa di quella al pesce bianco in medio e basso fondo, per cui essi vengono generalmente catalogati e a ragione, come prede “per esperti”, nel senso che occorre esperienza, allenamento e grandissima conoscenza delle proprie possibilità per tentarne la cattura, mantenendosi entro margini accettabili di sicurezza, ossia nel rispetto di quella condizione imprescindibile che deve caratterizzare ogni azione e pensiero del pescatore subacqueo veramente esperto.

Sicurezza, urge a ricordarlo, significa anche e soprattutto saper rinunciare in un attimo alla preda desiderata quando questa diventa troppo pericolosa per le proprie possibilità, e tornare in superficie sempre con una buona scorta d’aria di riserva.
 Sicurezza, nella pesca alla cernia, significa pesca in coppia (uno sul fondo e l’altro sulla verticale in superficie), un sistema che in questa pesca si rivela spesso strategico e consente di portare a casa pesci che magari si sarebbero persi o avrebbero richiesto molto più tempo e fatica, cioè pericolo, qualora si fosse stati da soli a doverli estrarre.

A proposito di pesca in coppia…

Primi di luglio 2014: l’acqua ha tardato a scaldarsi rispetto agli anni passati e le condizioni subacquee sono ancora quelle tipiche del mese di giugno, col termoclino sui 20-22m ed una temperatura che obbliga ad indossare una giacca pesante e troppi chili di piombo in vita per i miei gusti…
Mi trovo su una secca al largo, è un agglomerato di massoni tipico dell’arcipelago eoliano e c’è una discreta corrente; habitat e condizioni ideali per insidiare le cernie!

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La cernia di muso al termine dell’agguato (foto F.Bertuccio)

Durante un aspetto alla profondità di 21m vengo attratto da un branco di grosse occhiate, ci sono pesci che sfiorano il chilo di peso, che stranamente non si avvicinano ma puntano verso il fondo, ad una ventina di metri dal mio appostamento, e cominciano ad entrare e uscire da una serie di anfratti che sono gli interstizi tra dei massi accatastati un po’ più grandi di quelli nelle immediate vicinanze.
 Da uno degli spacchi vedo uscire una cernia, forse attratta dal carosello di occhiate o per chissà quale altro motivo, che si piazza controcorrente col muso all’insù, in mezzo a tutti quei pesci che, incuranti, continuano il proprio via vai. 
L’aria è agli sgoccioli, il pesce è lontano, devo risalire con calma e pianificare un avvicinamento.
 A galla, dopo un buon recupero ed un’accurata preparazione, stabilisco che il modo migliore per intercettare quel pesce è una planata di ricerca che preferirei concludere con un tiro in caduta; il fondo infatti non si vede, non ho pedagnato e la corrente è sostenuta.

A metà della planata localizzo il serranide, mi avvicino lentamente con una caduta diagonale, cercando di muovere il meno possibile le pinne, tenendo una posizione quanto più composta possibile (è bene che il pesce veda soltanto una sorta di ellisse all’interno della quale sta la testa del pescatore, il fucile già puntato e nient’altro, le pinne non devono sporgere da questa figura) con la testa bassa e guardandola con la coda dell’occhio (sguardo e traiettoria troppo diretti spaventano la cernia). A circa tre metri dal bersaglio sparo, ma la cernia, che avevo mirato di muso, scatta contemporaneamente al colpo e la trafiggo lateralmente.
 Come un fulmine il pesce parte verso la tana e non riesco a contenerne i primi metri di fuga, il nylon mi sfugge di mano e riesce a portarsi dentro il cunicolo l’asta e qualche metro di sagola: mannaggia!

Risalgo tenendo il filo in tensione e “pregando”, non voglio lavorare troppo a lungo per stanarla.
 Ad aspettarmi a galla c’è Enzo che mi passa la boa con cui metto in trazione la cernia mentre gli spiego l’accaduto. Stabiliamo che scenderà lui per cercare di capire come si è arroccato il pesce. Il tuffo è rapido, in superficie mi racconta di aver visto una coda in fondo ad un buco, quindi scendo anche io a controllare. Entro un po’ e vedo chiaramente il pesce “a specchio” (cioè di fianco), completamente visibile e bloccato dalla trazione della boa.
 Chiarisco ad Enzo com’è messa e al tuffo seguente la fulmina, a me non resta che fare un’ultima discesa per tagliare il nylon del primo colpo, estrarla e risalire facendo filare il nylon del secondo fucile per un comodo e sicuro recupero dalla superficie. 
E’ un pesce di 7 kg, una taglia che comprende pesci forti ma al contempo ancora molto veloci ed agili, e magari sono state proprio queste caratteristiche ad averle permesso di girarsi al momento del tiro, impedendomi di colpirla di muso e risolvere la cattura con un unico tuffo.

Catania, primi di settembre 2014: l’acqua è caldissima in superficie ma purtroppo abbastanza torbida.
 La cernia è un pesce stanziale, per cui fondamentale è conoscerne la tana abituale, solitamente inespugnabile, e quelle di caccia molto più accessibili; ma altrettanto fondamentale è conoscere ciò che sta fuori da questi rifugi, perchè il pesce può sostare nelle vicinanze magari in un cono d’ombra per cacciare, oppure su una macchia di sabbia intenta a digerire  e consentire al pescatore in apnea qualche chance di cattura in più.

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L’istante prima del tiro (foto F.Bertuccio)

Cerco sempre di colpire questo pesce prima che si intani per due motivi: 1) quesi sempre, se la tana in questione è quella principale, il pesce scompare definitivamente, trovarne uno che si giri a guardare verso l’imboccatura dopo essersi intanato è sempre più una chimera; 2) anche se si potesse colpire in tana, c’è sempre il rischio concreto che se non la si fulmina o comunque la si prenda di muso, si vada ad arroccare costringendoci a lunghi, stressanti e pericolosi lavori per l’estrazione.

Fatte queste valutazioni, mi dirigo su una risalita rocciosa piuttosto al largo, un blocco lavico molto fessurato (a Catania questi luoghi sono chiamati “praghe”) sui 20m, che alla base, attorno ai 27 m, presenta una tana di cernie. Il mio obiettivo però non è quello di puntare sulla tana, bensì di scendere sul cappello, coperto alla vista del potenziale pesce, e poi fare un agguato (la caduta, coi pesci del catanese è ormai sempre meno redditizia) strisciando fino al bordo della risalita, per affacciarmi, infine, sui due versanti perchè, in uno o nell’altro, quando va bene, capita di trovare una cernia acquattata, 7 m più giù.

Mi preparo bene, l’agguato, in profondità, è forse la tecnica più pericolosa in assoluto perchè, essendo dinamica, comporta grandi consumi di ossigeno. Cerco di scendere il più silenziosamente possibile, striscio a pinne ferme per qualche metro sul cappello ma, affacciatomi con circospezione sul primo versante, quello roccioso ed in cui ho visto e preso più cernie, rimango deluso: niente vita! Mi affaccio allora sul secondo, un canalone sabbioso, ed ecco un pesce di 5 kg che solleva per un attimo il muso verso di me, con sorpresa lo centro e cerco di staccarlo rapidamente dal fondo per qualche metro; il gas della vescica natatoria, espandendosi velocemente, impedisce al pesce di ridiscendere e magari intanarsi, poi filo il sagolino del mulinello e raggiungo la superficie, da cui posso ultimare il recupero con comodità e sicurezza.

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