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Gomme dell’arbalete: una frustata nel blu

| 2 Ottobre 2009 | 0 Comments

La materia prima, distinzione tra lattice naturale e di sintesi, processi di trasformazione.

Gli elastici che scagliano le aste dei nostri arbalete veloci verso i pesci, sono il motore del nostro strumento da pesca; si presentano come dei semplici tubi cavi di materiale elastico, ma la loro storia ed evoluzione sono fitte di curiosità.

Siamo abituati a parlare genericamente di gomme o lattici, ma dobbiamo necessariamente distinguere tra elastomeri naturali e di sintesi. Contrariamente a quanto sarebbe facile aspettarsi, quelli sintetici sono stati i primi ad essere utilizzati, con scarsi risultati per la verità, intorno agli anni 60, successivamente tutti i produttori hanno scelto di sfruttare il lattice naturale.

Una matassa di elastico.(Foto S.Rubera)

Laddove le gomme di sintesi sono prodotte a partire da molecole di idrocarburi in laboratorio, quelle naturali nascono dalla raccolta e lavorazione di un lattice naturale proveniente da diverse varietà di piante tropicali. Circa trecento sono le specie arboree sfruttabili per l’estrazione di lattici gommosi, ma quella più diffusa, originaria del bacino del Rio delle Amazzoni e presente nelle zone tropicali e sub-tropicali, è l’Hevea Brasiliensis meglio nota come albero della gomma.

Per quanto il caucciù abbia caratteristiche meccaniche notevoli, ha per contro una scarsa resistenza agli agenti atmosferici, alla temperatura e ad una grande varietà di composti chimici. Perciò le fasi di lavorazione per ottenere il nostro elastico finito, hanno come primo obiettivo quello di aggiungere alla mescola, una serie di componenti atti ad incrementarne la resistenza meccanica e all’invecchiamento, la resilienza, a diminuirne il costo e la viscosità, oltre che a favorirne i successivi processi di vulcanizzazione.

Il risultato finale è un composto contenente fino al 95% di lattice naturale, che vede accresciute le proprietà elastiche dell’iniziale materia prima ed è molto più resistente all’azione aggressiva degli agenti atmosferici, della salsedine, della radiazione solare oltre che stabile alle variazioni di temperatura.

Fasi di lavorazione.

Masticazione – l’elastomero viene lavorato con dei mescolatori a ruote dentate per essere reso il più malleabile possibile e per ridurne il peso molecolare, facilitando la successiva integrazione di cariche, polveri e additivi. La temperatura si mantiene costante intorno ai 100° C.

Mescola – contemporanea alla precedente, consiste dell’aggiungere, in quantità prestabilite, vari elementi rinforzanti (carbon black, ossido di zinco, carbonato di calcio), antiossidanti (fenoli), plastificanti (acido stearico), riempitivi (talco, caolino), oli minerali, composti a base di zolfo e acceleranti.

Formatura – da questa si ottengono diversi tipi di semilavorati e si esegue anch’essa a temperatura costante intorno ai 100° C. Nel caso degli elastici, un lungo tubo ‘cola’ verticalmente dalla trafila di un estrusore a getto continuo per poi essere raccolto alla base dell’impianto.

Vulcanizzazione – attraverso un riscaldamento della mescola a temperature tra 140/180° C per un tempo variabile da pochi minuti a qualche decina in ragione delle caratteristiche del composto e delle dimensioni del manufatto, induce una modificazione molecolare responsabile del notevole incremento di elasticità e resistenza a trazione, della minor sensibilità all’azione aggressiva dell’ossigeno e di svariati altri agenti chimici, oltre che della scomparsa dell’abrasività e dell’appicicosità tipica delle gomme non vulcanizzate. Il riscaldamento si può effettuare in vari modi, di solito gli elastici estrusi vengono raccolti a spirale in grandi recipienti, alla base dell’estrusore, contenenti soluzioni a base di acqua e sali fortemente surriscaldate.

Diametri e mescole assortiti.

Cenni sulle peculiarità meccaniche.

Dopo la vulcanizzazione, ci troviamo in mano un prodotto che ha delle caratteristiche meccaniche singolari.

La qualità principe della classe degli elastomeri è di sopportare allungamenti percentuali a rottura che non hanno eguali in altri materiali, così come di reggere un allungamento elastico, il parametro che realmente ci interessa, altrettanto elevato, dell’ordine di 7/8 volte la lunghezza nominale del provino, nel caso specifico del caucciù.

Le nostre esigenze venatorie richiedono tuttavia degli stiramenti piuttosto modesti, nella maggior parte dei casi le gomme lavorano con fattori oscillanti tra il 200% e il 300%. Alcune mescole vengono adoperate con allungamenti anche più estremi, vedremo che però non è detto che sia sempre una scelta saggia.

Fermo restando che la metodologia produttiva di un elastico naturale non permette di ottenere un prodotto sempre qualitativamente identico a se stesso, ma che delle minime, e forse impercettibili all’utilizzatore, differenze saranno sempre possibili tra una partita e quelle successive o precedenti, l’unico vero modo di capire come la mescola si comporti e con quali fattori di allungamento sia ottimale il suo utilizzo, è la valutazione del diagramma sforzo/allungamento.

Gli elastomeri hanno un comportamento che, entro certi valori, possiamo definire di proporzionalità diretta. Significa che all’aumentare del carico di trazione segue un proporzionale allungamento, ad esempio raddoppiando il carico raddoppia la lunghezza e così via fino ad un punto in cui questa legge non sarà più rispetta. Quando ci si allontana dal tratto di proporzionalità significa che stiamo sollecitando la gomma in maniera anomala; tipico il caso di quelle, troppo corte, che negli ultimi centimetri di stiramento richiedono sforzi immani per produrre allungamenti irrisori. L’impressione è quella di una potenza molto più elevata, in realtà molto del nostro sforzo muscolare aggiuntivo sarà dissipato in attriti e sarà stato di fatto inutile quando non controproducente.

Foro centrale normale e maggiorato su gomma da 20 mm

L’attuale sistema di classificazione degli elastomeri da pesca e alcune direzioni di sviluppo.

L’attuale sistema di classificazione degli elastici in commercio ci rende noti due soli parametri dimensionali, per giunta inutili a confrontare prodotti diversi, il diametro e la lunghezza. Con l’avvento di quelli al metro poi, anche la lunghezza consigliata dal produttore è spesso venuta meno lasciando l’utente nell’indecisione più totale su quali fattori di allungamento utilizzare.

Chi immagazzina e rilascia energia sono le catene polimeriche di cui è composta la gomma, ragion per cui si capisce come, almeno teoricamente, ad una sezione maggiore corrisponda una quantità superiore di energia immagazzinata e resa, anche in considerazione del fatto che sarà necessario un maggior sforzo muscolare per ottenere lo stesso allungamento di una gomma più sottile. Attenzione, si è parlato di ‘sezione’ e quindi di area al netto del foro centrale, non di diametro nominale della gomma, per cui un foro centrale maggiorato ridurrà la sezione di elastomero sottoposta a carico e conseguentemente le prestazioni se confrontate con una gomma di pari diametro ma con foro tradizionale.

Ho sottolineato che le considerazioni sul diametro sono teoriche perché paragonare mescole diverse, di cui nulla si conosce in merito alle caratteristiche meccaniche, può risultare fuorviante. In linea di massima si possono fare dei confronti sensati solo tra elementi che sappiamo essere realmente affiancabili. Per questo motivo, possiamo dire che, a parità di mescola e di lunghezza, una gomma più generosa avrà bisogno di uno sforzo maggiore per essere stesa, avrà un attrito idrodinamico maggiore ma avrà anche un’energia restituita all’asta indubbiamente superiore.

Parlando di lunghezza invece vale la pena ricordare che una gomma di diametro maggiore si utilizza per poter disporre di una scorta supplementare di energia. Questa è la ragione principale per cui elastici di diametro diverso ma dedicati alla stessa arma avranno una lunghezza nominale molto simile se non identica. E’ concettualmente sbagliato ricorrere ad una gomma grossa e stirarla di meno perché troppo impegnativa, o peggio, per avere grosso modo lo stesso carico dell’elastico sottile.

Ad esempio, sarebbe assurdo paragonare le prestazioni di uno stesso fucile armato con gomme da 16mm x 22 cm (gomme per 90) e con gomme da 20mm x 30 cm (gomme per 120/130), il carico sviluppato sarà lo stesso ma gli attriti e il minor fattore di allungamento faranno apparire le gomme più grosse come del tutto inadeguate.

Superata la classificazione dimensionale, vale la pena di fare una piccola digressione sull’eterna diatriba tra elastici ‘nervosi’ e ‘progressivi’ dato che chiunque avrà sentito almeno una volta parlare un pescatore usando questi termini, sicuramente impropriamente. Il lettore capirà facilmente come, l’unico parametro su cui il pescatore possa esprimere una valutazione, sia lo sforzo muscolare necessario per armare il suo arbalete. Questo nulla ci dice sull’effettivo comportamento della mescola, ma se armati di dinamometro andassimo a misurare il carico di due gomme progressive, quindi definite tali perchè il grafico sforzo/allungamento è molto vicino a quello di una molla perfetta, ma richiedenti sforzi di tensione molto diversi, è facile che quella più tosta sarà etichettata come ‘nervosa’ pur di fatto non essendolo.

Stesso discorso vale per l’uso del termine ‘snervamento’ con il quale si indica un allungamento della gomma esasperato, probabilmente non più proporzionale, rispetto alle percentuali normalmente impiegate, ma ancora abbondantemente all’interno del suo limite elastico.

La totale inadeguatezza dell’attuale sistema di classificazione emerge soprattutto quando notiamo che nulla ci è dato sapere, oltre che sul comportamento in allungamento, sul carico di trazione che l’elastico in esame è in grado di esprimere. E anche nel caso in cui questo fosse presente, ci darebbe solo un’idea dello sforzo necessario al suo armamento, niente ci direbbe sugli effettivi chilogrammi di spinta che restituirebbe al dardo.

Da tutto questo emerge come la scelta di un elastico sia quasi un salto nel vuoto, affidato alle sensazioni del tutto empiriche e spesso nemmeno troppo veritiere dell’utilizzatore finale.

Da dx: estruso, coestruso, incamiciato.

Tipi di gomme.

Il mercato italiano ed europeo, complice la prevalente diffusione di arbalete mono o doppia gomma, si sono orientati verso l’utilizzo di elastici di diametro generoso, da un minimo di 16 mm ad un massimo di 21 mm, passando per varie misure intermedie (17 / 17.5mm / 18mm / 19mm / 20mm) al lordo del foro interno necessario per l’imboccolamento o la legatura.

Nei paesi che si affacciano sull’oceano, il gran numero di gomme utilizzate sui tuna gun ha fatto invece preferire elastici di diametro inferiore, 14/15 mm circa, che qualche importatore italiano stà provando timidamente ad inserire nei suoi cataloghi.

Sostanzialmente possiamo distinguere tre tipi diversi di elastici a seconda della modalità produttiva: gli estrusi, i coestrusi e gli ‘incamiciati’.

Estrusi – sono quegli elastici che hanno una colorazione uniforme dal cuore alla superficie esterna, possono essere ambra come neri, la diversa colorazione dipende dagli additivi inseriti in fase di mescola. La struttura della gomma è omogenea.

Coestrusi – sono elastici che esternamente hanno un colore, di solito nero o vinaccia, ma che al taglio denunciano un cuore di lattice diverso, in genere ambra. Lo strato esterno ha uno spessore ridotto, circa 2mm, ma è costituito sempre da lattice, seppur con additivi differenti. Il risultato è una gomma più resistente all’azione della salsedine e della radiazione solare. Il metodo di produzione però garantisce una struttura omogenea.

Incamiciati – sono un’introduzione relativamente recente e consistono in elastici color ambra successivamente protetti da una pellicola elastica, nera, protettiva contro salsedine e raggi solari. Diversamente dai coestrusi, elastico e camicia non hanno una struttura omogenea e non sono nemmeno solidali, tanto da poter sembrare, ad uno sguardo superficiale, degli elastici difettati.
Non sarà sfuggito al lettore come il diametro nominale di un elastico ‘incamiciato’ sia da considerare inferiore, da 1 a 2 mm, rispetto a quello di un omologo estruso o coestruso, proprio in considerazione del fatto che, per quanto lo strato protettivo sia anch’esso di natura elastica, ha una struttura differente dalla gomma vera e propria.. Non potrà quindi accumulare e restituire energia in maniera nemmeno paragonabile al materiale che riveste.

Estrusi e coestrusi possono essere sottoposti a successiva colorazione mediante verniciatura. In passato alcuni elastici venivano colorati con tinte brillanti, famosa quella dorata, oggi è un metodo che è tornato in auge per la realizzazione di gomme mimetiche.

La quasi totalità degli elastici in commercio ha un foro centrale di 3 mm di diametro, tuttavia alcuni produttori si sono orientati verso l’utilizzo di fori maggiorati, fino a 7mm. E’ utile notare come, a parità di mescola, una sezione di materiale maggiore sarà in grado di accumulare e restituire una quantità di energia superiore, rispetto ad una più piccola.

Gli elastici giusti possono fare la differenza.(Foto A.Berretta)

La scelta della gomma giusta per il proprio fucile.

Fino a questo momento si è cercato di spiegare quanto possano essere vari i tipi di elastici per arbalete reperibili in commercio e quanto lacunose siano le indicazioni sulle loro qualità. Adesso però è necessario introdurre qualche elemento che renda possibile a qualunque utente di scegliere, forse non l’elastico perfetto, ma di certo uno che ben si adatti al proprio fucile e alle proprie esigenze.

Per quanto l’arbalete sia poco più che una fionda, necessità comunque che le sue componenti siano opportunamente proporzionate tra loro. Possiamo paragonare l’assieme asta/gomme ad una cartuccia d’arma da fuoco in cui l’asta rappresenta il piombo e gli elastici la polvere pirica. Piombo e polvere sono sempre scrupolosamente dosati; come una cartuccia molto potente non sarà mai caricata con poco piombo, sarà un errore lanciare aste di esiguo diametro e poca massa con elastici troppo potenti.
Allo stesso modo sarà sbagliato montare gomme potenti e aste pesanti su armi leggere, con scarsa massa in grado di attutire il violento rinculo conseguente allo sparo.

Il primo consiglio è quello di scegliere un elastomero di cui il produttore garantisca almeno la qualità del processo produttivo, diffidate di matasse anonime e molto economiche, il lattice di qualità non viene mai regalato. Parimenti diffidate delle offerte promozionali a prezzi ridicoli, spesso si tratta di stock rimasti senza troppa cura nei magazzini di qualche rivenditore e ormai molto degradati se non del tutto inservibili.

Le misure, sia di coppie che di circolari, proposte dalle aziende sono di solito un valido compromesso, un margine di qualche centimetro in più o in meno renderà la gomma perfetta per le esigenze di chiunque. Qualora ci si volesse orientare all’acquisto, taglio e legatura di elastici al metro, è sempre buona norma attenersi, almeno in prima battuta, ai fattori di allungamento consigliati dalla casa, salvo poi intervenire per accorciare a piacimento, di solito infatti le misure consigliate non sono mai estreme ma il giusto compromesso tra sforzo e resa. Le valutazioni sono riferite alle gomme vendute come ricambi, è indubbio che la quasi totalità dei fucili ad elastico vengano commercializzati con elastici più lunghi del normale, talvolta davvero poco performanti.

Riguardo la corretta scelta dell’asta il discorso invece si complica. Fermo restando che, su molti arbalete, modificare drasticamente l’allestimento significa avere grossi problemi di bilanciamento, ci si può affidare alle tabelle della Antolas o al foglio di calcolo sull’equlibrio dell’arbalete dell’ing. Anglani. Le prime si riferiscono alle sole gomme del produttore, ma nonostante questo e nonostante nulla dicano sulla massa del fucile, forniscono già un buon metro di scelta; il secondo invece richiede dei dati di non facile reperimento, come il carico di trazione, risultando più perseguibile da grandi appassionati e smanettoni.

L’eterno dilemma, coppia o circolare?

La resa prestazionale delle gomme, differenze tra coppia e circolare, influenza di temperatura e profondità.

Se volessimo avventurarci nel tentativo di analizzare la resa prestazionale delle gomme dovremmo constatare che i produttori non ci mettono a disposizione nessun valore davvero utile ad effettuare una quantificazione né un confronto tra prodotti differenti.

Partiamo con lo stabilire quali differenze ci siano tra la coppia e il circolare. A guardar bene è un problema recente visto che gli arbalete con testata open sono un’introduzione relativamente recente nel mercato italiano, tuttavia, almeno su armi lunghe, il circolare è in grado di immagazzinare e restituire una quantità di energia discretamente superiore. Il motivo di ciò è da ricercare nella maggiore motilità di cui godono le catene polimeriche dell’elastomero che sono meno costrette dalla presenza di due sole strozzature, in prossimità dell’archetto, al contrario delle coppie che ne devono contare altre due in prossimità delle boccole o legature di testata.

E’ già stato fatto cenno a come gli elastomeri vengano distinti sostanzialmente per lunghezza e diametro, qualche produttore un po’ più meticoloso degli altri ha provveduto a indicare il parametro relativo al carico di trazione necessario a stendere l’elastomero di un fattore dato; all’EUDI appena trascorso un macchinario nello stand Sporasub serviva proprio all’uopo, una dimostrazione tipicamente fieristica ma che lascia immaginare che qualcosa stia iniziando a muoversi.

Stiramenti duraturi fanno perdere prestazioni.(Foto A.Balbi)

Che non sia possibile restituire la stessa energia spesa per l’allugamento lo sappiamo tutti, ma il grosso problema riguarda la perdita di carico che si accentua con l’aumentare del tempo di stiramento, una perdita che raggiunge un picco per poi stabilizzarsi ma che può fiaccare notevolmente la resa del nostro elastomero. Anche su questa caratteristica i produttori nulla dicono, siamo costretti ad affidarci alle nostre sensazioni o, al più, a qualche approssimativo test di penetrazione sempre più affidabile di un sommario colpo d’occhio.

Un problema che pare affliggere gli arbalete sarebbe la presunta perdita di prestazioni all’aumentare della profondità operativa. Volutamente ‘presunta’ perché è sufficiente chiedere un po’ in giro per scoprire che, anche e soprattutto tra pescatori di indubbie qualità anche agonistiche, il parere è tutt’altro che unanime, tuttavia, chi ne è fortemente convinto, indica quali principali responsabili la pressione, la temperatura e la densità dell’acqua.

Pressione idrostatica.

Agirebbe comprimendo l’elastico, aiutata dal fatto che questo è cavo al suo interno, e rallenterebbe la decontrazione della gomma. Tutto ciò sarebbe possibile e ragionevole se non fosse che un elastico stirato si allunga e si assottiglia, di fatto schiacciandosi, perdendo qualsiasi possibilità di essere ulteriormente compresso. In secondo luogo gli elastomeri sono materiali quasi totalmente incomprimibili, lo è l’aria contenuta nel loro foro centrale, mentre il lattice ha una struttura densa e priva di bolle. La pressione necessaria per deformare in maniera sensibile un elastomero è dell’ordine di 10 volte quella presente alle quote considerate abissali per il pescatore subacqueo.

Densità.

La densità dell’acqua aumenta sia con l’aumentare della profondità che con il diminuire della temperatura. Attraversare un mezzo più denso richiede più energia per farlo con la medesima velocità quindi il calo prestazionale sarebbe più che giustificato, in realtà non lo è visto che fino a quote da batiscafo e nel range medio delle temperature del Mediterraneo parliamo di variazioni dell’ordine di qualche decimo di punto percentuale.

Temperatura.

E’ stato già ampiamente descritto come gli elastomeri vadano conservati con cura proprio per la loro suscettibilità a temperature non adeguate. A conti fatti, valori particolarmente bassi o alti sono gli unici a poter veramente influire negativamente sulle prestazioni di un elastomero. Tuttavia non si può non notare come solo le acque dell’Adriatico raggiungano, in pieno inverno, un freddo polare; nelle immersioni profonde, solitamente estivo-autunnali, poco ci si discosta da quei 15° C che sono stati indicati come ottimali.

Per avere una risposta definitiva e scoprire se davvero esiste questo calo prestazionale, poterlo quantificare oltre che spiegarne le ragioni, sarà necessario aspettare che qualcuno faccia qualche test balistico in profondità. Nel frattempo ci si può limitare a constatare come molti documentari di pesca in apnea siano stati girati da atleti dalle capacità fisiche strabilianti e ritraggano catture eccezionali fatte con arbalete monogomma e a quote veramente abissali senza che di questo fenomeno sia mai stata fatta menzione.

Ancora, l’arbalete si usa da svariati decenni, quelli di oggi sono molto superiori a quelli con cui Mazzarri ha vinto i suoi mondiali, da allora la mole dei pesci è rimasta la stessa o forse si è perfino ridotta, contrariamente alla potenza che, con l’impiego di doppie e triple gomme, è aumentata esponenzialmente; stà di fatto che la perdita di prestazioni in profondità è ‘scoperta’ di pochi anni’diminuisce il pesce, si fa più furbo e aumentano i limiti delle nostri attrezzi da pesca, pare un controsenso!

Un pò di talco e una busta per conservarli.

Conservazione e manutenzione delle gomme, tra verità e credenze popolari.

Ogni pescatore è geloso delle sue attrezzature, alcuni così tanto da arrivare ad esagerare con la meticolosità di manutenzione dei propri oggetti da pesca; naturalmente gli elastici non fanno eccezione, anzi, sono una componente attorno cui si sono diffuse delle credenze piuttosto bizzarre e dure a morire.

Abbiamo già discusso di come, nonostante gli additivi, le gomme siano un prodotto che necessita di qualche piccola cura, pena la loro precoce usura e necessità di sostituzione. Una lavata con acqua dolce rincasati da pesca, l’aver cura di non tenerli inutilmente esposti alla violenta luce del sole, specie in estate, e metterli a riposo ben asciutti, in luogo tiepido, aerato e con un velo protettivo di borotalco è più che sufficiente per garantirgli un’ottima riuscita.

Gli elastomeri necessitano di essere conservati a temperature costanti per evitare che perdano di elasticità e che si irrigidiscano. Il range consigliato per lo stoccaggio, industriale ma a maggior ragione domestico, oscilla da un minimo di 15° C ad un massimo di 25° C. Si deduce come un qualsiasi garage, cantina o ripostiglio di casa si presti ottimamente allo scopo, e come la diffusa pratica di conservarli in frigorifero, quindi a temperature oscillanti tra i 4° e i 10° C, oltre che essere un valido modo per rovinarli è sicura fonte di discussione con la fidanzata, moglie o compagna!

Anche l’utilizzo del borotalco pare per alcuni una bestemmia, tanto che spesso ci si sente consigliare il talco industriale, di difficile reperibilità e sostanzialmente inutile, vediamo perché.

Della scarsa resistenza agli acidi dei derivati del caucciù, abbiamo già parlato, e il borotalco sarebbe potenzialmente nocivo proprio perché contente un blando disinfettante, l’acido borico da cui appunto prende il nome, anche se classificato come acido debole. In realtà il nome Borotalco è rimasto perchè diventato un marchio registrato dell’azienda produttrice, a farci caso infatti tutti gli altri producono solo talco mentolato; inoltre l’acido borico non è più un componente del prodotto dal lontano 1978. Quindi i nostri elastici, e nessun prodotto elastomerico in generale, corrono rischio alcuno ad essere cosparsi con un po’ di questa polvere. Spero che nessuno resti convinto che i suoi amati elastici siano più delicati della pelle di un neonato, a questo punto l’unica controindicazione potrebbe essere l’aromatizzazione al mentolo, ma chissà che non sia addirittura un richiamo per i pesci!

Livelli progressivi di usura della gomma.

Quando è arrivato il momento di sostituirli.

Sicuramente ci farebbe piacere che i nostri elastici durassero in eterno ma purtroppo non è così e non è neppure così semplice capire quando è arrivato il momento giusto per sostituirli

Ognuno di noi ha stabilito un suo criterio soggettivo, chi li rimpiazza dopo un certo tempo e chi dopo un dato numero di colpi sparati, chi ancora li cestina non appena appaiono le prime screpolature in prossimità di boccole o legature e chi preferisce farlo quando manifestino quella tipica patina appiccicosa, c’è chi poi si affida al suo infallibile occhio bionico e percepisce anche la benché minima perdita di spinta a primo sguardo, infine c’è chi preferisce lasciare l’ardua scelta agli elastici stessi che esausti finiranno per strapparsi letteralmente.

Naturalmente ci sono comportamenti eccessivi sia in un verso che nell’altro, ecco quindi qualche piccolo consiglio per non buttare elastici ancora buoni e per non continuare ad utilizzarne di ormai esausti.

La costante e attenta osservazione dello stato degli elastomeri e la loro corretta manutenzione sono fondamentali per poterli utilizzare con profitto e, soprattutto, senza correre il minimo rischio in caso di rotture accidentali.

Non c’è da preoccuparsi troppo di quel trasudato appiccicoso che, prima o poi, quasi tutti gli elastici finiscono per produrre. E’ semplicemente un residuo di parte degli elementi oleosi che la gomma trattiene al suo interno e che può rilasciare a seguito di stress termici come è inevitabile che succeda durante il suo utilizzo in mare e il trasporto sotto il sole, magari estivo, sul paiolato del gommone o sulla plancetta. Nulla che renda l’elastico meno reattivo, è sicuramente di più il fastidio tattile.

Anche le prime e precoci screpolature, non sono affatto indice dello scadimento qualitativo della gomma, ma è sempre buona norma tenere d’occhio l’evoluzione di ogni piccola lesione che, con il tempo e i prolungati tempi di stiramento, tenderà ad allargarsi fino al punto in cui, pur non essendoci ancora pericolo di cedimento, la sezione si sarà ridotta in maniera non trascurabile portando a consistenti perdite specie su armi lunghe.

Glossario

Allungamento percentuale a rottura – il massimo stiramento ottenibile prima della rottura, espresso in valori percentuali rispetto alla lunghezza a riposo del provino.

Allungamento elastico – massimo stiramento possibile prima che si verifichi una deformazione permanente del materiale, tolta la forza il provino ritorna alle dimensioni di partenza, espresso in valori percentuali rispetto alla lunghezza a riposo del provino o in ‘volte’.

Diagramma sforzo/allungamento – rappresentazione su assi cartesiani dell’incremento di lunghezza all’aumentare del carico di trazione.

Fattore di allungamento – è un numero, intero o decimale, che indica quante volte sarà lungo l’elastico stirato rispetto alla dimensione a riposo.

Limite elastico – soglia oltre la quale l’elastomero sollecitato subisce una deformazione permamente della sua struttura.

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