Un tonno inaspettato
L’esperienza di pesca più curiosa – ma anche più emozionante – che mi sia capitata è avvenuta durante una tranquilla pescata costiera di qualche anno addietro. Con mio fratello Giorgio mi ero recato in un posto ben conosciuto, teatro di molte delle nostre battute invernali a caccia di spigole.
Giunti sul posto, mi calo in acqua e Giorgio, con il gommone, si sposta in uno spot distante alcune centinaia di metri. Mi ero appena immerso in un torbido fondale di 5 o 6 metri che muore sulla sabbia, in cerca di spigole quando, appostato sul fondo all’aspetto, un forte rumore di scodate mi preannuncia l’arrivo di un banco di grossi pesci serra. Lascio sfilare il numeroso banco, composto da esemplari di mole dai 3 ai 5-6 kg nella speranza che appaiano anche le spigole, come già accaduto in passato, ma resto con il colpo in canna.
Quindi tento un nuovo aspetto poco più in là, impugnando il 90 con asta da 6,3 mm e gomme da 16 mm. All’improvviso mi si para davanti una sagoma enorme ed io sparo istintivamente, d’imbracciatura, senza capire né le reali dimensioni del pescione né tantomeno cosa realmente sia, vista la torbidità dell’acqua nella quale la visibilità non supera i 2 metri. Colpisco la grossa sagoma di coda, nella enorme pancia e ovviamente senza trapassarla, dopo che si è completamente girata su se stessa nell’arco di qualche attimo. Realizzo solo dopo di avere sparato ad un grosso tonno, che sicuramente era intento a dare la caccia a quel nutrito banco di pesci serra, dal comportamento molto nervoso, visto poco prima.
Già in passato mi era capitato più volte di trovarmi al cospetto di questi pesci colossali, ma sempre su secche e risalite dai profondi fondali, cosa che mi ha sempre dissuaso dal tentarne la cattura rischiando come minimo di perdere il fucile. Fatto stà che riesco a riemergere dalla profondità di 5 metri appena in tempo per vedere i 40 metri di sagolino del mulinello completamente finiti, convinto che il pescione mi avrebbe strappato tutto in pochi secondi e già maledicendomi per aver sparato ad un mostro simile con quel fuciletto…
Invece si verifica un fatto che fin da subito mi fa ben sperare per la finalizzazione della cattura: il sagolino del mulinello, giunto a fine corsa, con la forte trazione rompe la plastica dell’asse del mulinello ma il nodino finale si va ad incastrare fortunosamente nell’asola di acciaio che costituisce il passasagola sulla testata del fucile. Con prontezza di riflessi allungo la falcata con le pinne e agguanto il sagolino, poi lo faccio girare 4 o 5 volte attorno alla testata e lo strozzo contro le gomme, sempre pinneggiando a tutta forza dietro al bestione. Il pesce non riesce a strappare la sagola e comincia a tirarmi verso il largo, anche se a velocità più moderata di quanto mi aspettassi e procedendo parallelamente alla linea di costa sabbiosa.
Comincio a pensare che forse gli ho fatto molto male, nonostante la pochezza del mio fucile, e valuto anche che il fondale a sabbia che rimane di modesta profondità per miglia in quella direzione non gli faciliterà la fuga. La più grossa preoccupazione, in quel momento, è per mio fratello Giorgio, che poco prima si era allontanato col gommone per andare a tentare qualche aspetto su un punto poco distante. Fortunatamente ho sempre con me il pallone segnasub, e piano piano lo recupero, sempre trascinato dal tonno, fin quando non riesco ad assicurare il calcio del fucile al grosso moschettone che pende dalla boa. A questo punto mi sento più tranquillo, perché se anche dovessi perdere il contatto con la preda, la boa continuerebbe a segnalarla.
Mano a mano che mi allontano dalla punta rocciosa, l’acqua comincia ad essere più limpida e mi accorgo di poter intravedere il fondale ad una profondità di circa 5-6 metri. Provo così a guadagnare terreno tirandomi a forza di braccia, anche perché è forte la curiosità di poter finalmente vedere cosa diavolo ho colpito! In breve, dopo circa un’ora di sci nautico riesco a raggiungere la verticale del bestione e a verificare che si tratta di un tonno di oltre 100 kg., ben più grosso e lungo di me e che resta incollato al fondo nonostante i miei sforzi di tirarlo verso la superficie. Mi ricordo di essermi sentito veramente una nullità al cospetto di tanta forza, e di essere stato più volte tentato di tagliare la sagola e tornarmene mestamente a riva.
Ma ad un certo punto accade un fatto che mi dà nuova speranza: il bestione inverte la rotta per un po’, trainandomi proprio verso il punto di partenza, ormai molto lontano, finché comincia a compiere dei lenti giri. Nonostante la difficoltà di gestire la sagola, che mi si impiglia nelle mani e nei guanti, comincio ad avere la certezza di essere giunto quasi all’epilogo di quell’avventura ed infatti, di lì a poco, il tonno si adagia su di un fianco, immobile.
Non riesco a crederci ma il bestione è stremato. Mi ha trascinato con forza per oltre un’ora ma alla fine si è dissanguato ed ora è lì sul fondo, immobile. L’emozione è alle stelle ma mi faccio coraggio e, preso dalla boa il fucile corto con fiocina, scendo per doppiarlo: la cosa paradossale è che quando sono sufficientemente vicino mi accorgo che la testa è veramente enorme e non so proprio dove colpirlo! Lascio comunque partire il colpo e risalgo velocemente, quindi comincio lentamente ad issarlo verso la superficie. Una fatica immane, sembra di tirare su un corpo morto di cemento, ma alla fine benedico tutte le ore trascorse in palestra e riesco a forza di braccia a fargli raggiungere la superficie, dove per lo meno galleggia leggermente.
Adesso mi torna alla mente che devo raggiungere riva il più velocemente possibile, perché mio fratello sarà già in giro a cercarmi con il gommone, ma tirandomi dietro il pescione la vedo dura…Per fortuna mi viene un’idea geniale: mi metto a dorso del tonno e lo afferro per le pinne pettorali, quindi comincio a pinneggiare sfruttando anche i deboli colpi di coda che il tonno continua ancora a dare. In breve sono abbastanza vicino alla costa da farmi scorgere da mio fratello, che mi raggiunge visibilmente preoccupato.
Alla vista della superba preda, però, smette subito di inveirmi contro per la mia incoscienza e, sbigottito e sorpreso, mi chiede subito: e ora come facciamo ad imbarcarlo sul gommone?? Bella domanda, fortuna che a bordo ho un robusto raffio per le cernie che ben si presta alla bisogna. Una volta agganciato il tonno per la testa, ci attacchiamio entrambi al manico del raffio di acciaio e, sfruttando il tubolare del gommone come rullo di alaggio, issiamo a bordo, non senza fatica ed imprecazioni, il grosso tonno. Il sole è ancora alto e ci offre la giusta luce per le foto di rito che immortalano questa memorabile avventura, conclusasi per fortuna nel migliore dei modi.
Ripensando a quella cattura, effettuata con un fucile sicuramente inadeguato ed in condizioni rocambolesche, ho spesso riflettuto su cosa conti veramente per mettere a pagliolo prede di così gran mole, e dopo quella esperienza ho avuto l’ennesima conferma che la cosa più importante è il tiro, ciè dove e come si colpisce la preda. Se lo si fa nel punto giusto, in quel caso era il fegato dell’animale, ne si fiacca molto la resistenza. Inoltre il mio tiro ha lasciato l’asta, da 6,3 mm e con tacche di aggancio, parallela alla direzione di marcia della preda e non perpendicolare ad essa, altrimenti con ogni probabilità si sarebbe spezzata subito. Infine, un’enorme importanza l’ha avuta il tipo di fondale, basso e sabbioso, che non ha dato modo al tonno di esibirsi in una delle sue famigerate fughe repentine nell’abisso, che avrebbe reso i miei 40 metri di sagolino del mulinello assolutamente insufficienti.
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