Tenersi in forma con il nuoto
Non tutti i pescatori hanno la possibilità – e il coraggio, viste le temperature di questi tempi – di continuare a tuffarsi in mare anche durante l’inverno. Da Ottobre a Marzo si presenta così per molti il problema di come tenersi in forma in previsione della bella stagione.
L’allenamento dell’apnea è un tema discusso da anni e sul quale in molti hanno espresso la propria opinione, quasi sempre però fondata più che altro su esperienze personali, dato che ancora non esiste una vera e propria letteratura in materia.
Foto: A. Balbi
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Tuttavia, quando si parla di semplici appassionati di pesca in apnea che pur prendendo il fucile ad ogni occasione non praticano l’attività a livello agonistico, pare eccessivo parlare di allenamento dell’apnea. Spesso infatti l’appassionato tende a ricercare tabelle ed esercizi che spera gli permettano di migliorare la capacità di trattenere il fiato, dimenticando di lavorare su tutti gli altri aspetti generali che influiscono in grandissima parte non solo sui tempi di apnea ma sul più comune ‘stare bene’. Utilizzando una similitudine, è come se un calciatore allenasse soltanto il tiro tralasciando il modo per arrivare a poter calciare, quindi corsa, visione di gioco…
In particolare durante la stagione invernale/primaverile sarà quindi opportuno curare la preparazione di base che ha tra l’altro evidenti benefici non soltanto sulla pratica sportiva ma ancor più sulla qualità della vita. In questo articolo ci proponiamo di fornire alcuni consigli su come mantenersi in forma attraverso il nuoto, lo sport probabilmente più adatto al nostro scopo.
Perchè il nuoto?
– Innanzitutto un motivo tanto banale quanto importante: il nuoto con l’apnea e la pesca in apnea condivide l’elemento base, l’acqua. Benché sia spesso dimenticato, uno dei fattori principali nel miglioramento di una prestazione è il feeling con l’ambiente in cui la prestazione si svolge. Nel nostro caso quindi curare l’acquaticità sarà fondamentale.
– Il nuoto poi è tra i vari sport sicuramente uno dei più completi. Permette di lavorare su tutti i settori del corpo spesso contemporaneamente (al contrario di quanto possono per esempio fare la corsa o la palestra).
– E’ uno sport tutto sommato economico in quanto l’unica vera spesa è rappresentata dal costo dell’ingresso in piscina comunque sempre piuttosto contenuto.
– Contrariamente all’apnea ed anche al nuoto pinnato, è praticabile senza particolari restrizioni in tutte le piscine del mondo senza bisogno di assistenza.
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Come costruire una tabella di allenamento
Per scelta, in questo articolo non troverete vere e proprie tabelle di allenamento. Non è possibile preparare programmi universali che si adattino a tutti i tipi di atleti. Bisogna infatti valutare le caratteristiche del singolo ed i suoi obiettivi ma anche il tempo a disposizione, il numero di allenamenti settimanali ecc ecc. Troppe le variabili in gioco.
Volendo comunque dare dei consigli pratici, il primo elemento da considerare è sicuramente la base di partenza, intendendo con essa non il grado di preparazione fisica ma il proprio livello nel nuoto classico, senza mute o pinne che ci aiutino a galleggiare. E’ molto comune infatti tra i pescatori in apnea, il riuscire a pescare per ore in mare e il contemporaneo andare in affanno dopo pochi minuti in piscina. Sarà perciò necessaria un’onesta autocritica nel valutare le proprie capacità, abbandonando l’orgoglio che l’essere capaci di pescare anche a buone profondità ci ha fatto crescere negli anni.
Nell’opinione di chi vi scrive, non ha senso impostare il proprio allenamento sul nuoto senza dei requisiti minimi che potremmo così sintetizzare:
– possibilità di nuotare crawl e dorso per almeno 50 metri senza fermarsi
– capacità di completare 200 metri a crawl, anche con pause ma in non più di 6 minuti (media 45’/25mt).
– impostazione della rana ed eventualmente del delfino
Senza questi requisiti basilari, discutere di ‘allenamento a nuoto’ perde di significato e molto più efficace per il miglioramento delle proprie prestazioni sarebbe l’iscrizione ad un corso di nuoto. Erroneamente molti credono che la velocità nel completare le vasche dipenda dalla propria preparazione fisica, in realtà la componente tecnica è prevalente a questo livello.
Per coloro che invece possiedono i requisiti minimi sopra elencati, possiamo fornire uno schema di massima su come dovrebbe strutturarsi una seduta di nuoto, che poi ognuno potrà adattare alle proprie esigenze.
Innanzitutto ogni allenamento si divide essenzialmente in tre fasi: il riscaldamento, la fase centrale di ‘carico’, il defaticamento.
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Riscaldamento: a questa fase vanno dedicati almeno 10-15 minuti in acqua, specie se si viene da una giornata di lavoro sedentaria, ancora meglio se prima si riesce a fare qualche esercizio a secco. I nostri muscoli hanno bisogno di essere ‘svegliati’ per poter lavorare efficientemente ed evitare traumi che nel nuoto sono in genere piuttosto piccoli ma non per questo meno fastidiosi. Molti sono portati a tuffarsi e a nuotare subito su ritmi abbastanza elevati essendo all’inizio dell’allenamento, con molta energia e magari un po’ di stress da sfogare. Niente di più sbagliato! La partenza deve infatti essere molto graduale perché il lavoro vero e proprio, quello allenante, avverrà nella seconda fase. Visto che generalmente il tempo a nostra disposizione non è mai molto (variabile tra 45 min e un’ora) già nel riscaldamento si possono svolgere alcuni esercizi validi non solo all’attivazione dei muscoli ma anche al miglioramento dell’acquaticità. Su tutti il lavoro migliore è quello di nuotare i ‘misti’ cioè i 4 stili che permettono di usare tutti i comparti muscolari. Si consiglia perciò di iniziare da qualche classica vasca a stile libero (200 metri) e passare quindi ai misti da nuotare su ritmi blandi ma concentrandosi sulla corretta esecuzione del gesto (12/16×25 = almeno 300 metri), eventualmente eliminando il delfino che per molti rimane uno stile proibitivo: il fatto che sia assai impegnativo è indubbio, ma ricordiamo che la fatica spesso è dovuta a carenze nel galleggiamento e ad una ancor più scarsa coordinazione.
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Fase centrale: dopo un buon riscaldamento da circa 500 metri (200 crawl + 300 misti) si passa alla fase più importante dell’allenamento, quella in cui si “fatica”! E’ davvero impossibile fornire una tabella valida per tutti quindi punteremo l’attenzione su aspetti spesso trascurati. Il primo sono i tempi di recupero.
La bontà di un lavoro in acqua spesso non è data dal numero di vasche che si compiono o dalla velocità con cui le si completano. Al contrario ciò che fa la differenza è il tempo che intercorre tra una vasca e l’altra. Ci sono principalmente due metodi su cui basarsi: recupero fisso e ripartenza fissa.
Ipotizzando una serie da 8×50 metri, nel primo caso il nuotatore dovrà completare i primi 50 metri, aspettare un tempo predeterminato, per esempio 15 secondi, ripartire per il secondo 50, completarlo, riposare altri 15’… così per 8 volte. Nel secondo caso invece il cronometro non partirà all’arrivo del nuotatore ma alla sua partenza. La ripartenza per i 50 metri successivi dovrà avvenire, sempre per esempio, ad un minuto dalla prima partenza. La differenza è davvero sostanziale. Nel primo caso infatti è garantito un recupero fisso di 15′, qualunque sia il tempo che l’atleta impiega per compiere i 50 metri. Nel secondo, invece, non è garantito alcun recupero minimo che dipenderà dal tempo di percorrenza delle vasche.
Nuotatori non esperti che non conoscono i propri ritmi, naturalmente e involontariamente tendono a percorrere le prime vasche a velocità maggiori, per poi lentamente spegnersi col proseguire dell’esercizio. In realtà sarebbe bene effettuare un lavoro inverso, andando in progressione e chiudendo le ultime vasche con un ritmo superiore a quello iniziale.
Il recupero fisso permette a tutti di concludere agevolmente qualsiasi serie in quanto garantisce un minimo di riposo tra vasca e vasca. E’ però chiaro che in questo modo l’allenamento diviene meno efficace poiché parte del recupero viene trasferito anche nella fase di nuotata quando, stanchi, abbassiamo il nostro ritmo non essendoci il cronometro che incombe. Al contrario avendo una ripartenza obbligata dopo un certo lasso di tempo, saremo ‘costretti’ a mantenere lo stesso ritmo per tutta la serie, distribuendo meglio le nostre energie ed eventualmente cercando una progressione verso la fine dell’esercizio. E’ evidentemente più difficile ma nella creazione del nostro allenamento dev’essere tra i nostri obiettivi.
Come detto la fase centrale dell’allenamento è quella in cui bisognerà anche faticare. Ci sono principalmente due tipi di lavoro, quello aerobico e quello anaerobico. Inutile in questo spazio fare un trattato di fisiologia, cerchiamo invece di spiegare questi concetti più concretamente. Il lavoro aerobico è quello di resistenza, quello anaerobico di velocità e potenza. Chiunque, anche chi volesse concentrarsi poi sulla velocità (obiettivamente meno utile nell’apnea e pesca in apnea) non potrà prescindere da una buona base di resistenza. Il lavoro aerobico è quello che permette di mantenere una buona velocità in maniera costante per un tempo abbastanza lungo.
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Ci sono diverse formule per calcolare la soglia aerobica, indicativamente la frequenza cardiaca in questo tipo di esercizio dovrebbe oscillare tra il 65 e l’85% della frequenza massima che, sebbene possa variare molto da persona a persona e con l’allenamento, si è soliti ottenere dall’equazione FM=220 – età. Per esempio, la frequenza massima di un quarantenne è di circa 180 battiti. Un lavoro aerobico è quindi quello che varia tra 120 e 150 battiti al minuto. E’ buona abitudine, immediatamente terminata una serie, misurarsi il polso carotideo nei 20 secondi successivi, moltiplicare il risultato per 3 e verificare di non aver superato questi valori.
Una buona serie aerobica dovrebbe durare almeno 10-12 minuti. Un buon nuotatore allenato in questo tempo completa agevolmente anche 800 metri (per esempio 8×100 a ripartenza fissa 1’30’). Più generalmente diciamo che un lavoro efficace nel nostro caso sarà quello che ci permette di non superare la soglia che ci siamo imposti, nuotando a una velocità non sostenuta ma neanche eccessivamente blanda, con recuperi medio corti. L’obiettivo con il perpetrarsi delle sedute è quello di, oltre ad allungare un po’ la serie, ridurre sempre più i tempi di recupero a parità di frequenza cardiaca.
Nella fase centrale dell’allenamento bisognerà inserire quindi almeno una serie di questo tipo. Che siano ripetizioni di 50, 100 o 200 metri poco importa. La nostra attenzione dovrà essere, come detto, essenzialmente sui tempi di recupero (mirare ad avere ripartenze fisse) e sulla frequenza cardiaca (non scendere e non salire sopra le soglie indicate).
In base al tempo a disposizione, le serie di questo tipo possono essere anche due, intervallate da qualche vasca di rilassamento. Per variare, e visto che l’attività che andremo a svolgere prevede un uso preponderante degli arti inferiori, anche il lavoro di sole gambe con tavoletta o con boccaglio frontale potrà essere molto utile.
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Defaticamento: tale definizione avrebbe maggior significato in presenza di un lavoro precedente che abbia prodotto notevoli quantità di acido lattico nelle gambe. In realtà lavorando sotto la soglia anaerobica questo non dovrebbe avvenire, pertanto definire ‘defaticante’ questa fase non è propriamente corretto. Alla conclusione della nostra oretta di nuoto è bene comunque inserire un discreto numero di vasche a ritmi tranquilli, per sciogliere i muscoli ma anche per lavorare su alcuni aspetti spesso trascurati, in primis l’acquaticità. Possiamo abbandonare completamente il cronometro e concentrarci unicamente sul gesto tecnico. Di seguito sono alcune semplici proposte di esercizi utili a questo scopo ed anche all’allenamento dell’apnea.
Consigli ed esempi pratici di esercizi per migliorare l’acquaticità
E’ riduttivo dire che il nuoto comprenda solo 4 stili. Benché infatti delfino, dorso, rana e crawl siano quelli codificati e insegnati, nessuno ci vieta di effettuare delle piccole variazioni. Uno dei migliori esercizi per migliorare la coordinazione e aumentare la consapevolezza del gesto tecnico è proprio fondere i vari stili tra di loro. Potremmo per esempio effettuare la bracciata a crawl o a rana con battuta di gambe simmetrica a delfino, oppure alternare sei bracciate a crawl a sei sul dorso e così via. La difficoltà di tali esercizi è relativa, dipende infatti dal grado di abilità del nuotatore. Sia in presenza di un soggetto esperto sia che questo sia piuttosto scarso, lo scopo di obbligare il nuotatore a concentrarsi sul proprio gesto sarà raggiunto. Inoltre variare spesso il tipo di stile renderà il nostro ‘allenamento’ se non più divertente, meno noioso!
Foto: A. Balbi
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Un altro esercizio molto valido e utile anche per un’autovalutazione del proprio rendimento, è quello di contare il numero di bracciate effettuate per vasca. Il principio sarà quello di cercare di ridurre sempre più questo numero, valendo a grandi linee la massima che meno bracciate = meno consumo. Diminuire il numero di bracciate significa infatti renderle più efficaci, aumentandone l’ampiezza e la presa sull’acqua.
Esercizi utili per allenare l’apnea
Sono assai poche le piscine dove, per questioni di sicurezza, è concesso nuotare in apnea. Tuttavia anche attraverso il nuoto di superficie sarà possibile esercitarsi a trattenere il fiato, ovviamente non per i massimali. Il modo più semplice e banale è quello di ridurre il numero di respirazioni per vasca, abituando i muscoli a lavorare in carenza d’ossigeno. Soprattutto per i soggetti meno allenati è bene seguire tabelle molto graduali, passando dalla respirazione ogni 2/3 bracciate a quella a 4/5, 6/7 e così via. Alternativamente al crawl, lo stesso principio può essere facilmente applicato alla rana. Molto buono è anche il lavoro di sole gambe delfino sotto il pelo dell’acqua: invece delle bracciate conteremo il numero di gambate a cui alternare una respirazione.
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