Storia di una Sincope: Mi Sentivo Bene, Ero in Forma…
Con questo racconto, prosegue il nuovo progetto editoriale orientato alla sicurezza in mare. La sincope, ancora oggi, è un tabù di cui non si parla volentieri. Non si raccontano le proprie disavventure anche per paura di essere giudicati, in maniera sprezzante, da chi si sente infallibile. Eppure le esperienze degli altri ci possono insegnare tanto, soprattutto perchè sott’acqua c’è molta più fortuna e meno consapevolezza di quello che pensiamo.
Che ti sia o ti abbiano salvato, che abbia salvato o perso un amico, puoi raccontarci la tua storia, scrivendoci una e-mail ad apneamagazine15@gmail.com. La pubblicheremo (anche in anonimo se preferisci) perchè possa essere d’aiuto per tutti.
di Marco Longo
Per cominciare mi presento: mi chiamo Marco, sono romano, oggi ho 62 anni e pesco in apnea da quando ne avevo più o meno 12. La vera svolta però avvenne a 14 anni, quando sono andato per la prima volta nella casa eoliana di quella che poi sarebbe diventata mia moglie.
Una Vacanza Memorabile
Durante quella vacanza conobbi una persona fantastica, molto più grande di me, un pescatore locale, che mi aprì letteralmente un mondo. Mi portava in mare con lui e mi insegnò, fino da allora, quel senso di rispetto per il mare e i suoi abitanti che ancora oggi è vivissimo in me.
Turi, così si chiamava, non era certamente un mostro di tecnica, al contrario, ma coniugava una prestanza fisica notevole ad una conoscenza dei fondali di quelle isole veramente impressionante. Non potete immaginare cosa sia riuscito a farmi vedere (a quell’età sopratutto…si osserva e si cerca di carpire ogni segreto!) in quegli anni.
Le isole Eolie non hanno mai avuto pesci e fondali facili, nemmeno in quegli anni; ma la quantità soprattutto di cernie e dotti, ma anche di pesce bianco (anche se più corvine che saraghi) era veramente spettacolare.
Con il trascorrere degli anni e frequentando le isole ogni volta che mi era possibile, compatibilmente (e incompatibilmente) con gli impegni che tutti noi abbiamo, mi sono reso conto che quel patrimonio di conoscenze, che tanto mi stupiva, era pian piano diventato anche mio.
Sono cominciate così le catture importanti, sopratutto da punto di vista qualitativo ma, ahimè, con loro sono anche inevitabilmente aumentati i rischi. Io poi, a parte le volte che il mio vecchio amico riesciva ad accompagnarmi, ho sempre pescato da solo.
Una Cernia Fuori Tana
Un giorno di ottobre di quasi 40 anni fa, quando ero un giovane poco più che ventenne, successe quello che non mi aspettavo, ma che ho avuto e ho la fortuna di poter raccontare. Avvistai una bella cernia bruna, fuori dalla sua tana, ad una profondità non certo esagerata per il mio livello di allenamento di allora. Ci saranno stati, più o meno, 18 metri di profondità.
Nonostante l’impegno nell’avvicinamento, il tiro non risultò affatto risolutivo, anzi, il pesce riuscì a riguadagnare l’anfratto e, se pur non arroccato in maniera profonda, mi costrinse ad almeno un paio d’ore di lavoro per riuscire a stanarlo. Nell’occasione mi aiutai anche con lo spaccaossa e con il raffio, sempre usato con attenzione e senza fare inutili e pericolosi sforzi sul fondo.
Il Momento del “Cretino”
Dopo più di qualche tentativo, sono riuscito a fulminare la cernia e quindi sono risalito per preparare la successiva immersione, quella nel corso della quale avrei dovuto (cretino!) recuperare sia il pesce, ormai vinto, che le attrezzature lasciate sul fondo. Sono sceso, ho afferrato il pesce, ho raccolto rapidamente tutti gli impicci che erano intorno alla tana e ho cominciato la risalita.
Peccato che, dopo pochi metri, il raffio mi sia sfuggito di mano…ed ecco il momento del cretino, al quadrato: mi sono piegato su me stesso e sono sceso nuovamente di qualche metro per recuperarlo. In fondo mi sentivo bene, per nulla affaticato, ero in forma. Ri-agguantato il raffio ho iniziato a risalire, ma ecco che vicino alla superfice ho cominciato a non sentire più le gambe.
In quell’istante ho avuto la lucidità di mollare tutto senza senza esitazione: pesce, fucili, raffio e di sganciare cintura dei piombi, poi il buio. Mi sono risvegliato a 50 metri dal pallone, non ho idea dopo quanto tempo, so solo che ero stato “miracolato”.
La mia esortazione a riflettere, anche alla luce dei gravi incidenti degli ultimi anni, va sopratutto ai più giovani, che spesso si convincono di avere energie infinite, che subiscono il pericoloso fascino della profondità e della cattura da ricordare, che si trovano circondati da esempi che troppo spesso si punta solo a seguire senza mai soffermarsi su quali siano i possibili rischi.
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Category: Articoli, Medicina e biologia, Pesca in Apnea