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Storia di una Sincope: Le Grosse Tanute di Ventotene

| 25 Novembre 2019

Con questo racconto, inizia un nuovo progetto editoriale orientato alla sicurezza in mare. La sincope, ancora oggi, è un tabù di cui non si parla volentieri. Non si raccontano le proprie disavventure anche per paura di essere giudicati, in maniera sprezzante, da chi si sente infallibile. Eppure le esperienze degli altri ci possono insegnare tanto, soprattutto perchè sott’acqua c’è molta più fortuna e meno consapevolezza di quello che pensiamo.

Che ti sia o ti abbiano salvato, che abbia salvato o perso un amico, puoi raccontarci la tua storia, scrivendoci una e-mail ad apneamagazine15@gmail.com. La pubblicheremo (anche in anonimo se preferisci) perchè possa essere d’aiuto per tutti.

di Fabrizio D’Agnano

Questa storia non c’entra molto con la foto, che serve solo ad inquadrare il periodo, ed una volta tanto, il lieto fine non è nella cattura. Se si imparasse anche solo qualcosa dalle esperienze degli altri, già da diversi millenni l’umanità sarebbe perfetta, ma pare invece che per capire davvero che il fuoco scotta, si debba prima metterci la mano. Comunque la racconto, non si sa mai…

Ero forse nel periodo migliore della mia vita: giovane, forte, sicuro, allenato…passavo tutto il periodo estivo al mare, da fine maggio a fine settembre, pescando tra Ventotene, Linosa e S. Teresa Gallura. Avevo anche grande continuità e familiarità con quote che, per quei tempi, erano considerate molto impegnative.

Per tanti motivi, tutti stupidi, pescavo molto spesso da solo. Avevo due o tre compagni fidati di pesca, che però non passavano come me diversi mesi consecutivi in acqua, per cui non mi facevo problemi quando non potevano essere con me.

Una Nuova Giornata di Pesca

Quel giorno, in particolare, mi trovavo al Molo 4, sul versante settentrionale dell’isolotto di Santo Stefano, davanti a Ventotene. Avevo lasciato il gommone prima del costone, dove il fondale degrada più dolcemente con una frana di massi bianchi, permettendo una buona presa all’ancora, e costeggiando la parete avevo raggiunto il punto dove volevo tentare il tuffo. Avrei ispezionato la frana al ritorno.

Il costone cade molto ripidamente. C’è un piccolo terrazzino a 18 metri, da dove si poteva tentare qualche aspetto (ora non più, se non con la macchina fotografica, perché è diventata AMP), e poi la caduta ripida, quasi verticale. Sul lato coperto del costone, che termina con una grossa tana, c’erano spesso due cernie, una molto grande e praticamente immortale, ed un’altra più piccola. Occasionalmente poteva capitare di incontrarne qualcuna risalita da poco che, a differenza delle due inquiline fisse, si poteva catturare in caduta, con un po’ di fortuna.

Alcune Tanute Molto Grosse

Durante la preparazione del tuffo, al coperto, inglobato nella parete, dietro una sporgenza, guardo verso fuori, e noto il solito pallone di fasciati e pizzuti sospeso a mezz’acqua ad una ventina di metri dalla parete. La costa verticale dell’isolotto crea un lungo cono d’ombra, ed i pesci si trovano subito fuori, dove i raggi del sole entrano in acqua e creano dei bellissimi giochi di luce. In mezzo vedo delle tanute molto grosse, per cui decido di lasciar stare le cernie, almeno per il primo tuffo, e di tentare di prenderne una.

Nuoto verso i pesci, in superficie ed allo scoperto. I pesci si allargano ed affondano leggermente, e finalmente raggiunta la loro verticale, eseguo la capovolta, più silenzioso che posso con il poco piombo che ho in cintura. Non avevo preparato un tuffo fondo, idealmente questo tipo di tuffi si conclude nel bene o nel male entro i 15/18 metri.

Inizio la caduta, ed i pesci continuano a sprofondare. Seleziono il pesce, riesco gradualmente a ridurre le distanze, e finalmente sono a tiro. Mi accorgo, non so come, che la sagola fa un giro dietro al mulinello, per cui proseguendo la caduta, ma distogliendo l’attenzione dai pesci, provvedo a sistemarla. La tanuta si è allontanata, forse allarmata dal movimento, e devo raggiungerla di nuovo. La vedo ormai prossima al fango del fondo, e penso “Oh! Ora ti devi fermare!” Scocco il tiro, e colpisco bene il pesce, dalla coda alla testa.

Un Errore Incredibile

Realizzo solo in quell’istante che sono arrivato praticamente sul fondo, e che non tornerò mai in superficie. Almeno non vivo. Istintivamente, anche se non ce n’era alcun bisogno, alzo la testa ed ho conferma dell’errore incredibile. Mentalmente ero a 20/25 metri. Non ce la farò mai. Sgancio la cintura con una calma rassegnata, mentre dentro di me ripeto ossessivamente la frase “Ho fatto la fine del sorcio! Ho fatto la fine del sorcio! Ho fatto la fine del sorcio…” Inizio la risalita.

Quando perdo le gambe e vedo scuro, alzo di nuovo la testa e sono ancora a 15 metri. So che mi sto spegnendo, con un ultimo gesto dettato forse dalla rassegnazione, mi tolgo la maschera e mi spingo leggermente sul dorso. Poi nulla. È incredibile quanto vividi e dettagliati siano i miei ricordi di tutta questa fase. La rivivo ogni volta.

Non Questa Volta…

Mi risveglio a galla, o forse è meglio dire che apro gli occhi a galla. Non ho percezione di me. Sono smarrito, non so nemmeno di essere qualcosa, e non ho idea di dove mi trovi. Vedo la parte alta di Santo Stefano, con il carcere, ma il mio campo visivo non comprende la parte bassa. È nascosta da una nebbia bianca. Poco dopo vedo Ventotene, più lontana, ma non la riconosco. Non vedo l’acqua. Non riconosco nemmeno me stesso, non ho davvero idea di cosa accada, ed il cervello mi frulla nel tentare di raccapezzarci qualcosa.

Gradualmente la nebbia cala, i colori tornano vividi, vedo l’acqua, capisco cosa è successo, e vedo il Marshall ancorato, ad un centinaio di metri di distanza almeno. Ho il fucile in mano, e c’è pure la tanuta. Ho sganciato la cintura, ho tolto la maschera, ho fatto tutto questo, ma inconcepibilmente non ho mollato il fucile.

A Mente Fredda

Dalla distanza dall’isolotto, devo essere rimasto privo di sensi per parecchi minuti. La cintura fu recuperata dai miei amici del diving, ad una quota molto superiore a quello che pensavo. A tutt’oggi non riesco a spiegarmi come abbia potuto commettere un errore simile, soprattutto considerata la quotidianità con i posti e le quote. E non ho mai compensato facilmente, quindi almeno per questo mi sarei dovuto accorgere della profondità. Invece no.

Devo il fatto di essere vivo ad una serie di coincidenze fortuite e probabilmente irripetibili. Però ho imparato. Pescare da soli, soprattutto a quote impegnative, non è un’opzione praticabile se si vogliono mantenere standard di sicurezza almeno minimi. Le scuse che tutti quelli che lo fanno adducono, negando l’evidenza per soddisfare, così come facevo io, l’ingordigia di pesca, sono solo quello che sono. Scuse, appunto.

Conoscere il proprio corpo, essere bene allenati, in ottime condizioni psico fisiche, idratati, etc, etc, etc, sono condizioni necessarie, ma non sufficienti. L’errore può capitare, come è capitato a me, e se non hai il compagno sulla verticale, puoi solo sperare in un miracolo, che purtroppo avviene di rado…

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