Racconti Pesca Sub: l’Avventurosa Cattura di una Cernia d’Altri Tempi
Testo e Foto di Tommaso Gionni Marti
Ed eccomi a raccontare e cercare di trasmettervi le emozioni vissute in una giornata di pesca che merita di essere fermata nel tempo, per mia memoria, per un’amicizia datata con Davide Tarantino, amico e compagno di avventure, che grazie proprio a questa passione comune, si è rafforzata, e spero anche per chi avrà il piacere di leggerla.
Il giorno prima, dopo una breve consultazione telefonica, decidiamo di comune accordo, avendo la possibilità di scegliere, perché fortunati di vivere nella terra “te lu sule, te lu mare e te lu ientu”, per una battuta di pesca sul lato adriatico, in considerazione del fatto che su quel versante si riesce ancora a trovare qualche tratto di costa con poco traffico nautico, circostanza quest’ultima da non sottovalutare quando si parte da terra con il solo ausilio dell’aquascooter, specie in questo periodo dell’anno.
Una Trasferta Incerta
Dando uno sguardo alle previsioni meteo, ci rendiamo conto che abbiamo una finestra solo l’indomani, in mattinata. Il vento è dato in aumento da NNW sino a 18 nodi (che saranno poi di più), l’onda è prevista alle 10:00 di 15 centimetri, alle 14:00 di 80 centimetri, sino al metro e mezzo della mezzanotte.
Tenendo presente che la visibilità delle acque dell’Adriatico, appena si muove un po’, si riduce drasticamente e velocemente, non consentendo più di pescare, e visto che sia io che Davide abbiamo impegni nella prima mattinata, fissiamo l’appuntamento per l’indomani alle ore 10:00 a casa di Davide.
Già per strada, notiamo che il vento è abbastanza teso. Arriviamo sul posto dopo un’ora di strada trafficata in questo giorno di esodo per le ferie. Il mare è già costellato di spume bianche, l’onda è già di 60-70cm. Percorriamo un po’ la litoranea, indecisi. Si entra? Non si entra? E da dove? Se il mare si ingrossa, dobbiamo tenere presente il rientro. Ormai siamo qui: entriamo! Poi, una volta in acqua, decidiamo se restare o desistere.
L’acqua fuori sembra bella, limpida. Dopo aver trovato un posto da cui entrare e uscire in sicurezza, alle 11 e 45 siamo in mezzo ai flutti. Punto sulle zone più vicine che conosco, sono intorno al chilometro di distanza da riva. Con l’aquascooter si sobbalza su ogni onda, anche la fedele PLANCETTA ALBATROS al seguito, con tutta l’attrezzatura agganciata, fa altrettanto su ogni cresta, ma si riesce ad avanzare con facilità.
Sul Primo Segnale
Il primo spot è una secca con il cappello a 4 metri, che poi degrada sino ai 13 metri nel raggio di circa 200 metri. L’acqua è bella, fiducioso inizio le azioni di pesca, alternando le varie tecniche. Mangianza, nuvole di occhiate sulle cigliate più belle, saraghi che scorrono tra i panettoni di grotto, qualche oratella al pascolo, tutti pesci non superiori ai tre etti. Dopo un paio d’ore di tuffi infruttuosi, e terminata la perlustrazione della zona, vado alla ricerca di Davide, incerto sul da farsi. Riesco ad intravedere tra le onde la sua bandierina. Gli chiedo come va e mi mostra due bei saraghi in carniere. Mi complimento con lui e lo metto al corrente della mia insoddisfacente perlustrazione.
Verso il Posto Magico
Non demordo. Decidiamo di andare insieme su uno spot molto interessante un po’ più al largo. Il mare si è mantenuto costante, con onda intorno al metro di altezza e che spesso frange, ma l’acqua è ancora pulita, ci saranno 20 metri di visibilità. Per arrivare sul posto ci saranno da percorrere circa 500 metri; all’andata con il mare al “giardinetto”, per i naviganti, al ritorno, tutto al traverso. Si può fare! Metto in moto l’aquascooter e inizio la navigazione convinto che anche Davide a breve mi seguirà, anche perché lo spot l’ho scoperto in solitaria, nell’uscita precedente che risale ad un paio di giorni prima, e quindi le mire le conosco solo io.
È una zona molto interessante, che avevo trovato solo un’ora prima del tramonto e che, per il poco tempo a disposizione, non ero riuscito a studiare con la dovuta accuratezza. Da una profondità di 12 metri, un vasto pianoro con qualche macchia di posidonia di scarso interesse, degrada dolcemente e la roccia incomincia a presentare le prime isole di grotto, bello, vivo, fiorito, per poi arrivare sui 15-16 metri dove il grotto ormai ha il sopravvento, con conformazioni di altezze di un paio di metri, tutte scavate e che creano anche qualche tana passante, e infine cadere a 18 metri di profondità, con un salto netto sulla sabbia, dove emergono tanti agglomerati di grotto sparso, alto anche più di 2 metri, a formare strisciate bellissime.
La prima volta, essendo il calasole, optai per la pesca all’aspetto nella speranza di attirare la curiosità di qualche predone a caccia. La situazione era perfetta, con nuvole di mangianza, occhiate anche da 3-4 etti dappertutto, ma oltre ad un paio di denticiotti al di sotto del chilo, che ovviamente decisi di non sparare, non avvistai altro.
Decisi comunque che sarei ritornato a breve per una perlustrazione più accurata.
Un Vivido Ricordo dall’Infanzia
In particolare, quel tipo di fondale, mi riportò alla mente un ricordo dalla “preistoria” ormai, un ricordo che ricorre ogni volta che mi succede di imbattermi in fondali di questo tipo.
Ero un ragazzino delle scuole medie, sarà stato il 1975, abitavo con la mia famiglia a Taranto e mio padre, grande appassionato di mare e di pesca, nonché mio istruttore di vita e di mare, durante le ferie che ogni anno andavano dal 20 di agosto al 20 di settembre all’incirca, si dedicava quasi esclusivamente alle uscite di pesca. Di mio, crescevo bene, ormai riuscivo con facilità a mettere in moto a strappo il 25 cavalli e di conseguenza qual miglior barcaiolo per mio padre, visto che la passione geneticamente trasmessa era già esplosa?
Si partiva da Taranto all’alba con una FIAT 1100 R carica all’inverosimile, con gommone di 4 metri sul portapacchi del tettuccio, motore da 25 cavalli al posto del sedile posteriore, due gruppi di bombole, allora ancora consentite e tutto il resto dell’attrezzatura, praticamente la marmitta posteriore viaggiava a circa 10 centimetri dall’asfalto. Si attraversava tutta la Puglia trasversalmente per andare a pesca sull’Adriatico, nel tratto di costa tra Polignano e Villanova, e ricordo che rispetto allo Jonio, si pescava a quote molto inferiori, si andava dai 13 ai 21 metri al massimo.
Mio padre pescava di tutto, dal pesce bianco alle cernie di mole. Ricordo un giorno in particolare in cui mi fece scendere in acqua per mostrarmi, a circa 13 metri di profondità, un cernione che era intanato, al sicuro dalle fucilate, in un anfratto molto lungo ma in cui, illuminando con la torcia, si distingueva chiaramente il testone, sarà stato un pesce di almeno 20 chili.
Tante Aspettative…
La conformazione di quel fondale era proprio come quella dello spot che avevo recentemente trovato . Ricordo ancora le parole di mio padre una volta sul gommone mi disse: “Hai visto che fondale? È il tipico fondale da cernia”.
Infatti, quando parlai a Davide di questa nuova zona scoperta, gli dissi che mi sarei aspettato, da un momento all’altro, dietro ogni angolo più interessante del fondale, di intravvedere il muso o la tipica scodata di una cernia.
A queste batimetriche, al giorno d’oggi, ovviamente, era più un sogno che un pensiero reale.
Ritornando al nostro racconto, ero convinto quindi che Davide mi avesse seguito, non mi sono preoccupato subito di non vederlo anche perché il mio aquascooter è più veloce del suo. Quando sono arrivato sul posto, dopo una quindicina di minuti, non vedendolo arrivare, ho pensato che avesse cambiato idea.
Sono subito andato su una strisciata di grotto esterna al ciglio. Grazie alla buona visibilità l’ho individuata già dalla superficie: la volta precedente mi era piaciuta molto, era invasa da nuvole di occhiate e avevo visto intanarsi delle corvine. Faccio una planata lenta sulla verticale della strisciata, sopra corrente, dal limite nord, e sorvolo gli spacchi verticali del grotto cercando di individuare, qualche corvo o sarago degno di attenzione venatoria, nel caos che creano le occhiate che sono dappertutto, con la loro indole inquieta.
Un Sogno che Diventa Realtà
Scorro piano una quindicina di metri, degli oltre cinquanta che caratterizzano la strisciata, e risalgo senza scorgere niente di interessante. Riprendo fiato mentre la corrente mi sposta verso il limite sud della strisciata, e proprio mentre metto a fuoco il confine del grotto, sotto il gradino che forma, noto una sagoma scura che si muove sulla sabbia, sta letteralmente volteggiando. Mi lascio portare un po’ dalla corrente, sono sulla verticale, la vedo bene stagliarsi sulla sabbia, inconfondibile, una cernia bellissima, la mole è importante.
Onestamente, è vero che il fondale è da cernia, che speravo in un incontro, ma la realtà ha superato di gran lunga la fantasia. La stimo superiore ai 10 chili, è davvero un bel pesce. La osservo, sembra indaffarata, sicuramente è in caccia. Dalla base del gradino sale sopra al grotto non è interessata a me. Intanto ho recuperato fiato, ultimo respiro e capovolta silenziosa. Braccio e fucile steso e pesce allineato sin da subito, solo le gambe si muovono per pinneggiare per qualche altro metro.
Appena vinta la spinta positiva mi blocco. Sono sulla verticale del pesce, man mano che accorcio le distanze mi appare sempre più grosso. Sembra non percepire la mia presenza, sono a circa 7 metri da lei, ancora qualche metro, lentamente. Il pesce è intento nelle sue faccende e non è fermo, scorre sul grotto controcorrente, cerco di incrociarne la traiettoria. Ci sono quasi.
Un Lento Avvicinamento…
So, per esperienza diretta, che con le cernie di mole è importante tirare cercando i punti vitali del pesce. Prendo la mira, allineo la fronte del pesce con la punta dell’asta, in mano ho il mio affidabile e infallibile Dentex 100 doppio elastico da 16mm con asta da 6,5 Gimasub, ma il pesce d’improvviso nota la mia presenza e fa uno scatto di 2-3 metri, supera il ciglio del grotto e si posiziona con la testa verso un’apertura: uno spacco creato da due conformazioni di grotto accostate.
La cernia si è appoggiata con il fianco destro sulla sabbia e mi guarda con il solo occhio sinistro, immobile. Mentre prima era di tre quarti, adesso è posizionata frontalmente a me, ottimo per cercare di fulminarla, devo solo guadagnare ancora qualche metro. Quando sono con il dito contratto sul grilletto lei, avanzando, nasconde appena la testa sotto la tettoia, è a poco più di 2 metri dalla punta dell’asta, spingermi ancora oltre il gradino non credo sia la scelta giusta, rischio di vedere intanare il pesce, compromettendone la cattura.
Ha solo la testa nascosta, decido di colpirla appena dopo. Sono vicino, l’asta dovrebbe riuscire a penetrare il muscolo e arrivare agli organi vitali e allo stesso tempo farà da impedimento al tentativo certo che la cernia avrà di intanarsi, dopo aver ricevuto il dardo. Parte l’asta ed è il finimondo, afferro il fucile e il sagolino del mulinello e, mentre guadagno la superficie, metto in trazione pinneggiando con forza e il pesce non riesce ad intanarsi, anzi riesco a staccarlo a momenti dal fondo, l’asta deve avergli fatto male.
Iniziano gli Imprevisti
D’improvviso sento la gamba destra leggera. No! Ho la pala della pinna destra rotta subito dopo la scarpetta, sono ancora ad una decina di metri dalla superficie, devo mollare la trazione sul pesce per guadagnare la superficie anche a forza di braccia e la cernia riesce ad infilarsi nell’anfratto. Una volta in superficie. Che si fa? Provo a forzare dalla superficie ma con una sola pinna è difficile, ci riesco sfruttando le onde che ormai sono di circa un metro e mezzo, e il vento è anche aumentato nel frattempo.
Guardo l’orologio, sono le 14 e 30. Cosa fare? Senza pinne sono fuori combattimento, la cernia è incastrata, 18 metri con una pinna non son pochi, ammesso che possa arrivare sul fondo tirandomi sul sagolino del mulinello, non posso comunque essere operativo.
Decido di fare una discesa almeno per controllare la situazione. Vado giù tirandomi con le braccia, arrivo sul fondo e intravedo la coda della cernia che è fuori dall’anfratto, l’asta è ben piantata sul groppone e non si è nemmeno slabbrato il foro di entrata, la doppia aletta garantisce la tenuta.
La cernia è immobile ma non riesco a capire se ancora viva. Devo risalire, a forza di braccia. Una volta sulla superficie, calcolando le possibilità, prendo una decisione: fortunatamente ho la Plancetta Albatros al seguito che in questa occasione si rivela fondamentale, decido di collegarla al fucile e lasciarla lì come per segnalare. Con l’aquascooter vado poi a recuperare Davide che credo ormai di ritrovare a terra.
L’Unione fa la Forza!
Il mare è ingrossato e le condizioni di visibilità in acqua stanno peggiorando di momento in momento. Insieme, fianco a fianco, possiamo affrontare in sicurezza la situazione, anche se estrema. Non c’è altra soluzione per non rischiare di lasciare un pesce così bello a morire per niente, sarebbe un peccato mortale. Dopo tre quarti d’ora di navigazione tra le onde, che ogni tanto mi schiaffeggiano, arrivo a terra al punto di entrata, dove trovo Davide in costume da bagno che mi aspetta con il binocolo in mano per cercare di individuarmi. Lo metto al corrente dell’accaduto e mentre gli dico che dobbiamo tornare in acqua per tentare almeno di recuperare il pesce.
Lui mi informa mestamente che il suo aquascooter non ha voluto saperne di rimettersi in moto dopo il nostro incontro, ed era rientrato a terra a pinne. Non ci demoralizziamo, abbiamo con noi tutto l’occorrente per intervenire sull’aquascooter, persino candele e valvole di ricambio fin anche un litro e mezzo di benzina miscelata per rimpinzare entrambi i serbatoi. Nell’arco di 30 minuti il motorino riparte.
Guardandoci negli occhi, prima di intraprendere la navigazione, sappiamo che dobbiamo valutare ogni singola azione con attenzione, le condizioni sono impegnative e dovremmo contare solo su di noi. La Plancetta Albatros da terra non si vede, ma confido sulle mire che cosa rara in questa tratto di costa, sono precise al metro su questo spot. Per stare al passo con l’aquascooter di Davide devo andare al minimo.
Dopo un’ora di saliscendi e schiaffi di mare sul lato sinistro, arriviamo sulla plancetta che siamo riusciti ad avvistare solo quando eravamo ad appena 30 metri di distanza, oltre è impossibile vedere ad altezza di galleggiamento nonostante l’asta della bandierina sia di 90cm. Il fondo non si vede più dalla superficie. Ancoriamo i motorini. Recupero la sagola del mulinello del mio fucile stesa dalla forte corrente, una volta sulla verticale verifico, mettendo in tiro che l’asta è ancora attaccata al pesce perché molleggia un po’. Non avverto ulteriori movimenti del pesce, difficile stabilire se è ancora viva, arroccata ancora lo è di sicuro perché non viene.
Problemi, Ancora Problemi!
Spiego a Davide come era messa l’ultima volta che l’ho vista e che è bene fare un tuffo con la sola torcia per controllare come è la situazione, per poi decidere come operare. Davide cerca di trovare la giusta concentrazione e rilassatezza per effettuare il tuffo tra le onde combattendo con la forte corrente quando, girandosi verso di me che son appena dietro e guardando oltre, mi chiede: “E il mio motorino?” Mi giro anch’io a guardare. Del suo aquascooter nessuna traccia. Penso che se si è sganciato, appena arrivati, saranno passati almeno 15 minuti, con questa corrente avrà sicuramente fatto un po’ di strada e sicuramente sarà impossibile da individuare a vista.
Gli dico di restare lì che vado a cercare di recuperarlo. Mi sono fatto almeno 500 metri con il mio aquascooter in direzione della corrente ma, del motorino di Davide nessuna traccia, mi tolgo la maschera e quando incomincia a salirmi il dubbio sul ritrovamento, fortunatamente a 20 metri sulla mia sinistra, sulla cresta di un’onda, intravedo sventolare la bandierina montata sul tubo di aspirazione.
Tutto è Bene Quel che Finisce Bene!
Ritornare con l’aquascooter al traino per più di mezzo chilometro, contro mare, non è stato agevole e, dopo diversi minuti sono riuscito ad individuare la bandierina della Plancetta Albatros su di un’onda e, qualche metro più in là, Davide in superficie che, con difficoltà, riusciva appena a tenere la testa fuori dall’acqua.
Appena sono al suo fianco mi accorgo che il motivo del suo scarso galleggiamento è il cernione che aveva in mano. Entrambi felici ed emozionati per il risvolto positivo della situazione, ci abbracciamo in acqua e, contenti dell’esito, recuperiamo tutto, assicuriamo il pesce alla plancetta e via verso terra, ci aspetta un’ora di navigazione impegnativa in mezzo ai marosi.
Arriviamo a terra intorno alle 18 e 30, siamo distrutti ma il pescione, che adesso possiamo ammirare con calma, è un pesce di altri tempi che sicuramente supera i 15 chili, (la bilancia ne decreterà poi 19 e 450) la felicità di entrambi è alle stelle. Siamo soddisfatti di aver preso le giuste decisioni e affrontato la situazione nei giusti modi, alla fine l’impegno profuso è stato ripagato e siamo consapevoli che, se fossimo stati da soli, l’esito sarebbe stato ben diverso.
Con calma poi, Davide mi ha raccontato che nel frattempo in cui recuperavo il suo aquascooter, lui ha avuto non poca difficoltà per la mancanza di visibilità del fondale dalla superficie e la forte corrente che lo spostava continuamente dalla verticale del pesce.
Ha dovuto effettuare diversi tuffi per arrivare sul punto esatto della tana. Una volta riuscito, ha visto il pesce ormai morto e mezzo fuori, che doveva solo essere indirizzato per essere estratto dall’anfratto, portandolo in superficie nello stesso tuffo, mentre io sopraggiungevo.
Grazie Papà…
Per entrambi un’avventura di mare da ricordare, come ben dice l’amico Davide, quando io e lui al mare faremo solo il bagno, a dire: “…ti ricordi quella volta…che cernia…con quel mare…da pazzi!” Io aggiungo un augurio: che sia ancora lontano quel giorno per entrambi e, magari nel frattempo, aggiungere qualche altra bella avventura da ricordare.
PS: Ciao papà, grazie per i tuoi preziosi insegnamenti, so di certo che saresti stato orgoglioso di questa cattura, come sempre, e sono sicuro che eri lì al mio fianco, in acqua, ti ho sentito.
E come sempre grazie Mare.
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