Plastica in Mare: è Oltre il 77% dei Rifiuti sul Fondo Marino!
Mentre l’Agenzia Europea per l’Ambiente promuove la qualità delle acque costiere balneabili in Italia, giudicata “al 90% eccellente”, ponendo il nostro paese al di sopra della media europea, la situazione è decisamente meno rosea per quanto riguarda la pulizia delle spiagge e dei fondali marini.
Le forti mareggiate invernali e primaverili hanno contribuito non poco a riportare sulla battigia una grande quantità di rifiuti. Basti pensare che in 64 arenili oggetto di censimento, sono stati trovati oltre 770 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia, per un totale che supera i 180 mila oggetti spiaggiati.
Quando poi si guarda sotto il pelo dell’acqua, non si può non constatare che anche la situazione dei fondali marini è tutt’altro che confortante: la concentrazione di oggetti ritrovati, per chilometro quadrato, è compresa tra 66 e 99 e il primato, con oltre il 77%, spetta a rifiuti di natura plastica o prevalentemente tale.
E non si tratta solo delle plastiche contro cui ormai tutto il mondo sembra essersi mobilitato, ma ci sono anche quelle “green” o “biodegradabili” che, vale la pena ricordarlo, sono tali solo se smaltite correttamente e conferite agli impianti di compostaggio nei quali si raggiungono temperature prossime ai 50° C.
Al di sotto di questa soglia infatti, non si possono innescare i processi di degradazione, facendo si che anche le plastiche ecologiche diventino parte del problema.
Non si può infatti non notare come il primo problema non sia l’utilizzo della plastica in se, quanto la diffusa cultura dell’abbandono indiscriminato dei rifiuti. Cultura che con l’alibi del biodegradabile rischia perfino di essere alimentata. Nel frattempo i ricercatori stimano che: su 150 tartarughe morte spiaggiate, il 75% presenti residui di plastica nell’organismo; se poi parliamo di uccelli marini, la precentuale sale fino al 90%.
Nel tentativo di arginare questa deriva, è stato approvato a marzo il disegno di legge cosiddetto “Salvamare”, ossia quello che permetterà ai pescatori professionisti di diventare gli “spazzini” del mare perchè potranno portare a terra, senza più il timore di essere accusati di traffico di rifiuti, la plastica finita accidentalmente nelle loro reti. Il provvedimento dovrebbe arrivare in aula a giugno, ma da più parti viene visto come uno specchietto per le allodole.
In un paese in cui sono tanti, troppi, i porti nei quali non è presente o non funziona un sistema di raccolta dei reflui delle imbarcazioni, che quindi scaricano liberamente a mare non appena la distanza dalla costa lo permette, appare utopistico pensare che il “Salvamare” possa realmente dare un contributo apprezzabile, nonostante le premialità promesse.
Senza contare che in molti si chiedono se la potenziale accusa di “traffico di rifiuti” fosse il vero ostacolo che impediva alla filiera professionale di recuperare quanto rimasto nelle sue reti, o non fosse piuttosto una comoda scusa per un’abitudine comune. D’altronde è sotto gli occhi di tutti come, tra i rifiuti spiaggiati sugli arenili, non siano pochi quelli inconfutabilmente riconducibili alla filiera professionale: grossi galleggianti, matasse di lenze e reti, polistirolo delle cassette.
Dalla parte opposta, alcune stime dipingono l’Italia come il terzo paese del Mediterraneo a disperdere più plastica nel mare, circa 90 tonnellate al giorno. E per quanto sia una percentuale infinitesima degli oltre otto milioni di tonnellate che l’ONU sostiene ogni anno inquinino mari e oceani (provenienti prevalentemente dalla Cina e da tutto l’est asiatico), in qualche modo si deve provare a invertire la tendenza. Magari si potrebbe partire agendo a monte, dal controllo degli scarichi e degli sbocchi dei piccoli corsi d’acqua in mare, indiscutibilmente le vie attraverso cui (perchè poco o per nulla controllate) il maggior numero di inquinanti, liquidi e solidi, finisce in mare.
La buona notizia è che sono sempre di più le manifestazioni organizzate per raccogliere rifiuti, affiancate da tantissime pulizie estemporanee effettuate dai singoli, complice anche un po’ di notorietà che queste azioni sanno regalare sui social network, ma almeno stavolta si tratta di un pizzico di esibizionismo per una buona ragione.
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