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Pianosa, isola delle meraviglie

| 11 Luglio 2006 | 0 Comments

Foto di A. Balbi

Ringraziamo il biologo faunista Riccardo Carradori per il suo contributo, che pubblichiamo con grande piacere

Pianosa è un’isola tentacolare, magica.

All’arrivo un sole fortissimo e un caldo accecante sembra vogliano allontanare il visitatore. Le case sono abbandonate i negozi sono chiusi. Li vedi da lontano: sei o sette persone, tutte con la divisa. Stanno lì a aspettare. Camionette con le lucine blu, divise blu, grigie e verdi. ‘ci sarà qualcuno di importante sul traghetto’ penso. ‘Documenta!’ ‘Come documenti?’ In tutto scenderanno una decina di persone. solo gli autorizzati, uno-due, resteranno qui. Carabinieri, polizia penitenziaria, forestale. A ogni sbarco si ripete il dispiegamento. Finisci con il farci l’abitudine. Anzi diventerà l’appuntamento che scandirà le giornate. Comunque: dopo aver giurato fedeltà alla patria e alla famiglia inizio finalmente a camminare per le strade deserte. Scorgo un gatto, l’ombra dei fichi carichi di frutti, l’azzurro trasparente delle acque.

Il tempo di sputare nella maschera e sono in acqua. Cala Giovanna è una spiaggia di sabbia bianca interrotta da piccole piane. A circa 200 metri dalla battigia una prateria di Posidonia oceanica. Posto eccezionale per la riproduzione dei pesci! Questa pianta marina crea un habitat eccezionale e funziona come una nursery naturale. Sulle foglie si annidano numerosi briozoi incrostanti, o simili a piume come gli idroidi. Chioccioline (tipo Gibbula sp., Bittium sp.) e ricci (Paracentrothus sp.) brucano gli apici delle foglie o quelle già morte. E poi innumerevoli specie di pesci: salpe, donzelle, serrani, tracine, scorfani, saraghi, e ancora gamberi (Palameon sp.) e su tutti il cavalluccio marino. E ancora” ‘sarà ma le immersioni sulla posidonia fanno di molto schifo. E ci vole lo scoglio!’. Mi si abbassano le orecchie in preda a un attacco di delusione e impotenza. pronuncio un paio di ‘ma però’ sebbene con poca convinzione. In effetti in queste foreste è molto difficile scorgere gli animali. Grazie alle loro coloraziani e al comportamento criptico.

Foto di A. Balbi

Te però t’ho visto! Una cernia (Serranus gigas) di una trentina di centimetri. D’ora in poi Giovanna. Fedele al proprio scoglio continuerò a incontrarla anno dopo anno. Poi orate (Crhysophris aurata) occhiate (Oblada melanura) saraghi (Diplodus sp.). Qui nessuno pesca più e i pesci sono tornati confidenti. Sulla sabbia dei piccoli rombi lisci (Bothus rhombus) ne distinguo solo due. Sono perfettamente mimetizzati sul fondo. Immobili. Bellissimi. la pinna dorsale e ventrale circonda tutto il corpo dell’animale con i primi raggi della dorsale ramificati. Come tutti i rappresentanti del genere, insieme alle sogliole (Soliedae) porta entrambi gli occhi dalla stessa parte del corpo. Logico no? Se una parte è sempre appoggiata sul fondo a cosa serve l’occhio da quella parte. Addirittura la parte a contatto con il substrato è depigmentata mentre l’altra è picchiettata a imitazione della sabbia. Però questi animali nascono, come molti pesci con una simmetria laterale (la parte destra è uguale alla sinistra) e poi cambiano e divengono dorso ventrali). Sono l’occhio e la narice che via via che l’individuo cresce si spostano fino a passare sull’altro lato.Basta distogliere un poco lo sguardo e ritornano di nuovo invisibili sullo sfondo della sabbia.

Un centinaio di pesci argentei nuotano in cerchio. Bellissimi. Ma che sono? Latterini? Aguglie? Non ci voglio credere: barracuda (Sphyraena sphyraena). sono non più lunghi di 20 cm ma hanno già l’atteggiamento dei padroni del mare. nuotano veloci ma non sembra di vedere la coda muoversi l’occhio pare scannerizzare il mare in cerca di una preda la mascella sporge in avanti come un boxeur. Lentamente faccio la capovolta per riemergere in mezzo a loro. che sensazione incredibile: adesso sono circondato da questi corpi argentei. Quando diventeranno esemplari di un metro non so se ripeterò l’esperimento con la solita spensieratezza’ Mi tocca smettere a me perché loro sono sempre lì. Mi allontano.

Ne ho già visti tanti che non so se crederci. Però più fuori fra la sabbia e detriti di posidonia marrone due batoidei con disco romboidali. Le pinne pettorali racchiudono il capo formando anteriormente una punta. Coda a forma di frusta. Per farla breve: due razze chiodate (Raja clavata). Queste sono a quattro o cinque metri di profondità. So che non lo dovrei fare però: capovolta. Queste mi danno un po’ meno soddisfazione perché stanno ferme sul fondo. Divengono invisibili se appoggiate sui detriti di posidonia il corpo scuro si staglia bene solo quando sono messe sullo sfondo della sabbia. Ne costringo una a un rapido guizzo. Ventri metri di scatto. Si riappoggia sul fondo. Scompare.

Mi accascio sull’asciugamano. Fra il dormiveglia e il sole fagocito in questo ordine: pane con la porchetta, un gelato, acqua un tempo frizzante, coca cola rovente, sabbia e pera. Collasso finale.
Lentamente l’isola si mostra in tutto il suo fascino. Dopo pochi giorni sono del luogo anche io. Partire sarà tristissimo. Pianosa non si fa lasciare. Osservo con occhio fermo i turisti che quotidianamente la visitano. Li guardo arrivare ma so che la mia isola non inizierà a parlargli se non dopo un po’ e allora non sono più geloso.

Dopo l’innamoramento prende la voglia di conoscerla. I suoi sentieri sono tutti percorribili a piedi. Le baie sono invitanti e proibite. I vecchi penitenziari, le piccole case con la pergola, i manufatti romani le torri di avvistamento. La fuga della maggior parte degli uomini.
La sera, osservando un barracuda fra le acque del porticciolo i racconti riportano a quando l’isola era tutta coltivata e gli animali pascolavano sui pratoni.
Il sole rallenta e fra i richiami dei gruccioni e dei gabbiani corsi inizio a parlare con chi, da prima, ha iniziato a scoprire e ad amare l’isola. Si parla piano perché chi vive su Pianosa è particolare, come l’isola stessa. E, piano, racconta, parola dopo parola, i misteri dell’isola. E, piano, altri si fanno accanto e insieme contano le loro storie.

Foto di A. Balbi

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