Pescasub Illegale: Agonista Fermato in Zona A in Parco, Rischia la Radiazione
È diventata ufficiale ieri la notizia che un “campione di pesca in apnea” è stato fermato dal Corpo Forestale Regionale all’interno del perimetro del Parco Nazionale dell’Arcipelago de La Maddalena, in Sardegna. L’operazione, svolta dagli uomini della base logistico operativa navale di Palau, si è concretizzata dopo diverse settimane di pedinamento in cui il trasgressore è stato seguito con attenzione dai vigilanti.
Al momento del fermo il soggetto, descritto negli articoli della cronaca locale come “S.R., un siciliano residente all’Isola dei Cappuccini, una delle isole dell’arcipelago dove lavora come custode” sarebbe stato all’interno di una delle zone MA della riserva, quelle di massima tutela nelle quali sono vietate praticamente tutte le attività umane, incluse navigazione e accesso.
Durante la perquisizione del mezzo sarebbero stati rinvenuti “due esemplari di specie ittiche protette” il che, sempre che i termini siano stati usati correttamente, dovrebbe significare cicale o magnose (Scyllarides Latus), crostaceo che in Sardegna è oggetto di un decreto regionale di protezione, che ne vieta la cattura a chiunque, professionisti compresi, da diversi anni.
(ndr 09-04-2019 – Giuridicamente i termini “protetto” e “vietato”, in riferimento ad una specie e al suo prelievo, hanno significati ben diversi. Solo a nove mesi di distanza dai fatti, in occasione della pubblicazione della sentenza della giustizia sportiva, che contiene alcuni stralci del verbale, è emerso con certezza che le specie contestate fossero in realtà una cernia (Epinephelus marginatus) e una corvina (Sciaena umbra), e che quindi il giornalista usò scorrettamente l’appellativo di “specie protetta” quando avrebbe dovuto semplicemente parlare di “specie vietate”. All’epoca dei fatti però, nessuno ritenne opportuno confutare l’ipotesi in modo oggettivo).
L’operazione si è conclusa con il sequestro del pescato e di tutti i fucili subacquei presenti all’interno del mezzo.
Dalle fonti giornalistiche, appaiono prive di fondamento le voci diffusesi nei giorni precedenti che riferivano di pesca notturna, della presenza di esemplari di cernia bruna al di sotto della misura regolamentare (che però è specie di cui è vietato il prelievo in tutta la zona del parco, anche nelle aree in cui è autorizzata la pesca sportiva, ma solo ai residenti) e del fatto che il motore fosse stato trovato privo dell’obbligatoria copertura assicurativa.
Il clamore scatenato dall’articolo, soprattutto per la descrizione estremamente dettagliata che è stata data del trasgressore, ha spinto la FIPSAS a pubblicare già nella giornata di ieri un duro comunicato stampa in cui si annuncia che: “la FIPSAS farà tutti gli accertamenti del caso per risalire all’esatta identità di tale soggetto. Questo allo scopo di poterlo denunciare agli Organi di Giustizia Sportiva e fare in modo che quest’ultima possa assumere gli opportuni provvedimenti disciplinari.
Per la FIPSAS, considerata anche la sua natura di Associazione di Protezione Ambientale, non è tollerabile, infatti, che un proprio tesserato si renda protagonista di una simile condotta, la quale risulta altamente lesiva sia dell’immagine della Federazione stessa che dei valori che quest’ultima incarna.”
Se i fatti fossero confermati – i controllori contestano ma sarà poi un giudice a stabilire l’effettiva consistenza delle accuse – le conseguenze potrebbero essere estremamente pesanti. Dal punto di vista personale, la pesca in zona di massima tutela di una riserva, sia essa parco nazionale o area marina protetta, è fattispecie di rilevanza penale, così come anche il prelievo di specie considerate protette, non semplicemente vietate come lo sono invece tutti gli altri crostacei per il pescasub.
La violazione delle normative a tutela delle aree protette, di cui alla legge 394/91, è sanzionata con l’arresto fino a 6 mesi (che poi viene convertito in ulteriore pena pecuniaria) e con l’ammenda da 103 a 12.912 euro, e comporta l’automatica segnalazione dei trasgressori all’autorità giudiziaria. A questo si aggiungono poi le sanzioni amministrative, per diverse migliaia di euro, per pesca sportiva, accesso, sosta e prelievo in zona vietata.
Dal quello sportivo invece si aprirebbero le porte per un procedimento disciplinare che potrebbe culminare con il provvedimento estremo della radiazione, ossia l’espulsione a tempo indeterminato dalla federazione, provvedimento che ad oggi, per fatti legati alla pesca illegale, non si è ancora visto, anche perché facilmente aggirabile. Non sarebbe altrettanto semplice invece sottrarsi ad una eventuale costituzione di parte civile da parte della federazione che, in caso di condanna, avrebbe titolo per richiedere un risarcimento per il pesante danno d’immagine arrecatole dal comportamento del suo tesserato.
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