Pesca sub in condizioni avverse: istruzioni per l’uso
Per molti anni la tecnica principe attuata per effettuare belle catture è stata da tutti individuata nell’aspetto, col quale si possono insidiare quasi tutte le specie di interesse venatorio, in primis dentici e ricciole, ma anche pesce bianco in generale e, occasionalmente, cernie. Negli ultimi anni, però, ho notato che sempre più spesso, a causa di fenomeni quali il termoclino, il fumo sul fondo e la mucillagine, è sempre più raro trovare in mare le giuste condizioni per la pratica proficua di questa tecnica di pesca.
Sono stato quindi progressivamente costretto a modificare la tecnica di pesca per adattarmi alle mutate condizioni, che nelle mie zone (bassa Toscana) sovente si verificano tutte contemporaneamente: dopo il primo tuffo capisci subito che c’è un forte termoclino a pochi metri dalla superficie, il fondale è tappezzato di mucillagine e, oltre una certa quota, la visibilità si riduce sensibilmente per presenza di fumo.
Con condizioni del genere ad un aspettista incallito passerebbe subito la voglia di pescare, ma adattando la tecnica è ugualmente possibile riuscire a portare a tiro qualche bel pesce, sebbene l’impresa si prefiguri sicuramente più ardua.
Innanzitutto, se osserviamo il fondale attentamente, noteremo che con condizioni del genere si riscontra una scarsissima presenza di mangianza, di solito concentrata negli strati superficiali di acqua più calda e chiara, di conseguenza aspettarsi l’arrivo di qualche predone all’aspetto costituirà una speranza il più delle volte vana.
Sarà più opportuno impostare la battuta a scorrere il fondale con lunghe planate ricognitive, al fine di individuare i rari punti in cui si concentra la mangianza e quelli in cui, magari, appare più nervosa. Solo qui potremo tentare un aspetto con qualche possibilità di avvistare prede degne di nota, sempre cercando di mantenerci al di sopra del termoclino (meglio se proprio al limite), altrimenti sarà più proficuo continuare con le sommozzate ricognitive.
In genere, al di sotto del termoclino, quindi nella fascia di acqua più fredda, le prede che è possibile insidiare sono le cernie, le corvine ed i saraghi fasciati, sebbene spesso anche loro stazionino più in superficie, nell’acqua più calda, per poi riguadagnare il fondo se disturbati. Le nostre planate saranno quindi incentrate sulla ricerca a vista di questo genere di prede.
L’orario è molto importante in questo tipo di pesca, perché di norma è più facile avvistare le prede fuori tana nelle ore centrali della giornata, quando il sole è già alto. Difficilmente troveremo una cernia in giro all’alba, mentre con il sole alto sarà più probabile avvistarla all’esterno del suo abituale rifugio e poterla colpire in caduta.
Ovviamente l’occhio e l’esperienza avranno la loro parte, perché individuare una cernia mentre si plana non è sempre cosa semplice. Bisogna innanzitutto sapere dove guardare, un po’ come per la ricerca dei funghi, e concentrarsi sui dettagli che possono tradire la sua presenza pur se ben mimetizzata con il fondale, come ad esempio le sue pinne ventrali, spesso in movimento.
Spesso la cernia ama sostare all’imboccatura della sua tana o di una tana di caccia temporanea, oppure all’ombra di qualche tettoia: mentre planiamo dobbiamo fare sempre attenzione e dare un’occhiata alle tane più promettenti, poiché se avvisteremo il serranide per tempo avremo maggiori possibilità di cattura, mentre se lo avvisteremo in ritardo quasi sempre non riusciremo a portarlo a tiro in caduta.
Se va bene, individuata la sua roccaforte potremo tentare di spararla in tana, ma spesso, specialmente nelle franate che caratterizzano i fondali che frequento abitualmente, ciò sarà impossibile. Discorso analogo si può fare per le corvine, anch’esse prede che non temono particolarmente i rigori del termoclino, con la differenza che gli scenidi hanno ormai perso quasi del tutto l’abitudine a fequentare le tane, prediligendo la fuga dei posidonieti.
Quando si individua un volo di corvine, spesso è possibile effettuare un solo tiro in caduta, mentre le altre si dilegueranno nel dedalo intricato ed inespugnabile costituito dagli steli della posidonia. Unica eccezione il grotto, nel quale è ancora possibile catturare corvine in tana, sebbene purtroppo dalle mie parti questo tipo di fondale sia abbastanza raro. I saraghi fasciati, poi, sono l’unica specie di sarago che abbonda nell’acqua fredda al di sotto del termoclino, ma raramente raggiungono dimensioni tali da suscitare un interesse venatorio.
Se poi in giro, nonostante le numerose planate effettuate, non riusciamo ad avvistare nessuna preda degna del nostro interesse, allora non rimane che tentare la carta della pesca in tana.
Proprio qualche tempo fa, in compagnia di mio fratello Giorgio, mi trovavo al Monte Argentario con condizioni del genere, complicate dalla presenza di mare molto mosso. Per fortuna la visibilità in acqua non era malvagia, così ho impostato la battuta su lunghe planate a scorrere. Dopo alcune ore infruttuose, trascorse senza vedere letteralmente una coda, ho deciso di dedicare l’ultima oretta all’esplorazione di alcune tane, chiaramente ben conosciute. Dopo la visita di alcune tane vuote, o abitate da prede di piccole dimensioni, cerniotte e mostelle, mi sono finalmente imbattuto in un’ampia spaccatura all’imboccatura della quale ho scorto, da qualche metro di distanza, una bella cernia che ho prontamente colpito con il 110 e successivamente estratto. Se non avessi modificato la tecnica di pesca e avessi perso fiducia nella possibilità di una bella cattura, sicuramente la giornata si sarebbe risolta in un brutto cappotto.
Questa tecnica chiaramente presuppone una buona visibilità in acqua, almeno 10-15 metri, e laddove oltre al termoclino, la mucillagine ed il fumo sul fondo dovessimo trovare anche aqua molto torbida….forse è il caso di desistere.
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