Ai Caraibi col Vespucci nel 1963
Ci sono esperienze personali che diventano un pezzo di storia della pesca subacquea, e che accendono l’immaginazione degli appassionati e alimentano la loro curiosità sulla ricchezza del Mare di un tempo e sugli spettacoli che si mostravano agli occhi dei pionieri della nostra disciplina. Anni addietro ho avuto il privilegio di raccogliere questo ricordo di Roberto Borra, a lungo Capitano della Nazionale di pesca in apnea e Presidente del blasonato CICA Sub Garibaldi di Livorno. Borra ha vissuto l’indimenticabile crociera addestrativa che nel 1963 portò la nave scuola Amerigo Vespucci a solcare l’Atlantico per poi attraversare il Mare Caraibico, toccando luoghi suggestivi quali Port of Spain a Trinidad & Tobago, Kingston in Jamaica e non ultimo le Bermuda. In quella lunga traversata Borra ebbe occasione di pescare in un mare ricchissimo, ammirando spettacoli da sogno. L’articolo è apparso nel mese di luglio del 2008 sul numero 65 di Pesca in Apnea e ve lo proponiamo corredato da una fotogallery arricchita da scatti inediti.
Come capitano della nazionale di pesca in apnea ho avuto la possibilità di girare il mondo ed immergermi in mari lontani, accumulando esperienze uniche e ricordi indelebili. La mia prima pescata in oceano, però, risale ai primi anni sessanta, quando, ancora ragazzo, ebbi l’onore di partecipare ad una indimenticabile missione dell’Amerigo Vespucci, la famosa nave scuola della Marina Militare.
La mia famiglia ha una consolidata tradizione marinara. Già il nonno di mio padre, un trapanese, era comandante di marina mercantile. Mio padre, invece, si arruolò volontario nel 1929 come sottufficiale della Marina militare e fece tutta la carriera sino a congedarsi da ufficiale CM. Ho quindi avuto modo di vivere a stretto contatto con l’ambiente della Marina sin da piccolo, anche perché per alcuni anni la nostra famiglia ha vissuto in un appartamento all’Accademia di Livorno, dove non a caso sono venuto in contatto con l’attività subacquea.
Ho sempre avuto un rapporto amore-odio con l’ambiente della Marina. Mio padre era un motorista navale, e per questo era quasi sempre imbarcato tra Taranto, Brindisi, Augusta, Spezia e Venezia. A casa lo vedevamo pochissimo. Per me desiderava un futuro in Accademia, ma onestamente non ero interessato a fare carriera nella Marina, perché la prospettiva di una vita come la sua non mi entusiasmava affatto ed anche perché, in cuor mio, desideravo diventare un fotografo.
Dopo il diploma, comunque, fui chiamato alla leva, e proprio in virtù del diploma appena conseguito ebbi l’opportunità di fare una piccola carriera nei 26 mesi di servizio militare. All’inizio del mese di gennaio del 1963 mi recai a La Spezia, dove iniziai l’addestramento. Un maresciallo in servizio al reclutamento era amico di mio padre, così fui efficacemente raccomandato come fotografo navale. Successivamente fui mandato a Roma a fare un corso di fotografia presso il Ministero, risultando primo della classe, e grazie a questo risultato ebbi l’onore della destinazione più ambita: l’imbarco sul Vespucci.
I primi di aprile mi trasferii da Roma a La Spezia per prendere posto a bordo della nave scuola come fotografo navale. Varata nel 1931, l’Amerigo Vespucci è una nave a vela dotata di due motori diesel FIAT da otto cilindri per 3000 cavalli di potenza. Lunga 70 metri (101 fuori tutto) e larga 15,56 (21 considerando l’ingombro delle lance che sporgono dalla murata) ha un dislocamento a pieno carico di 4100 tonnellate ed ospita un equipaggio di 278 persone. E’ normalmente utilizzata per l’addestramento degli allievi della prima classe che iniziano il quinquennio in Accademia, e praticamente ogni anno affronta delle crociere addestrative, a volte superando lo stretto di Gibilterra e, più raramente, attraversando l’Oceano.
Il 1963 fu un anno particolare, perché la crociera si profilava particolarmente lunga ed avventurosa: 125 giorni di viaggio per un totale di oltre 11.000 miglia. Partimmo da La Spezia il 28 giugno per affrontare la prima tappa di 1565 miglia che ci avrebbe condotto alle Canarie. Dopo una breve sosta forzata a Palma di Maiorca, necessaria per riparare i danni prodotti da un piccolo incidente ad uno degli alberi, l’undici luglio approdammo alle Canarie, dove ci fermammo per qualche giorno per prepararci alla traversata oceanica.
In qualità di fotografo navale io avevo il compito di documentare la campagna e di preparare i servizi fotografici da mandare al Ministero tramite il servizio postale militare. Il Ministero poi mandava foto e notizie ai giornali tramite l’ufficio stampa, ed infatti i giornali del tempo seguivano con attenzione le varie tappe del Vespucci, che oltre ad addestrare gli allievi svolgeva una funzione di rappresentanza, portando l’immagine dell’Italia nel mondo. In ogni porto in cui si approdava, infatti, venivano programmati incontri, ricevimenti e rinfreschi con le autorità locali, consoli ed ambasciatori in loco: tutti eventi che avevo il compito di documentare.
Il 15 luglio salpammo da Las Palmas per affrontare l’Oceano e raggiungere Porto of Spain, a Trinidad: ci attendevano ben 23 giorni di navigazione sulle antiche rotte oceaniche degli Alisei, solcate dai velieri del settecento, cui peraltro il Vespucci si ispira sotto il profilo strutturale e per la conformazione della velatura.
Io ed i miei commilitoni ci sentivamo dei veri pirati. La vita a bordo di un veliero è molto diversa da quella di una base a terra: pur restando un ambiente militare, tra marinai e ufficiali c’è un rapporto molto più umano e collaborativo, e l’usuale rigore militare viene stemperato dalle difficili condizioni della vita di bordo. Per fare un esempio, nello spazio ristretto della nave non era ragionevole mettersi sull’attenti e salutare l’ufficiale ogni volta che lo si incrociava: era sufficiente farlo al primo incontro, al mattimo. Si viveva all’aria aperta, sfruttando le ore “libere” per dormire in un qualsiasi punto della nave, prendere il sole, leggere un libro. Il mio lavoro mi consentiva una grande libertà di movimento, perché quando non mi trovavo nel laboratorio a pulire, sviluppare o stampare foto, potevo girare liberamente sulla nave per scattare fotografie della vita di bordo. Inoltre, come il barbiere, il calzolaio o il cuoco, godevo di una particolare considerazione presso i compagni, che spesso mi chiedevano il favore di scattare loro una foto o di procurare una determinata stampa.
Durante la traversata il Vespucci non accese mai i motori, neanche quando ci furono momenti di calma piatta. Con la bonaccia il caldo si faceva sentire e non mancava chi, approfittando delle esercitazioni, si concedeva un bagno refrigerante. Le esercitazioni erano un momento formativo sicuramente importante e a volte divertente: ci si esercitava al tiro utilizzando dei galleggianti, mentre per quelle di naufragio o abbandono della nave si veniva messi a bordo di una lancia e calati in mare. Il Vespucci se ne andava e l’esercitazione consisteva nell’impostare la rotta per il punto d’incontro con la nave, che poteva avvenire anche dopo più di un giorno. Passare la notte nel bel mezzo dell’Oceano su una lancia di sette metri dotata unicamente di remi e vele d’emergenza è stata un’esperienza indimenticabile.
Durante la traversata avemmo occasione di pescare a traina, prendendo tonni ed altri pesci, compreso un grosso squalo. Lo stesso Comandante De Qual era un appassionato di pesca in generale: medaglia d’oro dei mezzi d’assalto nella Grande Guerra, era anche un appassionato subacqueo, che al tempo significava quasi sempre essere appassionati di caccia subacquea. Dopo 23 giorni di traversata giungemmo finalmente a Trinidad e, in seguito ad una sosta di soli tre giorni, il 10 agosto ripartimmo alla volta di La Guaira, in Venezuela, circa 170 miglia a ovest dell’isola dove nel 2002 si è svolto il mondiale di pesca in apnea. Fu proprio a Isla Santa Margherita che, approfittando di una pausa sulla via di La Guaira, potemmo provare l’ebbrezza di una battuta di pesca subacquea.
A bordo un po’ tutti sapevano della mia passione per la caccia subacquea, peraltro condivisa non solo dal Comandante, ma anche dal palombaro di bordo e da qualche guardiamarina. Da casa mi ero portato solo maschera e boccaglio Bucher e un paio di pinne Alcione della Pirelli, anche perché mai e poi mai avrei pensato di potermi immergere a caccia di pesci, ma fra le dotazioni del Vespucci c’era anche l’attrezzatura da “caccia subacquea” -come si chiamava al tempo- così mi armai di un rugginoso Torpedine, un modello di fucile a molla che oggi farebbe sorridere i nostri giovani, abituati ad attrezzature di ben altra potenza.
Partimmo a bordo di una delle motobarche, ed una volta raggiunta una zona che ci sembrava adeguata ci calammo in mare. L’acqua era calda e incredibilmente limpida e ricca di pesci di ogni tipo, anche se si deve considerare che a quel tempo il “mio” mare della Meloria era ancora un vero paradiso e che la differenza con i Caraibi, seppure evidente, non era certamente quella di oggi. Ricordo però la visione di un fondale brulicante di vita, con cernie di colore chiaro, carangidi, pesci pappagallo. Ricordo chiaramente che non fu semplice mettersi a pescare in quell’ambiente, perché eravamo tutti giovani e non ci sentivamo troppo tranquilli. Comunque rientrammo con due grossi sacchi di pesce, che ovviamente non presentavano notevoli difficoltà di cattura, almeno entro una certa taglia: l’unico limite era dato dalla scarsa potenza dei fucili. La pescata durò poco, perché avevamo circa tre ore in tutto per l’escursione, ma tornammo felici e divertiti, augurandoci di poter ripetere l’esperienza.
Per poter pescare fummo costretti a saltare il pranzo, poi nel tardo pomeriggio si fece l’ammaina bandiera e si ripartì per entrare nel porto di La Guaira.
Dopo quattro giorni di sosta, il 17 agosto salpammo nuovamente in direzione di Kingstone (Jamaica), ed il 27 agosto riprendemmo il cammino verso Miami, in Florida. Fu a Miami che ebbi occasione di conoscere il Padi: fummo invitati presso un Diving per osservarne la struttura. Era dotato di camera iperbarica, barcone con tutti gli accessori, docce, attrezzature di ogni tipo. Era il 1963, e ad essere onesto non mi pare di aver ancora visto niente del genere qui in Italia.
Dopo una settimana di sosta, salpammo di nuovo il 9 settembre alla volta delle Bermude, distanti otto giorni di navigazione. Fu proprio alle Bermude che avemmo occasione di tentare una seconda battuta di pesca, questa volta con più tempo a disposizione. Le Bermude sono un complesso di oltre 300 fra isole, scogli e scoglietti, per cui una volta usciti dal porto affrontammo questa sorta di labirinto fino a che non raggiungemmo un posto apparentemente ideale. Ricordo un fondale dalle tinte inusuali, popolato da pesci dalle fogge e dai colori esotici che richiamarono alla mia mente i numerosi racconti di pesca nei mari tropicali di Sarra, De Sanctis e Valiati, letti avidamente su Mondo Sommerso. Ricordo che ero molto concentrato sui pesci e che cercavo di riconoscere le varie specie descritte in quegli articoli. Facendo tesoro della precedente esperienza, questa volta risultammo tutti più efficaci e prendemmo molto più pesce. Ricordo dei barracuda enormi, che non mi sognavo nemmeno di sparare -a dirla tutta, mi incutevano un certo timore- e ricordo ancora che tentai di colpire un grosso carangide con l’unico risultato di veder rimbalzare l’arpione, a riprova della totale inadeguatezza dell’attrezzatura.
Fu una bellissima esperienza, che mi regalò tanti bei ricordi ed altrettanti racconti per i miei compagni del circolo Garibaldi di Livorno: a quei tempi, un’esperienza di pesca in mari tropicali non era certamente da tutti! Fra tutti coloro che avevano partecipato alle battute di pesca durante la crociera, probabilmente ero il più esperto, avendo alle spalle sei o sette anni di esperienza. Già nel ’60 mi ero brevettato ed avevo iniziato a fare gare con il circolo Garibaldi, e purtroppo avevo già sperimentato la sincope nel ’62 -prima ed ultima della mia lunga carriera.
Ripartimmo dalle Bermude il 21 settembre per attraversare di nuovo l’Oceano e raggiungere l’isola di Madera, a nord delle Canarie. A quel tempo non si parlava ancora del famoso Triangolo delle Bermude, ma dopo la partenza ci imbattemmo in un ciclone e passammo tre giorni infernali in un mare spaventosamente infuriato. Ricordo ancora i miei compagni che piangevano e si sentivano male, lasciando tracce olfattive che aggravavano il già consistente disagio. Fummo costretti a restare senza pasti caldi per due giorni perché non c’era modo di tenere le pentole sui fornelli e fu davvero un’esperienza difficile. Onde gigantesche passavano sopra il ponte, mentre gli oblò della prima fila finivano sott’acqua, offrendo una visione subacquea degna di un acquario. Meno male che il Vespucci è una nave solida e sicura, basti pensare che solca i mari del mondo da oltre 80 anni.
Dopo un’ultima sosta a Tangeri, il 24 ottobre ripartimmo alla volta di Portoferraio, per poi rientrare a La Spezia nella prima settimana di novembre. Quando finalmente fui destinato a Livorno, nel gennaio del ’64, ebbi il dispiacere di mancare di pochissimo il corso istruttori tenuto da Duilio Marcante, ma la passione per la pesca in apnea era viva più che mai, anche grazie a quelle sporadiche ma intensissime esperienze oceaniche.
Da quella indimenticabile crociera d’altri tempi sono ormai passati oltre 50 lunghissimi anni, ma la passione per il mare e la pesca sono rimaste quelle del giovanotto appena imbarcato sul Vespucci. Ancora oggi nella mia Elba mi affaccio ogni mattina per controllare le condizioni e valutare l’opportunità di un tuffo. Con gli anni e gli acciacchi dell’età le scuse per rimandare la pescata sono aumentate, soprattutto nella brutta stagione, ma l’entusiasmo per quella sfida unica con se stessi e la natura sembrano del tutto immuni dal tempo: l’istinto del predatore mai sopito né sbiadito dagli anni sembra volermi ricordare ogni giorno ciò che sono sempre stato e che sarò, con orgoglio, fino all’ultimo respiro.
FOTOGALLERY
Vespucci Crociera Caraibi 1963
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