Parchi Marini Regionali in Calabria: lettera aperta al Ministro
riceviamo dall’Arch. Antonio Mancuso e volentieri pubblichiamo questa sua lettera aperta diretta al Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Alfonso Pecoraro Scanio
– Onorevole Ministro,
chi scrive è un ‘vecchio’ pescatore in apnea che, spinto da quanto ormai succede da diversi anni nel nostro Paese, ha sentito la necessità di doverLe inviare questa lettera aperta.
La molla che mi ha spronato a farlo, per la verità, è scattata a seguito della recente approvazione, avvenuta il 18 dicembre 2007, da parte della Giunta Regionale Calabrese, dietro proposta dell’assessore regionale all’Ambiente, Diego Tommasi, dell’istituzione di un ‘Parco Marino Regionale’ che comprende i fondali di ‘Capo Vaticano, Capo Cozzo, S. Irene, Vibo Marina e Pizzo Calabro, che fa seguito all’approvazione avvenuta nel mese di settembre, da parte del Consiglio Regionale, sempre dietro proposta dell’assessore Diego Tommasi, di quattro proposte di legge per l’istituzione di altrettanti parchi marini in Calabria che sono: la ‘Riviera dei Cedri’ (da Acquappesa a Praia a Mare), la ‘Baia di Soverato’, la ‘Costa dei Gelsomini’ (da Capo Bruzzano a Punta Spropoli) e gli ‘Scogli dell’Isca’; parchi, questi, che andrebbero ad affiancarsi alla già istituita Area Marina Protetta di ‘Isola Capo Rizzuto’ (che comprende i fondali tra ‘Praialonga’ e ‘Crotone’, per circa 40 chilometri di litorale ed un’estensione in mare di 15 mila ettari). Da tempo, inoltre, si parla in maniera sempre più insistente di voler tutelare lo ‘Stretto di Messina’ e la ‘Costa Viola’ da Palmi a Bagnara.
La cosa, in se, farebbe onore alla regione in cui risiedo, così come potrebbe fare onore alla nostra nazione, che tra AMP, zone di tutela archeologica, parchi terrestri che si estendono fino al mare, santuari marini e così via, vanta ben 26 aree poste sotto tutela (pare tra l’altro che il programma miri a superare le cinquanta AMP), se queste assolvessero realmente alla loro funzione di tutelare, salvaguardare e proteggere il mare, secondo le intenzioni dell’ormai antica legge istitutiva, o se, invece, non sarebbero che l’espressione di facciata di un ambientalismo esasperato, che nasconde meno nobili interessi economici.
Approfondendo il discorso, infatti, il dubbio diventa lecito. Ogni zona interdetta alle attività di forte impatto di origine antropico, dovrebbe necessariamente essere realmente protetta e non dovrebbe succedere, invece, che vengano inserite deroghe che delegittimino ogni buona intenzione. Così facendo il meccanismo certamente non funziona come dovrebbe!
Per meglio chiarire questo concetto mi corre obbligo evidenziare, che, in queste cosiddette aree marine protette, possono pescare i professionisti, possono transitare barche e traghetti, possono fare il bagno migliaia di persone, possono pescare i cannisti, ma sono esclusi i pescatori subacquei in apnea. La domanda a questo punto sorge spontanea: ‘Allora che senso ha tutto ciò?’ E mi piacerebbe comprendere, quindi, se possono effettivamente considerarsi protette (nel vero senso letterale del termine) aree marine in cui sono consentite la pesca professionale artigianale, in cui (a pagamento) sia permesso navigare, in cui transitano traghetti e barconi turistici, in cui non c’è nessuna forma di controllo sull’inquinamento ed in cui (a pagamento) sia ammessa la pesca di superficie. C’è da chiedersi, quindi, essendo quella dei pescatori subacquei in apnea l’unica categoria esclusa: ‘È colpa di questi sportivi (che, come sappiamo, si immergono sfruttando la sola aria contenuta nei loro polmoni, per andare ad insidiare prede nate e cresciute in un ambiente sotto molti aspetti ostile all’uomo) che il depauperamento ittico dei nostri mari abbia raggiunto livelli tali da giustificare la sola loro esclusione dalle AMP?’
Vorrei evidenziare, inoltre, come la pesca subacquea in apnea sia l’unica forma di prelievo ittico eco-compatibile, poiché ogni pescatore è in grado di selezionare le proprie prede avendo la possibilità di vedere in anticipo il pesce che ha davanti e, quindi, decidere se tentarne la cattura. Per di più, questa forma di prelievo, è completamente priva di danni collaterali, come avviene, invece, con altre metodologie di pesca. Probabilmente, però, questa sorta di crociata che si sta combattendo oggi nei confronti di questa categoria, è favorita dal quasi inesistente peso politico dei pescatori subacquei in apnea, i quali diventano il capro espiatorio contro cui scagliarsi ed addossare loro tutte le responsabilità.
Per quanto riguarda poi l’estensione delle AMP, va evidenziato come sia praticamente impossibile un controllo accurato di ciò che avviene al loro interno durante tutti i periodi dell’anno. Succede quindi che, nella stagione estiva, quando i litorali sono affollati di turisti, i controlli sono abbastanza efficaci; quando invece nelle altre stagioni il mare torna ad essere deserto, ed emergono i problemi di scarsità di mezzi ed insufficienza di personale, si dà spazio al più sfrenato bracconaggio, con il risultato di vanificare ogni presunto tentativo di salvaguardia dell’ambiente marino. Eppure basterebbe guardarsi attorno e capire quanto avviene in altre nazioni, per trovare soluzioni decisamente più soddisfacenti. In Francia ed in Spagna, che, sotto gli aspetti geografico ed ambientale, sono due paesi molto simile al nostro, esiste un numero limitato di AMP (per di più di estensione contenuta), a rotazione e soprattutto ben controllate, dove
chi infrange le regole paga caro. Se in queste nazioni le aree protette funzionano bene, senza provocare disparità e/o privilegi, perché non se ne segue l’esempio anche nel nostro Paese?
Da quanto fin qui illustrato, quindi, si evince che, per come sono attualmente strutturate le aree marine protette nel nostro Paese, più che proteggere il mare, esse sembrano più soddisfare clientelismi politici locali, mirati ad accaparrare consensi, piuttosto che dare reali soluzioni al problema della difesa del l’ambiente marino.
Vorrei aggiungere ancora, Onorevole Ministro, che ho letto con molto interesse la missiva inviataLe dall’On. Pagliarini, nella quale, evidenziando i problemi delle aziende produttrici di attrezzature subacquee e dei praticanti della pesca subacquea in apnea, Le suggeriva di adottare ”una politica meno restrittiva, semplicemente uniformando le norme ed i divieti di questo specifico settore a quelli esistenti per gli altri settori della pesca, anche e soprattutto sportiva e amatoriale”, ed ho prestato molta attenzione alla Sua lettera di risposta, nella quale Lei sostiene, facendo riferimento all’esame della letteratura scientifica (non specificandone, però, le fonti) e alle esperienze gestionali esistenti in questo campo a livello nazionale ed internazionale, che la pesca subacquea in apnea è stata considerata non compatibile con le finalità istituzionali delle AMP in base ad un principio, quello precauzionale, relativamente al suo potenziale impatto incontrollato. Come Le specifica nella stessa missiva l’Onorevole Pagliarini, però, in base a ricerche condotte da Enti ed Università statunitensi, spagnole, francesi e dalla FAO, viene dimostrato che ‘La pesca in apnea, a seconda delle ricerche effettuate, rappresenta dallo 0,3% all’1% del totale pescato’; un’incidenza veramente irrisoria, che non può in nessun modo giustificare l’atteggiamento persecutorio nei confronti della nostra categoria di sportivi.
In ultimo, ma non per questo meno importante, vorrei porre l’accento sulla conclusione della Sua lettera, quando scrive che: ‘I lavoratori del comparto ed i praticanti della pesca in apnea potranno rivolgere i loro interessi nelle zone di mare che non rientrano in aree marine protette, le quali in realtà costituiscono solo una parte marginale del nostro mare territoriale’. Proprio in considerazione di questa sua dichiarazione, ed in relazione a quanto si sta prospettando in Calabria con le suddette proposte per l’istituzione di nuove AMP, dovrebbe farmi capire, Onorevole Ministro, dove sarà possibile praticare in questa regione uno sport tanto affascinante e difficile, com’è appunto la pesca subacquea in apnea, e se sia giusto costringere i calabresi che amano questa disciplina sportiva, e la praticano nel pieno rispetto della normativa vigente, ad ‘emigrare’ in altre regioni per continuare ad esercitarla.
Questo è quanto.
Distinti saluti,
Arch. Antonio Mancuso
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