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Noi e gli altri

| 25 Febbraio 2007 | 0 Comments

 

L’autore dell’articolo in azione – Foto: G. Volpe

Alessandro Martorana è un veterano dell’agonismo ed un apprezzato giornalista del settore. La sua collaborazione con Apnea Magazine, per quanto saltuaria negli ultimi anni, affonda le sue radici nelle origini stesse della e-zine. E’ con immenso piacere che pubblichiamo questo suo contributo nello spazio dedicato agli editoriali, convinti che il pensiero di Alessandro ben rappresenti il nostro modo di vedere la pesca in apnea.

Un alieno ci osserva dallo spazio.
Osserva il nostro mondo e tutto quello che c’è dentro: foreste, mari, fiumi, deserti, montagne. Ma, soprattutto, città, case e uomini che le abitano, tanti uomini. Il nostro alieno viene da un pianeta lontanissimo, un pianeta in cui l’ individualismo è preponderante. Un mondo in cui non viene tollerato, né tanto meno giustificato, il volersi raggruppare, massificare, ammucchiare, annullando così le prerogative e le caratteristiche del singolo individuo per assumere quelle del “gruppo”, come se ogni suo componente ne venisse, in qualche modo, bollato e marchiato.
Immaginate quindi con quanta spocchia e con quanto disgusto il nostro esploratore siderale ci osservi e ci studi, paragonando le nostre società e le nostre civiltà a formicai e alveari, strutture sociali che ben conosce.
Già, questo è quello che vede l’ alieno dalla sua posizione lontana e distaccata. Egli vede gruppi di individui che nascono, si affannano e muoiono, il cui unico e vero interesse è unicamente la prosecuzione della specie. E il bello è che la maggior parte dei terrestri che osserva non sembrano nemmeno rendersene conto. Sono convinti di combattere per qualcos’altro; alcuni per qualcosa di grande e nobile, altri per accumulare ricchezze e beni, magari senza farsi tanti scrupoli. Eppure i fatti dimostrano, freddamente e in maniera incontrovertibile, che l’unica cosa che rimane della vita di un uomo è solo la generazione di altri uomini, e tanti di essi non lasciano neppure questo.

Questo è il punto di vista del nostro immaginario e lontano osservatore proveniente da un altro mondo. Noi che viviamo in “questo” mondo, sappiamo invece che la realtà è ben diversa; conosciamo benissimo quanto è meravigliosa la nostra vita e quante splendide gemme possiamo cogliere nel corso della nostra esistenza se solo ci soffermiamo ad osservare, fermandoci un momento, la terra che calpestiamo ad ogni passo.

Foto: A Balbi

Vedete, però, quanto è facile e “logico” farsi un’idea sbagliata di un mondo che abbiamo la possibilità di osservare solo da lontano e, soprattutto, se proveniamo da un pianeta diverso e remoto?
Se proviamo per un attimo a immedesimarci nel nostro immaginario alieno, chi di noi si può sentire in diritto di biasimarlo e di condannare senza indugio le sue convinzioni, suffragate dal suo diverso modo di pensare, retaggio di un differente sviluppo cognitivo e di una diversa mentalità?

Proviamo adesso a “teletrasportare” questo ardito esempio nel “nostro” mondo di pescapneisti; un mondo fatto di individui giustamente convinti e consapevolmente soddisfatti della loro coscienza di uomini liberi e perfettamente integrati in un ambiente molto diverso da quello che lasciano sulla riva, una volta che, calzate pinne e maschera e imbracciato un fucile, si immergono nel “loro” mare. Un mare che non è certo lo stesso di chi si limita a scalfirne la superficie navigandovi sopra, a pizzicarne l’orlo quando, nel pieno della stagione balneare, ci si lava dentro e, infine, un mare ben diverso da quello di chi ama farsi vomitare in acqua da quelle catene di montaggio industriale che sono i diving.
Partendo da questo punto di vista, forse potremmo renderci conto del reale rapporto di conoscenza che intercorre tra noi e chi, invece, ci conosce solo per l’immagine che proiettiamo verso l’ esterno; un’immagine spesso distorta ed estremamente superficiale, se vista da molto lontano e solo in base ad episodiche frequentazioni; un’immagine che, molto spesso, viene fornita da “personaggi” che, seppur appartenendo al nostro mondo, in realtà spesso ne condividono solo alcuni aspetti epidermici, travisando e violentando la pura e cristallina sete di divertimento, conoscenza ed innocente evasione che, ne sono sicuro, è insita nella maggior parte di noi.
Ma tutte queste cose le sappiamo benissimo e immagino che, in una certa misura, sarete ormai stanchi di raccontarvele tra di voi e leggerle sulla stampa specializzata; purtroppo, finché così sarà e ci limiteremo a questo, difficilmente avremo la possibilità di scalfire l’ opinione che il resto del mondo ha di noi.

Foto: A Balbi

Però qualcosa sta cambiando e la nascita di strumenti di grande potenziale penetrazione nel “comune sentire”, come Apnea Magazine, ne è la dimostrazione e la riprova.
Ma non basta, tutti noi dovremmo dare il nostro contributo; un contributo fatto di azioni e fatti, non di sterili chiacchiere da bar.
Attenzione, non sto parlando di manifestazioni e incontri da promuovere e organizzare; tutte cose assolutamente utili e meritorie ma che, purtroppo, rientrano sempre nella sfera del “che rimanga fra noi”.

Intendo invece riferirmi al piccolo-grande contributo che ognuno di noi può apportare, semplicemente… andando a pescare con intelligenza e stima di se stesso.
Non conosco la vostra età e la vostra carriera di pescapneisti. Non so da quanto tempo siete stati contagiati dalla nostra comune passione e non sono certo al corrente di quanto sapete della storia della pesca in apnea che, dagli anni 60, ha attraversato trasversalmente la società italiana. Vi posso però assicurare che il pescapneista di oggi è ben diverso da quello di 20 o 30 anni fa, e non mi riferisco solo alla maggior conoscenza di tecniche di pesca o al superiore raffinamento della tecnologia nelle nostre attrezzature.

Il pescatore sportivo ricerca la preda di qualità – Foto: A Balbi

Negli ultimi anni il pescatore in apnea è stato infatti testimone di una sensibile e palpabile crescita evolutiva; una volta, andare a catturar pesci con un fucile subacqueo era quasi un’ esternazione di machismo maschilista al limite della pirateria, da fare violentando senza rispetto e senza scrupoli il teatro naturale che lo accoglieva. L’ unica preoccupazione era quella di far carniere a tutti i costi, magari solo con l’intenzione di pavoneggiarsi sulla spiaggia gremita di bagnanti mostrando le proprie prede e scattando centinaia di foto da mostrare poi con orgoglio agli amici e ai parenti, credendo così di acquistare crediti nel rispetto e nella stima altrui.
Per millenni è stato così: il bravo cacciatore, quello che catturava più prede di tutti, era il punto di riferimento della sua tribù, in quanto in grado di sfamarla. Adesso la musica è molto diversa e se continuassimo a ragionare in questi termini, meglio faremmo a rinchiuderci in un museo etnografico.
Fortunatamente, invece, ora la maggior parte dei pescapneisti è composta da persone che danno alla loro passione una connotazione fondamentalmente diversa da quella di qualche anno fa. Adesso l’ obiettivo principale non è realizzare carnieri quantitativamente ponderosi, bensì ricercare, nel corso della battuta, il “pezzo” di qualità: la preda che, da sola, vale l’intera pescata grazie alla sua potenziale difficoltà di cattura.
Non a caso, nell’immaginario del pescapneista, la cernia, una volta considerata la preda “principe”, è stata sostituita dal dentice, un animale che sicuramente è meno facile da catturare e che costringe il pescatore a un superiore esercizio di intelligenza e tecnica.
Ma non basta, dobbiamo imparare anche a comportarci con rispetto, non solo verso noi stessi e le nostre prede, ma anche verso il prossimo che, provenendo da un mondo diverso dal nostro (ricordate l’ alieno?) potrebbe essere portato a travisare i nostri obiettivi e i nostri scopi.
Non facciamo inutile sfoggio delle nostre catture e impariamo a impostare ogni pescata in maniera consapevole e matura. Evitiamo le “mattanze” anche quando sappiamo benissimo che ben difficilmente ci si ripresenterà l’occasione.
È facile mostrarsi corretti verso la natura quando il mare è avaro di prede; difficile è invece farlo quando un momento particolarmente favorevole ci permetterebbe carnieri esagerati. E non lo dico solo per rispetto delle leggi, bensì per l’amore che dovremmo portare alla nostra attività e, di riflesso, a noi stessi.

 

Ma chi è questo pescatore in apnea? – Foto: A Balbi

Il “tetto etico” non dovrebbe essere quello dei 5 kg giornalieri, bensì quello che ci impone la nostra… cena. In questo modo, oltre a sentirci ancora più integrati nell’ecosistema marino, troncheremmo sul nascere anche ogni tentazione di vendita del pescato: una delle peggiori piaghe che danneggiano la nostra immagine.

E per finire, evitiamo ASSOLUTAMENTE ogni rischio.
Mai come quest’ anno il popolo dei pescapneisti ha pagato un prezzo così alto in termini di vite umane perse in mare.
Tutti noi sappiamo benissimo quanto sia inutile e penoso perdere un amico per un pesce. Eppure ancora succede.
Siamo arrivati al punto che, come nel caso dell’ incidente al povero Castorina, siamo stati tentati di tirare un sospiro di sollievo, dopo aver letto la notizia, perché la sua morte non è avvenuta in mare: e questo non è né bello, né sano.

La morte di un pescapneista è sempre una tragedia assoluta che ci lascia tutti attoniti e disarmati. Ma, è triste dirlo, è anche cinicamente un’ ulteriore ragione per cui, chi non condivide la nostra avventura, potrebbe considerarci ancora peggio e bollare definitivamente nella sua mente la nostra attività come una pura e anacronistica pazzia.

Noi sappiamo che non è così. Ma loro?

 

Category: Editoriali

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