La monopinna
E’ giunto il momento di affrontare l’argomento monopinna.
Ormai è certo che apnea profonda e monopinna procederanno di pari passo. Premetto subito che non sono un esperto “monopinneggiatore” e, perciò, cercherò di trasmettere quel poco che so, rivolgendomi soprattutto ai principianti. Gli esperti, se gradiranno leggere questo mio articolo, potranno trovare alcuni spunti di discussione e d’approfondimento e magari mi contatteranno per critiche o suggerimenti, sempre ben accetti.
Ovviamente i modelli sono centinaia e non descriverò tutti i dettagli ma darò indicazioni di massima. Innanzi tutto vediamo come è fatta una monopinna.
LA PALA
E’ molto più larga della somma delle due pinne singole e abbastanza più corta. Come superficie totale è grossomodo equivalente alle pinne tradizionali, anche se alcuni modelli fanno eccezione. La pala dei modelli base è realizzata in materiale composito a base di fibra di vetro, mentre per i modelli al top la fibra di carbonio rimane dominatrice assoluta. Ci sono vie di mezzo che sfruttano il carbonio solo per irrobustire e dare maggiore risposta alla pala, utilizzando strisce di questo materiale posizionate in senso longitudinale ai bordi o al centro della pala realizzata in altro materiale più economico. Il disegno dell’estremità della pala può essere arrotondato o a coda di pesce, comunque sempre molto arrotondato. I bordi laterali, privi di canalizzatori, si sviluppano molto in larghezza e la loro unione forma praticamente un semicerchio. La pala è totalmente piatta e non presenta inclinazioni sotto la scarpetta, come le normali pinne.
Va detto anche che le durezze delle pale che si trovano più comunemente in circolazione sono troppo elevate per l’utilizzo in apnea; esse sono nate per il nuoto pinnato dove la velocità è l’unica cosa che conta, perciò sono estremamente rigide e reattive. Per velocità “normali”, ovvero economiche, come quelle che cerchiamo in apnea, affaticano fin troppo le gambe. I modelli usati dagli apneisti sono i più morbidi che vengono prodotti.
LA SCARPETTA
La “scarpetta” è unita alla pala semplicemente tramite incollaggio. Non ci sono né viti né incastri. Come detto precedentemente, la pala non presenta inclinazioni e questo implica che piede e pala risultano perfettamente allineati. Anche i piedi tra loro sono allineati e paralleli. La scarpetta è priva del tallone, pare per motivi idrodinamici, in quanto esso sporgerebbe dal profilo del nuotatore, e per permettere di sentire meglio l’acqua. In alcuni modelli la scarpetta si riduce ad uno spesso foglio di gomma, incollato in maniera che rimanga incurvato quel tanto che basta per infilarci il piede. In altri modelli la parte posteriore della scarpetta, quella che sta dietro il tallone e che “blocca” il piede, viene venduta “aperta”; in pratica sui lati della scarpetta sono presenti due spesse linguette di gomma, una per lato, che devono essere incollate dopo aver preso la giusta misura per il nostro piede. Per l’utilizzo, invece dei calzari, si usano dei puntali, sempre in neoprene, che coprono solo fino alla metà del piede.
LA CALZATA
Eccoci al nocciolo della questione. Infilarsi il monopinna non è certo come mettersi un paio di ciabatte. La scarpetta deve fissare perfettamente il piede, molto più che con le pinne, e questo significa che il piede ci va stretto, molto stretto. E’ un po’ come avere le pinne di una misura più piccola. Per poterlo indossare per un tempo abbastanza lungo bisogna veramente averci fatto l’abitudine e credo che ci voglia molto tempo e molta pazienza. Altrimenti ogni 10-15 minuti bisogna toglierlo per riposare i piedi.
L’UTILIZZO DELLA MONOPINNA
Non è semplice spiegare un movimento così tecnico in poche righe, perciò darò solo alcune indicazioni. Innanzi tutto la posizione del corpo: le braccia sono sempre posizionate in avanti, lungo l’asse del corpo ovvero in basso se stiamo scendendo in profondità o in alto se stiamo risalendo. La posizione costringe ad un maggior impegno muscolare per i fasci dorsali che sono in tensione, ma è necessaria per equilibrare il corpo durante la potente spinta della monopinna. Inoltre questa posizione favorisce la velocità che è il vero vantaggio del mono rispetto alle pinne. Il movimento della “monopinneggiata” dovrebbe partire all’altezza dello sterno, per poi propagarsi come un’onda al bacino, alle gambe, ai piedi ed infine alla pala. Le gambe rimangono praticamente sempre tese e l’errore più comune è quello di piegare le ginocchia, avvicinando i talloni ai glutei e quindi “sfilando” la pala dall’acqua, perdendo di propulsione e d’efficacia. Un altro errore è di assecondare il movimento ondulatorio con le mani e le braccia. Questo è ammissibile solo all’inizio, per impratichirsi, ma poi è un difetto che va eliminato. La pare superiore del corpo, spalle, testa e braccia, deve rimanere ferma.La posizione dei piedi, perfettamente paralleli, risulta scomoda all’inizio e bisogna farci l’abitudine. E’ necessaria poi una buona dosa di pratica per evitare che il mono scivoli lateralmente, derapando e scomponendoci. Qualche piccolo canalizzatore potrebbe essere d’aiuto e, detto tra noi, c’è chi li ha applicati artigianalmente notando dei vantaggi.
I VANTAGGI
Come già anticipato, il vantaggio maggiore è dato dalla velocità che consente di ottenere. Gli italiani, da sempre al vertice dell’apnea mondiale, sono stati gli ultimi a convertirsi al monopinna, vincendo comunque anche con le pinne normali, ma adesso si sono “arresi” e si sono convertiti.
Vedremo i risultati di questa conversione nel prossimo futuro. Intanto Alessandro Rignani Lolli ci ha dato una buona dimostrazione per quanto riguarda la velocità di discesa: 88 metri in 2’20”, contro 80 metri in 2’29” di Umberto Pelizzari. E’ chiaro che percorrere 16 metri in più (8 a scendere e 8 a risalire) risparmiando 9 secondi sul tempo totale è indice di una velocità molto elevata. Si è sempre detto che in apnea non si va mai alla massima velocità, e questo è vero, ma ricordiamoci che i campioni hanno una marcia in più e la nostra velocità massima corrisponde alla loro velocità economica. Un esperto apneista scende a 50 metri e risale in meno di 1’30”, tanto per avere un’idea. In ogni caso, è un po’ difficile fare un raffronto tra due persone diverse; la velocità è anche in parte soggettiva. C’è che scende più velocemente e chi meno. Comunque sia, facendo un bilancio totale tra sforzo, tempo, velocità, rilassamento, la monopinna ne esce vincente rispetto alle pinne tradizionali, questo è ormai appurato. Per quanto riguarda la facilità di utilizzo, sicuramente le pinne normali sono un passo avanti. Inoltre, per un utilizzo “normale”, facendo snorkeling o magari pescando, la monopinna è abbastanza improponibile. Ve lo immaginate come sarebbe fare un agguato strisciando tra le rocce avendo i piedi uniti insieme? Anche solo stare in superficie guardando attorno fuori dall’acqua è abbastanza difficile col monopinna. Certo, per un unico tuffo profondo come quello di un record o per una sessione di allenamento in profondità le cose cambiano.
Se, per fare un paragone, usassimo una vettura di formula 1 per girare in città cosa proveremmo? Sarebbe sicuramente stancante e stressante; è molto meglio una vecchia 500 per girare nelle stradine affollate, non credete?
SVILUPPI
E’ prevedibile uno sviluppo o un’evoluzione ulteriore della monopinna per raggiungere risultati ancora più elevati? Beh, per rispondere, come si usa dire in questi casi, ci devo “mettere del mio”.
Se do via libera alla fantasia mi vengono in mente un sacco di nuove proposte, pur non avendo la minima idea di quali possano essere veramente vantaggiose. Ho già detto dei canalizzatori per evitare lo scivolamento laterale della pala e per caricare più acqua. Ma ai bordi della pala stessa, molto arcuati, non è possibile mettere canalizzatori e la perdita laterale di acqua è troppo consistente, secondo me.
Vedrei bene la soluzione di restringere la pala, magari raddrizzandone i bordi e inserendo i canalizzatori. Tutto ciò diminuendo la durezza della pala stessa. Oppure lasciare i bordi arcuati e raddrizzarli solo verso l’estremità della pala, applicando in quella zona i canalizzatori laterali. I bordini in gomma che possono essere applicati, altre che servire per stabilizzare la pinna e per caricare più acqua, servono anche per regolarizzare il flusso d’acqua in uscita (la scia).
Più avanti tratteremo meglio questo aspetto. L’inclinazione della monopala, come nelle normali pinne, forse potrebbe servire, no? Se è utile nelle pinne, perché non dovrebbe esserlo nel mono? Ultima miglioria, potrebbe essere l’adozione di scarpette un po’ meno strette ma più avvolgenti; si potrebbe trasmettere la stessa forza con sacrifici minori. Se poi la pala arrivasse fino al tallone, consentendo un migliore appoggio durante la fase di “andata”, credo che la differenza si sentirebbe. Le idee, comunque, ci sono. Ora basta trovare una ditta che investa qualche decina di milioni….opppsss… qualche decina di migliaia di euro per lo sviluppo, per poi riuscire a vendere un centinaio di monopinna…
Chi non lo farebbe!!!??? Ma lasciamo stare il lato commerciale; non siamo noi che ce ne occupiamo. Noi ci limitiamo a rimarcare che ogni tanto ci servirebbero, ahimè, alcune attrezzature che, commercialmente, non vale la pena produrre.
PER I PERFEZIONISTI E PER CHE SI INTENDE DI IDRODINAMICA…
Adottando gli accorgimenti sopra riportati e facendo un accurato bilancio, si potrebbe arrivare ad ottimizzare in maniera considerevole lo sforzo, assicurandosi che quasi tutta l’acqua “lavorata” esca solo dall’estremità della pala, diminuendo così la turbolenza della scia e quindi aumentando l’efficacia.
Non ho dati in mano per affermare ciò, ma sono quasi convinto che la scia turbolenta a valle del monopinna sia inferiore rispetto alle pinne tradizionali.
Ciò sarebbe dovuto al movimento unico e non diviso in due come con le pinne; le due scie, infatti, tendono sicuramente a rimescolarsi e a creare una maggiore turbolenza. Uno studio accurato potrà portare alla creazione di monopinna il cui corretto utilizzo possa lasciare nel flusso a valle solo zone di vorticità dovute alla portanza che si crea alternatamente sulla pala (starting vortex) e solo in minima parte turbolenza. Questo, in definitiva, è il modo di nuotare dei pesci. Certo, loro sono pesci e per loro è un po’ più facile… Nel nuoto, l’adozione di costumi interi a “pelle di squalo” ha consentito un notevole aumento delle prestazioni. Adottare mute di questo tipo (ancora nessuno lo ha fatto), magari mettendo questo costume sopra la normale muta potrebbe migliorare la performance. E se applicassimo lo stesso criterio per la superficie esterna della monopala? Con questo tipo di “rivestimento” lo strato limite turbolento, invece che laminare, che si forma sulla superficie del corpo del nuotatore e sulla pala, tende a stare più attaccato al corpo stesso, diminuendo la vorticità di scia e quindi aumentando l’efficacia. Non posso quantificare il guadagno, ma sono convinto che non sia trascurabile.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Un’altra rivoluzione si è conclusa e questo nostro sport ha fatto un balzo in avanti che nessuno di noi si aspettava. Questo mi piace un sacco! Quando pensiamo di essere arrivati al limite scopriamo che si può ancora andare oltre. Certo, in gran parte grazie al progresso tecnico, ma comunque si può andare ancora più giù. Pensate, solo meno di un anno e mezzo fa (maggio 2001) Umberto Pelizzari diceva: ” Penso che nell’assetto costante sarà abbastanza difficile arrivare intorno ai 90 metri. Di sicuro sarà più facile arrivare ai 200 metri nel No Limits, piuttosto che a 90 nel costante.” Ora siamo a quota 90 nel costante [n.d.r. Carlos Coste, Venezuela 3/10/2002] e con un incremento rapidissimo nell’ultimo periodo. Dove arriveremo? Non lo so e non ne ho idea.
E’ anche per questo che mi piace questo sport!
P.S. Vorrei fare pubblicamente i complimenti ad Alessandro Rignani Lolli per gli 88 metri di Maratea. GRANDE!!!
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