Mondiale di Sines: la viva voce dei protagonisti
E’ stato un mondiale davvero difficile quello di Sines, ai tifosi italiani ha offerto uno dei peggiori risultati degli ultimi decenni. La preparazione attenta, frutto di grandi sforzi della federazione e di tanto lavoro di atleti, DT e accompagnatori, è stata vanificata dal completo rimescolamento di carte deciso da Nettuno all’ultimo istante. Come nel peggior incubo, i nostri atleti si sono ritrovati un mare improvvisamente sconosciuto, torbido, rabbioso, ostico. Nel racconto dei nostri atleti e del DT Luigi Magno, la cronaca di una sconfitta che oggi ci amareggia, ma che sicuramente servirà da stimolo per le prossime sfide internazionali, dove -ne siamo certi- i nostri fuoriclasse potranno riaffermare il loro reale valore.
Bellani col carniere della seconda giornata – Foto: L. Magno
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Stefano Bellani – di Simone Belloni
Come mai questo crollo Stefano. Cos’è successo?
Banalmente, è successo che tutto il nostro lavoro di preparazione di questo mondiale è stato vanificato dal mare, che ci ha messo lo zampino. Avevamo preparato per molti giorni con condizioni di mare calmo e buona visibilità, trovando posti bellissimi che ispiravano una preparazione tipicamente mediterranea: segnali con 4 o 5 cernie a coefficiente, lastre con saragoni da oltre il chilo, zone con tordi e gronghi. Insomma, c’erano tutti i presupposti per fare bene.
Visitando le zone a terra contavamo molto sui cefali e le salpe, che giravano numerosi, e poi, con un po’ di fortuna, potevi anche catturare un pesce di altra specie, come grosse spigole, serra o dentici.
Insomma, tutto era pronto ed organizzato alla perfezione, e noi atleti eravamo carichi e motivati, ma’ a due giorni dall’inizio delle ostilità lo scenario è stato rivoluzionato: il vento è girato, il mare si è gonfiato al punto da mettere a rischio il regolare svolgimento della competizione e tutti i piani sono stati stravolti, rendendo prioritaria l’individuazione di zone con migliore visibilità, al limite dell’impraticabilità su gran parte del campo gara: una vera disdetta.
Parliamo della prima frazione?
Lo spettacolo che si presentava davanti ai nostri occhi il giorno della prima manche era il seguente: sottocosta pressoché impraticabile, con onde alte almeno tre metri e visibilità scarsa. L’acqua era caffèlatte un po’ ovunque, così mi sono deciso a partire su una piccola secca in 20 metri d’acqua dove avevo individuato una bella tana di saraghi che consideravo “sicura”.
Arrivato sul posto ho constatato con sgomento che la visibilità non superava il metro. Ho preso l’arbalète da 60 centimetri per visitare la tana, ma non vedevo nulla se non il fascio bianco della luce della torcia e poi il nero. Ho insistito per una mezz’oretta e sono riuscito a catturare un paio di saraghi apparsi dal nulla.
Bellani pochi attimi prima del via – Foto: P. Valencic
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A quel punto sono salito sul gommone, deciso a trovare un punto con una visibilità migliore, di almeno un paio di metri. Mi ricordavo che durante la preparazione avevo trovato una zona al limite sud del campo gara, vicino ad un frangiflutti, dove l’acqua era sempre molto chiara e dove giravano costantemente i cefali. Probabilmente era un interessante gioco di correnti a favorire questa situazione. Così sono partito di gran carriera e sono arrivato in zona, dove non ho trovato nessun altro concorrente.
Solo al largo c’era il gommone del portoghese Osorio, ma non mi creava problemi perché pescava ben distante.
Mi sono tuffato ed ho trovato 3 metri di visibilità, così mi sono detto: ‘E’ fatta!’.
Ho comunicato al mio barcaiolo di avvertirmi se qualcuno si avvicinava ed ho iniziato a pescare, in sei tuffi sono riuscito a prendere 4 bei cefali: la zona prometteva bene, il pesce girava e c’era ancora tempo.
Ad un certo punto il mio secondo mi avvisa che il gommone del portoghese si sta avvicinando, così salgo subito a bordo per tergiversare e cambiarmi la muta. Era il loro Capitano, che mi dice che a suo parere sto pescando fuori campo gara.
Io dico di no, ma lui insite, così non resta che aspettare i giudici, in quanto non posso permettermi di rischiare.
Passa circa un’ora prima che la giuria arrivi sul luogo: si passano in rassegna le carte e i punti GPS e dopo un altro po’ mi viene data la conferma… sono in campo gara e posso continuare a pescare.
Mi butto deciso ma non trovo più i pesci, sono scappati chissà dove. Tutti i cefali ed i tordi, probabilmente innervositi dai gommoni, si sono dileguati.
Non mollo ed insisto in zona e negli ultimi 50 minuti catturo ancora 4/5 prede. Termino con 11 pesci validi (6 cefali, 2 tordi, 2 saraghi ed una salpa) ed al sesto posto parziale con circa 45% di distacco dal primo.
A quel punto come hai impostato la seconda manche?
La seconda frazione si disputava al Capo. Il campo gara era molto piccolo, circa un chilometro, ed io avevo molto pesce.
Sottocosta regnava la tempesta e, pur convinto che avrei potuto prendere 15 salpe e 15 muggini, ho preferito impostare diversamente la mia gara. Siccome volevo vincere, la mia idea era chiara: con 30 pesci non avrei mai potuto superare il cileno Saez, in testa dopo la prima frazione, ma se fossi riuscito a mettere a pagliolo una cernia e 15 grossi saraghi nelle prime due ore, nelle restanti avrei potuto tentare la carta della schiuma e totalizzare una trentina di prede, magari pescando il “jolly” con uno spigolone, come può sempre capitare in queste acque. Del resto, arrivare 5°, 6° oppure 10° non faceva differenza dal mio punto di vista: volevo vincere e per vincere ci voleva anche fortuna, certo, ma se fosse andato tutto come pianificato’ insomma, la partita era ancora aperta.
Il campione uscente è deluso – Foto: P. Valencic
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Per queste ragioni, ho fatto la partenza sul segnale di una cernia che avevo giudicato “sicura” in 30 metri d’acqua.
Lì vicino avevo anche una tana ricca di saraghi di grosse dimensioni, tutti oltre il chilo, e dei bei tordi. La cernia l’avevo sempre vista in preparazione e non si spostava mai dalla sua zona, era un pesce semplice e molto affidabile.
Appena arrivato sul segnale ho preso il novanta e mi sono tuffato, ma a trenta metri ho trovato un solo metro di visibilità. Sono tornato in suferficie ed ho preso il 75 centimetri, con cui ho ispezionato la tana al tuffo successivo, ma senza esito. Mi sono spostato sulla tana dei saraghi, ma i pesci si erano spostati in una zona un po’ più a fondo, sui 32 metri, alcune pietre che ospitavano una cinquantina di saraghi maggiori piuttosto tranquilli. Arrivato sul punto i pesci erano tutti fuori e schizzavano al primo segno di pericolo, l’azione di pesca era resa quasi impossibile dalla visibilità ridotta ad un metro e per avere ragione di questi pesci ho fatto cose allucinanti, che mai in vita mia avrei pensato di dover e poter fare in gara. Ho inanellato una serie di tuffi che terminavano sul fondo con veri e propri agguati in oltre 30 metri d’acqua e nel buio, convinto che solo così avrei potuto catturare qualche preda: in circa un’ora ho messo in cavetto 8 grossi saraghi per un totale di 10 Kg di peso (vi lascio immaginare che padelle!) e due bei tordi. A quel punto mi sono diretto nel bassofondo, dove avrei potuto catturare cefali e salpe e visitare una bella cernia individuata in soli 3 metri di fondo durante un agguato. Durante la preparazione la cernia stava nella risacca in caccia, appoggiata ad una parete di roccia: quando mi sentiva si infilava in un canalone ed andava ad intanarsi in alcune piccole lastre su una porzione di fondo ristretta e circondata dalla sabbia: un pesce relativamente facile. Ho iniziato a pescare in 4-5 metri all’agguato e all’aspetto, catturando 6 prede in circa mezz’ora. Li catturavo e li mettevo nel cavetto sotto il pallone. Catturato il settimo pesce sono andato a ripetere l’operazione, ma il cavetto ed i pesci erano spariti. Un’onda più forte delle altre aveva strappato tutto. Annichilito dallo sgomento, dopo le imprecazioni del caso mi sono buttato sulla cernia.
Sottocosta non c’era ed allora mi sono preparato per fare un tuffo sulla tana. Arrivavano onde alte come muri proprio nel punto dove avrei dovuto immergermi, ma non c’era altra scelta, così, pur rendendomi conto dell’assurdità e del rischio della manovra, mi sono deciso a provare. In preparazione avevo intuito che dopo sette onde la successiva arrivava con un po’di ritardo e così, dopo averne contate sette onde, mi sono immerso. Mi sono infilato in quella tana mollando cima e pallone, tanto era solo un rischio portarlo appresso, ma visitando attentamente il buco non ho ritrovato il serrande. Risalendo sentivo il fragore delle onde che s’abbattevano sulla costa, davvero impressionante. Qui è terminata la mia gara con 12 pesci (8 saraghi, 3 tordi ed un cefalo) e sono arrivato decimo finale.
Un Mondiale da dimenticare, sfortunato. Un Mondiale che non ha premiato i nostri sforzi. Il cileno Saez ha dimostrato d’avere una marcia in più con quel mare (la stessa cosa è capitata a noi in Cile) ed i portoghesi (Silva su tutti) conoscevano la zona perfettamente. Adesso è il momento di guardare avanti e cercare di capire i nostri errori, è il momento di migliorarci dove siamo più deboli senza pensare di mollare. D’altro canto, solo così si può tornare ad essere più che competitivi.
Ramacciotti soddisfatto al termine della prima frazione – Foto: P. Valencic
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Maurizio Ramacciotti – di Simone Belloni
Allora Maurizio, cominciamo con la preparazione?
Non riesco a ricordare una preparazione tanto certosina negli ultimi anni, la Federazione ha offerto la massima disponibilità e tutti abbiamo lavorato molto bene. Personalmente, pensa, ho passato più di 40 giorni totali a Sines e questo, paradossalmente, ci ha fregato. Non accampo scuse, sia chiaro (non è certo possibile accamparne), ma una preparazione così ‘mediterranea’ fatta di segnali bellissimi, ricca di mire, di posti vergini, alla luce di quello che è successo il giorno della gara (stravolgimento delle condizioni metereologiche e marine) ha compromesso tutto.
Certo, col senno di poi e vedendo i carnieri dei primi, si potrebbe pensare che abbiamo sbagliato e sottovalutato tutto, ma anche dopo la prima frazione pensavo di essere sulla buona strada…
Ecco, parliamo della prima frazione?
Alla partenza della prima manche dire che il mare era un incubo è usare un eufemismo. Sono partito su un segnale bello dove avevo marcato tordi veramente grossi e dei saraghi maggiori di taglia, ma appena ho messo la testa in acqua mi sono subito reso conto che il posto era divenuto impraticabile. Al primo tuffo sui 20 metri ho trovato una visibilità che andava dai quaranta centimetri al metro, per trovare certe pietre dovevo procedere a tastoni. Pur rendendomi conto dell’impossibilità di continuare in zona, ho fatto altri 3 o 4 tuffi per non lasciare nulla d’intentato. Ho preso solo un tordo e non so nemmeno io come. Ho visto per un attimo una parvenza di ombra e ho tirato d’istinto, colpendo la preda. Sono risalito sul gommone ed ho fatto un altro spostamento infruttuoso su una bella lastra con dei saragoni, assolutamente impossibile da visitare a causa del buio totale.
Allora ho ripiegato verso terra, nella schiuma, alla ricerca dei cefali che avevo visto in preparazione.
Nella zona la visibilità era di circa mezzo metro, ma con un po’ d’abilità e fortuna, praticando l’aspetto col sessantino, ho catturato 4 cefali, ne ho strappato uno e sbagliati un paio. Erano tiri difficilissimi, su ombre che apparivano dal nulla e sparivano in poche frazioni di secondo. Spesso sparavi in direzione del pesce che era già scomparso nella coltre di torbido.
A quel punto mi sono ancora spostato su un grongo che avevo nei pressi, su un ciglio in 10 metri d’acqua e con visibilità nulla.
Ci sono andato solo perché si trattava di uno scalino con un buco al centro che avrei potuto trovare anche a tastoni.
Ho fatto un paio di immersioni e finalmente, tastando qua e là, l’ho trovato.
Ho illuminato la tana ma non si vedeva praticamente nulla, ma il buco era stretto ed il serpentone se ne stava sempre lì dentro col muso in direzione dell’uscita. Ad un certo punto mi è parso di vedere del chiaro, allora ho infilato il fucile ed ho sparato.
L’ho colpito male, quindi ho sofferto un po’ per estrarlo, ma comunque alla fine l’ho messo a pagliolo.
Salito sul gommone, mi sono poi diretto su una zona con altri 3 gronghi.
Mentre stavo per raggiungere il punto, sono passato vicino ad un segnale di saraghi a 23 metri di profondità, pesci che stavano dentro alcune piccole pietre in una zona circoscritta. Ci ho provato ed in 4/5 tuffi ho catturato due tordi ed un sarago faraone di 2,5 chili.
Il carniere della seconda manche – Foto: P. Valencic
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A quel punto della gara ero decisamente carico e contento della mia prestazione, anche perché le voci che mi giungevano mi confermavano che ero “messo bene” rispetto agli altri concorrenti. Il tuffo sui gronghi non ha avuto esito positivo, probabilmente s’erano spostati altrove oppure c’erano ma con mezzo metro di visibilità erano impossibili da vedere.
Poco più avanti però, ho visitato una pietra ricca di sparidi: qualche pesce c’era, ma erano perlopiù piccoli e molto nervosi.
Con calma mi sono guardato bene intorno ed alla fine sono riuscito a fare una coppola bellissima, due maggiori di 1,2 chili con un solo colpo. Ero gasatissimo. Ancora qualche tuffo e la gara è finita.
Con 11 prede (4 cefali, 3 tordi, 2 saraghi, un faraone ed un grongo) ho terminato al 5° posto parziale, vicinissimo al 4° (Torres) ma piuttosto distante dai primi due. Questo piazzamento mi ha un po’demoralizzato, francamente, e probabilmente ha inciso psicologicamente sull’esito della mia seconda manche. Dico probabilmente perché ancor ora, a mente fredda, non né ho la certezza, visto che comunque mi sentivo carico e pronto a dare il massimo per vincere…. però non ho reso come dovevo.
E così sei giunto alla seconda ed ultima prova…
Siamo partiti fiduciosi per la seconda giornata che, non si sa perché, si è purtroppo disputata sul campo di riserva.
Purtroppo perché, pur avendo parecchio pesce, erano tutti segnali fondi ad oltre 30 metri, e con quella visibilità sarebbe stato un problema. Comunque ero in gioco e me la dovevo giocare fino in fondo, quindi ho deciso di fare la partenza su una cernia di 12 chili in 33 metri di fondo. Laggiù c’era un metro di visibilità ed una volta arrivato sulla pietra ho sentito la scodata del pesce che è andato a nascondersi ancor più a fondo. Vista la quota e la visibilità ho rinunciato a cercarla, ma ho fatto ancora qualche tuffo in zona, riuscendo ad arpionare un bel pagro da 2.2 chilogrammi a 32 metri. Poi mi sono diretto a terra.
Purtroppo, la zona dove mi sono messo a pescare sarebbe diventata il punto meno pescoso del campo gara: salpe e cefali sono usciti quasi esclusivamente dall’altra parte del campo gara.
Ho preso un cefalo ed una salpa in un’ora, mentre Carbonell, Torres e Silva facevano incetta di cefali e salpe su dei sommetti in 10 metri d’acqua da tutt’altra parte, e a quel punto ho fatto “la frittata”: invece di andare a buttarmi nella mischia e cercare di catturare più pesci possibili, ho voluto giocarmi le chance ancora al largo su mire fonde. Nelle ultime due ore, nel torbido dei 30 metri, ho rimediato 4 miseri tordi e chiuso con 6 prede valide (3 tordi, un cefalo, una salpa ed un pagro) ed un 16° piazzamento finale.
Cosa ti rimane dentro adesso?
Amarezza, tanta amarezza. Mi dispiace perché ho sacrificato la famiglia ed il lavoro per un pugno di mosche.
Mi dispiace per aver buttato al vento una preparazione fatta con Micalizzi in maniera esemplare.
Mi spiace tanto per Ottavio, che mi ha aiutato in maniera dura, mi ha spronato, ha gioito e lottato fino all’ultimo come un vero fuoriclasse: non potrò mai dimenticare l’espressione del suo volto a fine campionato.
Mi spiace per la Federazione che ci ha aiutato fino al limite dei propri mezzi, sostenendoci ed assecondandoci nelle richieste con grande sacrificio. Mi spiace per i fans che credevano in noi.
Però è anche vero che dai propri errori si parte per ricostruirsi: non molleremo di certo, credetemi quando vi dico che torneremo più forti e agguerriti che mai alla prossima occasione.
Mancia pochi attimi prima del suo battesimo mondiale – Foto: P. Valencic
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Sandro Mancia – di Salvatore Rubera
Che ci dici di questo mondiale, deluso dal risultato?
Certo il quattordicesimo posto non è il risultato che speravo e per il quale avevamo lavorato durante tutta la preparazione fatta in questi due anni, ma le condizioni con cui abbiamo pescato in gara non le avevo mai viste in tutta la mia carriera di pescatore. Per questo ritengo che i risultati ottenuti, che pure possono sembrare deludenti, debbano essere interpretati correttamente.
Non è possibile che, all’improvviso, i migliori pescatori italiani non sappiano più pescare… la questione è che in Mediterraneo condizioni così non se ne trovano in nessuna occasione. Per me, comunque, è stata un’esperienza importantissima.
Con Antonini avevamo preparato molte zone, ma alla fine ci eravamo concentrati sul sottocosta perché fuori avevamo trovato pesci troppo mobili: gronghi, mostelle e altre specie che un giorno trovavi e il giorno dopo non c’erano più, troppo inaffidabili per farci una gara così importante, mentre a terra c’era un finimondo di grosse salpe, di molto sopra il chilo di peso.
Tutto però è stato stravolto proprio il giorno della gara, che ha rischiato di saltare per le condizioni del mare, così ci siamo trovati a pescare con un periodo d’onda di 16/17 quando gli stessi portoghesi ci dicevano che il periodo massimo per poter pescare è 11/12.
In 5/6 metri di fondo l’onda spostava di 10 avanti e 10 indietro e non c’era modo di potersi tenere a fondo, nemmeno aggrappandosi con le unghie alle rocce del fondo tipo Gatto Silvestro, come piace dire a Maurizio Ramacciotti, e mentre l’onda ti spostava bisognava stare attenti a scansare tutte le rocce del fondo.
Mancia col carniere della prima giornata – Foto: L. Magno
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Raccontaci le due giornate
Avevamo preparato in maniera davvero meticolosa osservando il comportamento e la presenza di pesce in base all’andamento delle maree, che in oceano sono davvero imponenti, e sapevamo dove avremmo potuto catturare pesci anche con mare mosso, ma certo non come quello del giorno della gara, una situazione mai vista durante tutta la preparazione.
Il campo di gara era quello centrale, poco a sud di Sines. Ho fatto la partenza a Porto Covo, un posto che avevo controllato tutti i giorni e nel quale avevo sempre trovato tantissimo pesce, cefali e salpe anche da un chilo e mezzo; un posto meraviglioso, tanto è vero che Saez, che in preparazione non avevo mai incontrato, ci ha vinto la giornata.
Il giorno della gara, invece, avvicinarsi a terra era impossibile: c’erano dei punti dove si poteva entrare, l’onda frangeva da una parte e dall’altra lasciando uno spazio agibile al centro, ma l’onda era comunque così forte che non vedevo assolutamente nulla. Così sono uscito un po’ più fuori e in mezz’ora ho catturato tre pesci.
La visibilità era di circa un metro ed il pesce lo intravedevi appena, così ero costretto a sparare alle ombre; all’inizio cercavo ci vedere bene il pesce prima di premere il grilletto ma in un attimo lo vedevo sparire, portato via dall’onda.
Viste le difficoltà di pescare a terra mi sono consultato con Antonimi, che mi faceva da barcaiolo, e ho deciso di spostarmi a controllare tutti i segnali che avevo più fuori, tra cui diverse tane di saraghi.
Ho fatto un lungo spostamento per arrivare su una secca dove sicuramente avevano già pescato anche Bellani e Ramaciotti; quando sono arrivato e non ho visto nessuno ho avuto il presentimento che non avrei trovato nemmeno i pesci; infatti dopo 20 minuti senza vedere un pesce e con l’acqua torbidissima ho deciso di tornare al punto da cui ero partito ma questa volta ho trovato un sacco di palloni di altri concorrenti che pescavano tutti nella stessa zona che io avevo lasciato.
Il problema comunque non erano in concorrenti ma le condizioni del mare; è ovvio che chi pesca in atlantico tutto l’anno è sicuramente avvantaggiato rispetto a chi, come me, non aveva mai fatto questo tipo di pesca e si è ritrovato in queste condizioni proprio il giorno del campionato mondiale.
Malgrado le difficoltà ad ambientarmi alla condizioni che ho trovato, a fine giornata ero decimo, con 10 pesci; con il senno di poi, se non mi fossi spostato avrei potuto catturare almeno altri 4 pesci ed essere sicuramente più avanti.
Nel campo della seconda giornata avevo una cernia a coefficiente sicura, l’avevamo trovata con Riolo a giugno, ero tornato spesso a controllare e l’avevo rivista sempre; un pesce tranquillo che infilava la testa in tana lasciando tutto il resto del corpo fuori.
La squadra azzurra mostra i carneri della prima frazione – Foto: P. Valencic
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Farci la partenza era obbligatorio; ne avevo parlato con Antonimi e siccome, come primo tuffo era abbastanza impegnativo essendo a 27 metri, avevo fatto qualche tutto di preparazione in porto, prima del via.
Sul punto siamo arrivati solo noi e la cosa mi dava una grande tranquillità, purtroppo abbiamo trovato condizioni di acqua torbidissima; sono sceso con un piombo mobile da 2 chili tenendo il braccio teso davanti alla faccia per paura di arrivare a sbattere sul fondo; ho trovato subito la chiazza di sabbia che avevo come riferimento e ho intravisto l’ombra scura della cernia.
Ho pensato che si sarebbe intanata e il gioco sarebbe stato fatto, ho fatto qualche metro in avanti senza riuscire ad individuarla, ho pedagnato a circa due metri dalla tana e sono tornato in superficie; sono rimasto a cercarla inutilmente tutto intorno per circa 40 minuti poi ho rinunciato; peccato, davvero sfortunato, un pesce da 10.000 punti sarebbe stato prezioso per la classifica.
A quel punto, mentre tornavamo verso la zona in cui tutti stavano già pescando a terra e che noi conoscevamo già avendoci fatto la preparazione a giugno, ci siamo fermati a controllare alcuni segnali che abbiamo trovato deserti.
A terra ho preso subito un pesce, poi abbiamo deciso di spostarci su un altro punto dove pensavamo di trovare più pesce; i pesci c’erano ma purtroppo tutti al limite di peso, ne ho catturati due e poi siamo tornati nel posto precedente dove, sempre con condizioni al limite, nelle restanti due ore ho catturato 14 pesci; sicuramente se ci avessi pescato per cinque ore avrei fatto una gran bella gara.
Purtroppo per abituarsi a condizioni così estreme ci vuole tempo; bisogna capire come si muove il pesce, da dove entrare a terra, come muoversi, come uscire, altrimenti rischi di farti davvero male perché il mare ti sbatte sugli scogli con una forza incredibile; tutte cose che puoi provare solo in quelle condizioni.
Non puoi farlo in gara quando il tempo è preziosissimo, non puoi permetterti di sprecarlo e sono stato costretto ad inventare; con condizioni diverse, più simili a quelle avute in preparazione, e un pizzico di fortuna sarei potuto arrivare nei primi 5.
Per pescare ho usato in prevalenza il 75 con la tahitiana; all’inizio ho usato anche un 50, con acqua torbidissima i pesci non li vedevo, appena vedevo la specchiata sparavo in quella direzione; le mie prede sono stati solo cefali, salpe e un unico tordo.
Il DT Luigi Magno – Foto: L. Magno
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DT Luigi Magno
Dottor Magno, quali sono le funzioni del Direttore Tecnico della Nazionale?
Sono tante, mi limiterò a ricordare quelle meno conosciute, ma non per questo meno gravose. Nel nostro sport, caratterizzato da una piccola equipe, il Direttore Tecnico si deve occupare di tante cose: organizzazione dei viaggi, con i voli ed ogni altro aspetto logistico come alberghi, trasferimenti, gommoni, ormeggi; poi deve occuparsi anche di sponsorizzazioni, attrezzature, abbigliamento e moltissime altri aspetti.
Seleziona gli atleti della preparazione, che spesso non coincidono con che quelli che disputano la gara con i rispettivi secondi. Sono operazioni distinte, non è detto che uno che ha preparato poi si renda disponibile per fare da secondo. L’accoppiamento degli atleti è un’operazione molto complessa, che coinvolge la capacità di cogliere attitudini e aspetti caratteriali di soggetti molto diversi, e di incastrare sapientemente competenze e temperamento di ciascuno.
Dopo anni di trasferte internazionali come medico della nazionale, come ha vissuto questo debutto mondiale da DT?
Ero alla prima esperienza ed ho incontrato molti problemi. E’ stata davvero dura: 40 giorni lontano da casa e tante nuove situazioni difficili, culminate con la beffa finale sotto forma di stravolgimento delle condizioni. Considera che durante le tre trasferte ispettive abbiamo avuto modo di sperimentare situazioni diverse, ma mai un maremoto con acqua torbidissima, come poi si è verificato in gara. Dicevo che è stata dura: in qualità di DT dovevo occuparmi di tutti gli aspetti logistici, tenere i conti per la FIPSAS, prendere ogni contatto, con albergo, il noleggio eccetera. Infine, dovevo anche andare in acqua a rendermi conto di persona della situazione e a cercare di dare una mano ai ragazzi. Avendo pescato nei mari di mezzo mondo, posso garantire che il mare di Sines è assolutamente sui generis: presenta condizioni incredibili e peculiari, con tantissimo pesce che si muove con una logica che non è la nostra e che abbiamo capito fuori tempo massimo. I portoghesi, poi, ci aleggiavano intorno, tenendoci d’occhio costantemente e pressandoci, per controllarci e sviarci.
Fondamentalmente, la preparazione in questi mari non è orientata al reperimento di segnali, tane o prede, ma deve essere finalizzata alla comprensione delle dinamiche che regolano il movimento del pesce, ossia come reagiscono i pesci alle diverse situazioni oceanografiche: maree, correnti, sospensione, alga, sabbia… tutti fattori che influiscono moltissimo sul comportamento delle prede. La dimensione dei campi di gara non ci ha affatto semplificato le cose: stiamo parlando di circa 25 miglia di mare, per di più caratterizzato da fondali estremamente eterogenei. Tra porti, spiagge, isole, secche, foci eccetera, è stato difficilissimo farsi un’idea chiara. A tal proposito, ritengo che la scelta del campo gara andrebbe supervisionata da una commissione internazionale, altrimenti si continuerà ad avere l’impressione che alcune zone vengano tagliate ad arte per avvantaggiare i locali. Anche senza questo problema, comunque, la preparazione in questi mari è sempre complessa: il pesce si sposta verticalmente e orizzontalmente con un’estensione di movimento enorme, che rende difficile la comprensione delle varie dinamiche comportamentali. Mancia, ad esempio, aveva trovato un posto che aveva soprannominato “cento saraghi”, ma dopo due avvistamenti i pesci sono spariti per sempre.
Per il DT amministrare tutte queste informazioni e contemporaneamente svolgere il resto degli incarichi… significa lavorare duramente, ogni giorno dalle 8 di mattina fino alle 11 di sera.
Aldilà del risultato, ritiene che questa esperienza abbia arricchito lei e la Nazionale?
Senza dubbio questa esperienza ci ha insegnato moltissimo. Se potessi ripartire adesso, probabilmente potrei impostare il mondiale con la metà dello sforzo ed ottenere un risultato doppio. Abbiamo fatto degli sforzi disumani che si sono rivelati totalmente inutili ai fini del risultato, è stata una beffa vedere il peruviano Marquez arrivare il giorno prima della gara e sopravanzarci in classifica. Se dovessi ripetere l’esperienza in oceano, l’affronterei in modo diverso. Farei un primo sopralluogo interamente dedicato alla pesca, senza preparare, e poi -con un campo altrettanto vasto- andrei a disputare la gara con qualche giorno di anticipo, una settimana sarebbe sufficiente.
Un commento sulla prestazione dei nostri atleti?
Per non fare ingiustizie, evidenzierei un aspetto positivo ed uno negativo per ciascuno, cominciando da Stefano Bellani, l’atleta che ho seguito più da vicino, sul suo stesso gommone. Bellani è un grande campione, come ce ne sono pochi, lo ha dimostrato anche in questo mondiale pescando a quote abissali in condizioni improponibili: ha la mia totale ammirazione. In gara l’ho avvertito del fatto che gli altri stavano macinando catture ad un ritmo eccessivamente superiore, ma lui sperava di prendere la cernia e si è deciso ad andare a terra solo negli ultimi 45 minuti. E’ veramente un grande campione, ma forse avrebbe dovuto valutare con magiore attenzione la cadenza di cattura che stava tenendo, insufficiente a garantirgli il successo. Certo, con la cernia le cose sarebbero cambiate, purtroppo però la fortuna non lo ha assistito.
Maurizio Ramacciotti è sicuramente l’atleta che aveva la visione più “completa” del campo di gara. Aveva fatto un lavoro di preparazione eccellente, senza lasciare nulla al caso ed offrendo un grande aiuto al sottoscritto, ed in questo si è distinto in modo positivo. La nota negativa: ha perso freddezza e lucidità nel momento più importante, e questo ha vanificato i suoi sforzi, perché perdendo il controllo si è demoralizzato. Prima della gara mi ha detto: “Abbiamo buttato 40 giorni”. Andava avanti e indietro, ha peccato in freddezza.
Sandro Mancia è un atleta estremamente versatile, un ragazzo ottimista, simpatico, non ha mai da ridire con nessuno. Può preparare anche meno degli altri, perché ha fiuto e si adatta ad ogni situazione. Per diventare un campione, però, si deve organizzare di più, essere più accurato ed evitare perdite di tempo. Con l’esperienza potrà sicuramente limare questi elementi non positivi. Sicuramente Mancia deve essere valorizzato con nuove esperienze, non bisogna dimenticare che era alla sua prima gara mondiale. Un’altra cosa che non ha saputo giudicare è il suo possibile piazzamento: gli avevo detto che sarei stato soddisfatto se avesse guadagnato la top ten, ma lui era certo di poter fare molto meglio.
Sugli avversari cosa può dirci? Come interpreta la presenza di atleti di sette nazioni fra i primi dieci classificati?
Onestamente, l’unico che mi ha veramente sorpreso è stato il croato, che ha sfoderato una prestazione inarrivabile in condizioni che non sono le sue. Il cileno ci appariva come un extraterrestre nelle condizioni che abbiamo incontrato, ma non dobbiamo dimenticare che lui, il tahitiano ed i portoghesi hanno gareggiano in condizioni familiari. Tra gli azzurri, probabilmente Bruno De Silvestri era l’atleta che poteva fronteggiare meglio la situazione che si è venta a creare. Con quel mare sarebbe sicuramente sceso in acqua, è un peccato che la squalifica CMAS gli abbia impedito di prendere parte al mondiale.
Quali indicazioni aveva fornito agli atleti?
Avevo dato un unico consiglio: un’ora fuori ed il resto più a terra, a prendere cefali e salpe. Questa era la mia intuizione ed è quello che ho detto.
Cosa risponderebbe a chi le dicesse che il ruolo di DT richiede un’esperienza agonistica che lei non ha?
Che un grande DT come Giannini non è mai stato un campione, così come non lo è stato Borra, che pure ha riportato a casa un titolo mondiale.
E’ vero il fatto che chi viene dalle gare di pesca subacquea ha un buona predisposizione per cogliere certe situazioni con grande prontezza, ma non è detto che sappia svolgere tutti i restanti compiti che gravano sul DT. Oggi vedo un solo campione capace di gestire al meglio la nazionale a 360°: Maurizio Ramacciotti. Senza falsa modestia, ritengo di cedere il mio posto a Maurizio, diversamente mi sentirei di continuare.
Un consuntivo di questo mondiale
Sono soddisfattissimo nell’esperienza di questi anni e di questo mondiale, poco soddisfatto del risultato. Rimetto il mio mandato, ma resto a disposizione in caso di bisogno, anche perché sono un grande appassionato. Nonostante il risultato finale, ho dato il meglio di me stesso in una sfida che si fa sempre più difficile e che richiede sempre di più da atleti e dirigenti. Basta guardare come stanno emergendo le altre nazioni, non possiamo pensare di andare a gareggiare da soli contro noi stessi, gli altri ci sono e ci saranno sempre più. Questo fa parte del gioco e fa bene allo sport, ma tutti devono capire che in ogni sfida mondiale la Nazionale è chiamata a fronteggiare una complessità di fattori non indifferente.
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