Mondiale 2018: Marco Bardi, la Mia Analisi Generale
di Marco Bardi
Onestamente viviamo un momento in cui la Spagna e il Portogallo, specialmente in quei mari, sono imbattibili. Lo sapevamo prima di partire e ne abbiamo avuto la conferma sul posto, i risultati lo dimostrano in modo evidente. Solo il Campione del Mondo in carica (ndr. George Vasiliou) è riuscito ad inserirsi con un 5° posto individuale, e stiamo parlando di uno dei più forti al mondo.
Dopo i 3 spagnoli, i 3 portoghesi e il campione cipriota, c’è il nostro Angelo Ascione che comunque non ha un punteggio troppo distante. Subito dopo c’è Christian Corrias (il campione italiano in carica), il quale a mio avviso ha fatto una bella competizione ed è stato impeccabile. Credo che ad entrambi sia mancato un pizzico di intuizione su come si sarebbe sviluppata l’intera gara e forse qualche giorno di adattamento in più, ma è questione soprattutto di esperienza in quei mari e in gare internazionali, non certo di limiti tecnici o atletici.
Nonostante avessimo previsto che sarebbe stato questo il problema, non è facile risolverlo, perché gli atleti oceanici ci pescano ogni giorno e ne conoscono ogni sfumatura.
Peccato per Concetto Felice che il secondo giorno non è riuscito ad esprimersi al suo abituale livello, ma è un ragazzo di valore e chiunque può sbagliare una giornata di gara, come hanno fatto molti grandi campioni della storia; inoltre è stato penalizzato a sorpresa ed ingiustamente dal giudice di gara.
Sono contento di tutti e tre gli atleti perché hanno lavorato con grande impegno, hanno fatto una bella prima giornata in un campo gara valido e si sono dimostrati all’altezza dei più forti pescatori oceanici.
Onore in ogni caso alla Spagna che negli ultimi 20 anni è la dominatrice assoluta della scena, grazie alla perfetta macchina organizzativa, grazie al numeroso team di atleti con specialisti per ogni tipo di competizione, grazie alla mentalità che oramai si è insediata nella loro nazione. Per chi non lo sapesse erano sul posto molto prima di noi, con 3 capitani e 12 atleti. Non è una scusante perché sono comunque più forti, ma loro hanno anche questo vantaggio. Nonostante abituati a vincere, quando sono stati premiati come Campioni del Mondo per Nazioni, si è visto tutto l’entusiasmo, come se fosse stata la prima volta che vincevano, e gli applausi sinceri dei 100 concorrenti da ogni parte del mondo mi hanno fatto ricordare i bei tempi in cui l’Italia vinceva. Quando una squadra è la più forte e tutti lo riconoscono con sportività, credo sia il massimo traguardo, proprio come accadeva all’Italia di quei tempi.
Complimenti anche al Portogallo che ha uno squadrone in grande crescita, scommetto che faranno bene anche in seguito e non solo perché erano in casa. Non dimentichiamoci poi che a livello mondiale ci sono molte squadre che negli ultimi 20 anni sono cresciute davvero tanto.
Arrivano sul posto anche 2 mesi prima, sono bene equipaggiati, hanno tante risorse e fortissimi atleti. Squadre che 30 anni fa non erano che l’ombra di quello che sono al giorno d’oggi. Ai tempi che in Italia vincevamo tutto, c’era meno concorrenza ed avevamo più risorse, ma nonostante questo in Oceano abbiamo sempre sofferto anche allora, non è una novità.
Una volta eravamo quelli che avevano le migliori risorse, c’era una mentalità vincente originata dal buon momento storico, pertanto i giovani crescevano al fianco di atleti pronti a livello Internazionale. Però per chi non lo ricorda, il nostro ciclo positivo è iniziato all’improvviso con un ciclo di gare in Mediterraneo ed è stato un crescendo continuo, perché tutti i pezzi si sono ricomposti nel modo e nel momento giusto, mentre i nostri rivali stavano andando in crisi. Spesso cambiavano gli atleti, ma l’Italia vinceva lo stesso. Una situazione simile ma inversa tra quello che è accaduto tra Italia e Spagna negli ultimi 15 anni.
Non è solo questione di bravura degli atleti, dei DT o delle Federazioni. Il nostro agonismo ha conosciuto un lungo momento di crisi mentre gli altri stavano costruendo, basta guardare i nostri amici della Croazia per decenni sempre dietro e poi per anni e anni sempre davanti a noi. A questo punto serve un lavoro di crescita che passa anche dagli errori.
Serve anche un lavoro al di fuori della nazionale perché, senza puntare il dito su nessuno, noi abbiamo buttato via anni di crescita facendo solo grandi passi indietro nel periodo in cui siamo andati in crisi, questo anche a causa di cambiamenti di abitudini che hanno portato ad abbassare il livello medio degli atleti allo scopo di semplificare l’agonismo.
Non parlo dell’eliminazione della cernia o di qualche altra regola discutibile, ma soprattutto della mentalità generale. Abbiamo investito verso un calo di qualità, sperando in un aumento della quantità che poi non c’è stato. Se perdi qualità perdi tutto e a mio avviso, lo dico da anni. È verso la qualità che bisogna investire anche attraverso qualche sacrificio. Le competizioni internazionali sono totalmente differenti, il livello è molto più alto, non puoi sbagliare niente e devi sentirti all’altezza. L’atleta non deve pensare che sarebbe un sogno fare una gara senza essere pronto, perché poi finisce nelle retrovie e si brucia per sempre.
A mio modo di vedere, comunque siamo cresciuti in questi ultimi anni e abbiamo ridotto il divario che si era creato. Adesso abbiamo un’anima, ci sono tanti bravi atleti che si confrontano e si migliorano ad ogni nuova esperienza.
Stiamo riprendendoci un poco alla volta, la mentalità internazionale che ci manca. Nel team azzurro c’è un clima molto più sereno e motivato, con meno egoismi, più collaborazione e sono chiari a tutti l’obiettivo, il sacrificio e la tempistica. Questi sono alcuni ingredienti che possono far crescere il Team Italia.
Anche il singolo atleta ha bisogno di adattarsi alla mentalità internazionale. Riscontro come concetto diffuso, l’incapacità di distaccarsi da quello che è un campionato nazionale, dove fai ciò che vuoi, prepari da solo senza confrontarti con i compagni, vai sul posto quanti giorni vuoi, gareggi comunque in un mare che conosci, con pesci che conosci bene, hai sempre qualche amico locale che ti aiuta e soprattutto c’è un livello molto inferiore. In campo internazionale, devi adattarti ad un team, devi imparare a confrontarti nel bene comune di squadra e di singolo, il livello dei concorrenti è nettamente più alto, le regole sono differenti e quindi cambia tutto. In ogni caso è la mentalità che deve cambiare, va alzata l’asticella, vanno fatte scelte che portano a catturare molto di più. Adesso siamo nel momento in cui non dobbiamo fare l’errore di crearci false aspettative, solo perché un tempo vincevamo.
Sono state fatte tante rivoluzioni, cambi di dirigenti e atleti, ma non è cambiato il risultato perché a differenza di ciò che crede un comune appassionato che non ha esperienza, non sono i soggetti a cambiare i risultati, ma è il progetto e la mentalità. Serve che ogni componente migliori, serve una nuova visione e una nuova armonia. Lo vediamo spesso nel calcio, non basta che ci sia in campo il pallone d’oro per vincere, perché chi vince è in genere chi è organizzato e ha alle spalle un buon progetto.
Se prendiamo la media degli ultimi 15 anni precedenti l’inizio di questo nuovo processo di ricostruzione, vedremo che la media dei risultati è assai peggiorativa. Adesso non abbiamo vinto niente, ma abbiamo fatto alcuni passi avanti, in ogni caso ci servono altri ingredienti importanti. Prima di tutto il sostegno e la comprensione del pubblico anche quando non va tutto bene. Il pubblico è rimasto deluso per anni e si aspetta volta dopo volta una vittoria, ma rischia di rimanere ancora deluso perché le vittorie sono rare se non sei organizzato e non hai il tempo di farlo.
Sembra strano, ma il pubblico può aiutare molto, prima di tutto meno pressioni hanno gli atleti e meglio potranno lavorare. Poi più il pubblico sostiene la nazionale, più intervengono gli sponsor che si muovono di conseguenza. Come nella pesca ricreativa non basta solo avere una buona apnea ma servono molti fattori, anche nell’agonismo internazionale è la stessa cosa, servono più fattori, tra cui sostegno, pazienza, possibilità di lavorare bene, investire verso obiettivi raggiungibili, senza voli pindarici. La Spagna ha un grande tifo e buoni sponsor, il tutto crea una mentalità vincente e molte risorse. Questo li aiuta ad investire nelle preparazioni, nel numero di componenti che vanno sul posto, nel piacere di un atleta di sentirsi in nazionale. Infine ci serve acquisire più fiducia e consapevolezza, non banali speranze.
Dobbiamo fare con ciò che abbiamo come hanno sempre fatto tutti i nostri concorrenti nei loro momenti difficili. Le risorse sono spesso proporzionali ai risultati, ovvero crescono di pari passo con i risultati, ecco perché la Spagna al momento è irraggiungibile sotto questo profilo, ma come dicevo è uno dei tanti punti di forza, ma non l’unico. Capisco che si vorrebbe tutto e subito, ma è inutile prendersi in giro, per il momento credo che quando tutti ci abbiamo messo il massimo impegno possiamo già essere soddisfatti, poi un poco alla volta vedremo anche se il lavoro porterà dei risultati migliori.
Siamo partiti con auto e carrello per un viaggio di 2 giorni all’andata e 2 al ritorno. È stato massacrante ed io ho viaggiato con gli atleti anche se avrei potuto prendere un comodo aereo. Lo ho fatto perché una squadra si forgia anche con queste cose. Se c’è qualcuno che cerca comodità o privilegi, poi lo fanno tutti. Se sei il primo a dare l’esempio, gli altri lo apprezzano e non si tirano indietro quando tocca a loro. Già questo inverno avevo fatto le convocazioni per dare modo ai titolari di prepararsi.
Nel 2003 c’è stata una altra gara in quei mari e ho parlato con i componenti di quella nazionale. Mi hanno fornito delle indicazioni non tutte concordanti tra di loro, ma io le ho riportate fedelmente a tutto il gruppo, suggerendo di prenderle in esame, con l’intento poi di verificarle e confrontarle tra di noi sul posto durante la preparazione.
Di tutto quanto ci è stato detto solo una parte si è rivelata concreta, mentre qualcosa ci ha anche portato fuori strada, perché in oceano come in Mediterraneo, dopo così tanti anni molto è cambiato. Per cui l’approccio è stato quello di ascoltare, riflettere, verificare, decidere, tutti insieme. Come ogni volta, le scelte vanno fatte sul posto in base alle condizioni del momento. Probabilmente 10 giorni dopo sarebbe stato tutto il contrario, perché una cosa è certa ogni giorno cambiava qualcosa.
Abbiamo cercato di studiare la marea, i venti e le correnti per capire i momenti topici di alcune specie. Siamo andati a pescare per capire meglio il peso, il comportamento, la presenza dei pesci, abbiamo cercato di privilegiare le prede più grandi.
Quello che a mio avviso ci è mancato più di tutti, è stata la capacità di stare sul pesce per 5 ore consecutive, cosa che invece sono riusciti a fare spagnoli e portoghesi, vuoi per la migliore conoscenza del posto, vuoi per la capacità di capire quando pescare in un modo o nell’altro e a quale profondità.
Infatti in alcuni momenti i nostri atleti hanno pescato spalla a spalla con i più forti e hanno dimostrato che nello stesso posto e nel medesimo momento, se la possono giocare sia atleticamente che tecnicamente, però i nostri hanno avuto momenti di vuoto mentre gli altri cambiando posto e tecnica continuavano con le catture.
Il peso medio dei nostri pesci è stato uguale a quello dei migliori, ma ci sono mancate alcune catture che avrebbero fatto una bella differenza nel punteggio totale, come ad esempio i grossi gronghi. Infatti noi siamo poco abituati a valutare i posti dove vivono, il loro peso e la loro cattura, dato che nei regolamenti nazionali valgono pochissimo e sono snobbati.
A tale proposito abbiamo già inoltrato una richiesta di adeguamento ai regolamenti internazionali con al massimo 3 catture di gronghi, magari portando il peso da 2 a 3 kg e aumentando il punteggio singolo, perché alla fine la cattura di un grongo comporta tempo e lavoro specifico. Non deve essere sopravalutato, ma nemmeno totalmente sminuito come accade in Italia.
Purtroppo l’oceano, nonostante sia stato calmo in gara, rimane una bestia nera sotto il profilo della comprensione dei momenti buoni e dei comportamenti dei pesci. Non capisci mai, come conviene impostare la gara. Ogni giorno è tutto differente e chi ci è abituato lo capisce sul momento, direttamente in gara. Noi invece dobbiamo per forza azzardare delle ipotesi e poi basta un niente per essere disorientati. Tra l’altro abbiamo preparato con onde discrete e acqua a 16 gradi mentre nei 2 giorni di gara il mare è calato molto e l’acqua si è riscaldata cambiando molto di quanto previsto. Ad esempio i cefali sono diminuiti a dismisura, i saraghi sono andati più a fondo, l’acqua si è pulita in alcune zone dove era sempre torbida, ma come potevamo immaginarlo? Non è solo questione di marea, sarebbe troppo semplice.
L’assurdità di cui non mi capacito è la squalifica di Concetto Felice, avvenuta a 1 minuto dalle premiazioni e senza che nessuno ce ne abbia messo al corrente prima. Quando stavamo per salire sul podio e hanno chiamato il Cile al posto nostro, abbiamo subito pensato ad un errore di classifica perché noi avevamo i conti elaborati a penna e c’era già una classifica non ufficiale con tutti i risultati sia individuali che per Nazioni. Solo andando a chiedere verifica ci è stato detto che era a causa della squalifica perché la prima giornata c’è stato un reclamo della Nuova Zelanda che accusava Felice di avere pescato oltre il limite di tempo. Ho subito parlato con l’atleta e con il suo assistente Valerio Losito ed entrambi mi hanno raccontato come sono andate le cose.
In pratica non avevano la certezza del momento in cui è iniziata la gara, dato che alla partenza, c’era tensione e decine di gommoni pronti a sfrecciare, hanno chiesto conferma al commissario di bordo, il quale gli ha dato il tempo di inizio, come spesso accade. Gli ultimi minuti gli è stato chiesto quanto mancasse e lui ha risposto che restavano ancora 2 minuti. Nel momento di quell’ultimo tuffo è stato visto in acqua dai neozelandesi che erano nei paraggi e che ha fatto ricorso.
Appena saputo il tutto, ho subito parlato con il giudice di gara, chiedendo per favore di confrontarsi con il commissario di bordo, ma mi ha risposto che non era riuscito a parlarci e che la decisione era già stata presa, per cui potevo fare solo contro ricorso come da regolamento.
L’assurdo è che dal giorno prima non si erano confrontati con il commissario di bordo che avrebbe potuto fornire la versione che scagionava l’atleta, perché mi sembra evidente che se c’è stato un errore, lo ha commesso proprio il commissario nel prendere il tempo e non l’atleta, che invece si è anche accertato dei tempi chiedendo proprio al commissario che viene messo appositamente per controllare. Così, in 15 minuti ho trovato il commissario, ci ho parlato per farmi dire come è andata, ho preparato il ricorso e lo ho fatto firmare anche al commissario, che lo ha confermato in toto.
Sapevo che oramai a premiazioni fatte non ci sarebbe stata che una minima possibilità, ma andava fatto, sia per giocarci quelle poche possibilità, sia per chiarire a tutto il mondo come erano andate le cose. Ad oggi non abbiamo avuto nessuna notizia, anche se subito si è mossa la nostra Federazione e sta seguendo la questione l’avvocato Marco Paggini che è anche un delegato CMAS.
Se esiste una giustizia sportiva, mi auguro che almeno venga esaminato il nostro ricorso perché ci hanno scippato un 3° posto guadagnato con tanta fatica. Poi sono dell’idea che se si riesce a squalificare un atleta in questo modo, senza nemmeno dargli il tempo di difendersi, potrebbe accadere di nuovo. Mettiamo caso che facevamo noi la stessa accusa ad un atleta Spagnolo o Portoghese, cosa avrebbero fatto? Un soggetto è innocente fino a prova contraria e noi avevamo la testimonianza scritta e verbale e del commissario di bordo che credo sia il più attendibile tra i testimoni. Se avessero inoltrato la squalifica il primo giorno, ci sarebbe stato un giorno di tempo per difendersi come si deve, ed anche questo lo reputo assurdo. Credo sia la prima volta nella storia che un atleta riceve una squalifica a 1 minuto dalle premiazioni.
Il terzo posto lo sentiamo nostro e anche se qualcuno non concorda con i risultati di squadra, ricordo che hanno il loro valore, perché il CONI ci riconosce una medaglia, insieme a tutte le nazionali di qualunque disciplina. La nostra Federazione aggiunge una medaglia al proprio carnet ed è comunque di prestigio. Pochi sanno che la FIPSAS è una tra le federazioni con più medaglie in Italia, per cui ci tiene molto a non perdere il prestigio. Negli annali delle classifiche, sul podio ci dovevamo essere noi. Per una squadra che è composta da tanti atleti di cui solo 3 gareggiano il risultato per team è comunque una bella gratificazione.
La CMAS premia con tanto di podio, inno nazionale, medaglie e coppe, che è una bella soddisfazione per qualsiasi squadra. Anche i nostri diretti concorrenti ci davano ragione e lo hanno manifestato in modo pubblico, ma non è servito a niente, se non per consolarci. Insomma essere privati di tutto questo brucia, anche perché era l’obiettivo più ambito di tutto il mondo, escluso le prime due nazioni che, a detta di tutti, erano imbattibili. Non è solo l’ingiustizia, quanto l’assurdità della situazione. Non ci hanno dato il tempo di difenderci. Tutto questo polverone solo per creare la certezza che nessuno può stare tranquillo? Che non c’è più accusa e difesa come nel medioevo?
Tornando a parlare in positivo perché preferisco guardare avanti e vedere il bicchiere mezzo pieno, direi che valutando l’impegno e la serietà di questi ragazzi, capisco che ci sono ancora grandi margini di crescita, ma ripeto non sotto il profilo tecnico o atletico, ma di mentalità, esperienza e consapevolezza. Vorrei spendere tutto il mio orgoglio anche per chi ha lavorato come assistente. Non è facile dare il 110% quando sai che la gara la farà un altro, invece sono stati impeccabili a dimostrazione che c’è il clima giusto. Tutto quanto abbiamo fatto è anche merito loro. Sono stati sempre concentrati sul lavoro e sul motivare chi avrebbe gareggiato, hanno aiutato a superare i momenti di difficoltà perché ce ne sono sempre tanti e sono inevitabili.
A molti sembrerà assurdo, ma anni fa succedeva il contrario, spesso atleti che non gareggiavano, avevano comportamenti stizzosi ed egoistici penalizzando gli altri. Vedo anche un bel gruppo che porta a casa esperienze e stimoli che torneranno utili presto, quando saranno loro a gareggiare. Per certi versi sarebbe produttivo individuare uno zoccolo duro di 3 atleti titolari e far gareggiare sempre quelli, puntando solo su di loro, ma si crea il problema che non si investe e non si aiuta gli altri a crescere, per cui raccogli quello che puoi nell’immediato, ma dopo va tutto a morire.
Un egoista al posto mio lo farebbe perché sa che non può restare per molti anni alla guida di una nazionale, per cui farebbe le scelte più semplici e sicure per non avere problemi, ma io preferisco prendermi qualche critica per il lavoro di costruzione, ma fare del bene alla nazionale. Chi è dentro l’ambiente lo capisce bene e per me è gratificante prima di tutto la mia coscienza. È stato scelto un progetto più a lungo termine, che dovrebbe aumentare il livello medio di tutto l’agonismo. Uno scettico è normale che non lo condivida, ma io sono fiducioso del lavoro e del tempo che serve, per cui sono sereno.
Quello che ogni atleta porta a casa da queste esperienze lo trasmette agli altri anche nei campionati nazionali. Il mio è un compito difficile, faticoso, irto di insidie e delusioni, ma lo faccio con passione. Sarebbe bello prendere una nazionale già collaudata e vincente, ma quando l’ho presa era allo sbando totale, per cui sapevo fin dall’inizio che andavo incontro ad inevitabili momenti difficili. Vincere facile non esiste, la bacchetta magica nemmeno, puoi solo lavorare con impegno, serietà, pazienza. Non mi vedo al posto di chi se ne sta comodo a gufare per invidia, sono uno che sa prendersi le responsabilità e sa portare avanti gli impegni. L’agonismo mi ha dato tanto, ma tra le motivazioni più importanti, ci metto quella di vedere un gruppo di atleti che ti stimano, ti seguono, hanno fiducia. In gara sono con loro e con lo stesso spirito soffro, fatico, gioisco, sbaglio.
In questa nazionale non importa chi sbaglia, perché abbiamo fiducia l’uno nell’altro e lottiamo tutti insieme. C’è sempre la pecora nera anche nelle migliori famiglie, ma l’importante è individuarla, aiutarla a cambiare e se non funziona, allontanarla. La nostra federazione ha fiducia e ci sostiene.
Il primo giorno in cui mi accorgo che qualcosa non è più così, giuro che lascio subito, perché non potrebbe più funzionare, ma non sarà mai per stanchezza o per arrendevolezza. Questa è l’anima della nazionale di oggi, cerchiamo tutti di essere in questo modo. Non siamo delusi dal risultato, perché onestamente il terzo posto per nazioni era il massimo raggiungibile, come individuale forse ci poteva stare una o due posizioni in più, ma sarebbe cambiato poco. Siamo delusi dal trattamento che ci è stato riservato, mentre siamo carichi e vogliosi di riscatto. Sia ben chiaro, non abbiamo la mentalità di accontentarci, l’obiettivo è tornare a vincere, ma con la consapevolezza che il percorso è tortuoso, per cui proseguiremo con lo stesso impegno di sempre pronti a combattere contro ogni avversità.
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Category: Agonismo, Articoli, Interviste, Pesca in Apnea
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