Le stagioni del mare: l’inverno
E alla fine arriva l’inverno, a concludere questa carrellata sulle stagioni del mare e a porre fine a una pessima stagione venatoria che ci ha regalato solo pochi giorni con condizioni accettabili di acqua pulita e calda.
E che inverno, ragazzi, erano anni che non si vedeva un tempo come quello della stagione 2008-2009; almeno per noi siciliani della costa ionica è stato devastante.
Continue piogge e mareggiate ininterrotte da scirocco/levante, che hanno flagellato la costa e addirittura, a metà gennaio, una super mareggiata che ha distrutto strade, allagato scantinati, strappato e rigirato enormi massi nel sottocosta, andandone a depositare qualcuno persino sulla costa, a due tre metri sopra il livello del mare.
Perfino un enorme massone, che era saldato sull’orlo della parete di Capo Mulini, situata nella Timpa di Acireale, posto a circa sei metri di profondità, ora riposa a più di trenta metri, sotto la parete, poggiato su un pianoro di sabbia.
Le violente mareggiate si abbattono sulla costa durante l’inverno
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La grande quantità di acqua piovana che si è riversata in mare ha contribuito rapidamente al raffreddamento delle acque superficiali. In questo modo già da inizio novembre è iniziata l’inversione termica che, nella Sicilia orientale, porterà abbastanza velocemente la temperatura dell’acqua dai 20-21 gradi centigradi di ottobre ai 13-14 di gennaio e febbraio.
Altre caratteristiche chimiche dell’acqua cambieranno durante i mesi invernali: la concentrazione salina, la percentuale di ossigeno disciolto, la percentuale di carbonato di calcio, la percentuale dei solidi sospesi nella colonna d’acqua, e tanto altro ancora.
Tutti questi cambiamenti, che non possono essere rilevati visivamente, attiveranno nelle creature marine alcuni processi metabolici quali la riduzione delle attività vitali per alcuni o i processi riproduttivi per altri.
Io suddividerei i mesi invernali in due periodi, il periodo che va da dicembre a metà febbraio e il periodo che va da metà febbraio a metà marzo, prolungandosi volte anche a tutto aprile, queste mie considerazioni però sono relative alle zone dove vivo e dove normalmente vado a pescare, infatti chi abita in Liguria o in alto Adriatico potrebbe non essere d’accordo con me.
Faccio questa divisione perché il primo periodo è caratterizzato da una lenta ma inesorabile caduta della temperatura, mentre nel secondo troveremo una temperatura costantemente fredda, che comincerà a risalire solo nella tarda primavera.
Nel primo periodo si avranno violentissime mareggiate, il bassofondo sarà continuamente sconvolto e rimescolato, i fiumi saranno pieni di acqua piovana, che scaricheranno in mare.
Il secondo periodo sarà invece caratterizzato mare più calmo, con grandi masse d’acqua che hanno salinità, percentuale di ossigeno e temperatura diversa; tutto ciò condizionerà enormemente la vita delle creature acquatiche e i pesci si sposteranno seguendo quelle masse d’acqua ad essi più congeniali.
In inverno spigole e saraghi si aggregano per riprodursi, riducono le attività alimentari e iniziano a lasciare spazio nella cavità addominale alla crescita delle gonadi.
Anche i loro atteggiamenti comportamentali cambiano: saranno più difficili da catturare con la tecnica dell’aspetto ma più facilmente con la pesca in tana. Infatti nei periodi di stasi cioè quando il moto ondoso non sarà eccessivamente forte in particolari tane, che molti di noi conoscono fin troppo bene, poste in pochi metri d’acqua, sarà possibile ritrovare intere colonie di saraghi o diversi esemplari di spigole nascosti all’ombra, intenti ad assolvere i processi riproduttivi.
Ho notato che, rispetto a qualche anno fa, questi assembramenti di pesci nel basso si mantengono solo per poche ore mentre in passato si potevano ritrovare gli stessi pesci nei giorni seguenti; probabilmente, il contatto sempre crescente con il pescatore in apnea e con i professionisti della pesca sempre più agguerriti, ha modificato la serenità dei nostri amici pinnuti.
Si potranno percorrere centinaia di metri scorrendo il fondo e non vedere un sarago e poi improvvisamente scovarne un folto branco sospeso a mezz’acqua completamente impossibile da avvicinare, attenti però perché, prima o poi, quei saraghi scenderanno sul fondo e si andranno ad intanare in massa (prima o poi).
Chi si immerge in questo periodo osserverà un mare spoglio, quasi privo di vita.
Nelle zone rocciose i massi del sottocosta saranno lisci, privi di quella florida copertura algale tipica della tarda primavera e dell’estate, persino gli steli della posidonia saranno più corti e più radi.
Molte specie di pesci ‘ la cernia bruna (ephinephelus marginatus) e il dotto (mictoperca rubra) – scompariranno quasi del tutto, scendendo a profondità più impegnative; esse hanno accumulato durante l’estate e l’autunno grandi riserve di grasso e adesso rallentano i loro cicli metabolici, saranno perciò meno mobili e si sposteranno più a fondo, anche se le eccezioni sono all’ordine del giorno.
Gli unici pelagici che potremmo incontrare con regolarità sono la palamita (sarda sarda) e il tonnetto alletterato, essi infatti continuano a cacciare con regolarità fino a tarda primavera; si allontaneranno, almeno dal sottocosta, con l’arrivo del frastuono estivo.
La spigola è la preda invernale per eccellenza (Foto A. Balbi)
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L’incontro con la ricciola diventerà più raro, ma non impossibile.
Infatti qualche esemplare isolato, anche di grandi dimensioni, potrà essere catturato nei soliti sommi sulle secche al largo, per i più temerari che pescano tutto l’anno a profondità impegnative, ma anche nel sottocosta magari con la scaduta, dopo una mareggiata.
La leccia invece, anche se non possiamo dire che sia un pesce invernale, potrebbe essere catturata a tutte le batimetriche e in qualunque condizione di mare.
Per il dentice il discorso è relativo alle zone dove viviamo; non posso dire che in inverno esso scompaia del tutto, sarà infatti possibile trovarlo a tutte le profondità: in poca acqua potremo imbatterci in qualche esemplare isolato, magari di grosse dimensioni, oppure, a media profondità, in piccoli branchi con esemplari di media taglia.
Come dicevo interi tratti di fondale saranno semi deserti, c’è però un risvolto della medaglia che ci potrà aiutare e non poco: sarà infatti possibile, per noi pescatori in apnea, individuare più facilmente quelle tane che le alghe fitte rendevano quasi invisibili, o magari scovare in quel grotto vicino la posidonia quei pesci che minacciati si andavano lì a rifugiare.
Ci capiterà così di trovare le corvine che, credendo di non essere viste passano dagli anfratti del grotto alle più accessibili, solo in questo periodo, praterie di posidonia.
Altro fattore non trascurabile è che in inverno potremmo trovare nascosti in pochi metri d’acqua alcune specie ‘ spigole e saraghi ‘ che normalmente ci dobbiamo sudare a maggiori profondità.
La vita insomma sembra rallentare, si può dire che si stia prendendo un periodo di pausa in attesa dell’arrivo della primavera.
Tuttavia non è proprio così, potremmo dire invece che aumentano quelle giornate dove si stenta a vedere quello che noi definiamo ‘movimento’, cioè grande quantità di vita in giro sul fondo.
Chi si immerge con una certa regolarità in questo periodo, sa però che anche l’inverno è capace di regalare intense emozioni; ci saranno tante giornate in cui non vedrà neanche un pesce, c’è ne saranno di contro altre dove si potrà fare incontri straordinari, in pochi metri di profondità, che si ricorderanno per sempre.
Che cosa regola questi improvvisi avvistamenti di pesce non è facile capirlo, i pesci devono gestire le loro esigenze vitali e regolarle con i fenomeni meteo marini che si verificano in questi periodi.
Normalmente in inverno si verificano le più forti mareggiate e soprattutto esse si ripetono con un ritmo a volte incalzante; questo non rende certo facile la vita a pesci che, per riprodursi, devono avvicinarsi in acqua basse.
Quindi, richiamati dagli ormoni delle femmine gravide che vengono rilasciati in acqua, si raccolgono in branchi e rimangono in attesa di periodi di calma. Purtroppo i pescatori professionisti sfruttano queste circostanze per catturare con le reti a circuizione (ciancioli) spigole e saraghi ammassati, magari storditi dai processi amorosi.
Adesso, piuttosto che proseguire con sterili descrizioni tecniche di quello che avviene in inverno, vorrei raccontarvi due episodi, dei tanti con cui si potrebbe scrivere un libro, vissuti personalmente non troppo tempo fa, che mettono in risalto l’imprevedibilità delle pescate che si possono fare in questo periodo.
Nella stagione invernale potremo imbatterci in tane ben frequentate dai saraghi (Foto A. Balbi)
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Tutti conoscono le isole Eolie come magici luoghi dove passare le proprie vacanze estive, dove potersi misurare in entusiasmanti discese nell’abisso a caccia di cernie e ricciole, armati di fucili super lunghi e ultra potenti, immersi in un liquido caldo e trasparente.
Ebbene, in un freddo febbraio del 2000 ero in vacanza con un mio caro amico nella mia isola preferita, di cui non vi dico il nome, anche se chi mi conosce sa bene quale sia; dopo aver preso la nostra solita stanza nella nostra solita pensione, al termine di un tranquillo viaggetto in aliscafo, ci apprestiamo a tirare fuori le attrezzature da pesca e ci accingiamo a prepararci per una intensa giornata di pesca.
Con profondo rammarico mi accorgo di aver dimenticato la maschera, con lenti ottiche, a casa: e adesso che faccio?
Mentre continuo a ripetermi di essere il solito cretino, mi salva il mio amico Massimo prestandomi la sua maschera di riserva, senza lenti graduate ma almeno così potrò scendere in acqua.
Quando finalmente ci immergiamo, ci rendiamo conto che le acque calde e cristalline sono solo un triste ricordo e che l’inverno eoliano non fa certamente sconti a nessuno: l’acqua è fredda e torbida, di pesce in giro neanche a parlarne.
Dopo qualche tuffo sulla batimetrica dei 18- 20 metri mi rendo conto che non potrò pescare a quelle quote, senza maschera ottica e con poca luce non riesco a vedere il pesce in tana prima che lui veda me, così una enorme corvina mi saluta sfilando tra le pietre del fondo.
Rinuncio così al fucile lungo e, armato di un corto oleopneumatico ‘ il mio fidato Cressi SL 50 ‘ e torcia, comincio a razzolare nei primi dieci metri d’acqua, dove la maggiore visibilità e una maggiore irradiazione solare mi permettono di vedere meglio anche in tana.
In giro non si vede assolutamente nulla però dopo cinque ore passate ad infilarmi in ogni buco ispezionabile, da ’10 mt al pelo dell’ acqua, realizzo un carniere di pesce bianco che in estate, così basso, avrei potuto solo sognare, cinque saraghi formato padella e una corvina fuori misura.
Il giorno, dopo in soli tre metri d’acqua catturo una bella cernia che stava nascosta in una franetta veramente insignificante, che finiva a sabbia in soli sette metri.
Cambiamo paesaggio e località: siamo ad Augusta, primi di febbraio; una mareggiata di grecale ha imperversato per diversi giorni rendendo l’acqua torbida all’inverosimile.
Percorro il litorale con la macchina nell’inutile ricerca di un luogo dove avere una visibilità accettabile per pescare; alla fine mi fermo in una enorme baia, dove il moto ondoso è più attenuato e la visibilità è di circa 1,5 ‘ 2 metri; la voglia di entrare in acqua è tanta, anche se so che mi aspetta una inutile e infinita serie di aspetti in poco fondo, abbracciato agli steli della posidonia.
Così imbraccio il mio fido Apache 75 con mulinello e, piombato fino all’inverosimile mi immergo fiducioso.
Giovanni Mangano, oltre che biologo preparato, è anche un ottimo agonista (Foto S. Rubera)
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I tuffi si susseguono monotoni, in un mare ricco di sospensione, con moto ondoso fastidioso che tenta di strapparmi dal fondo non appena lascio la presa, ma il risultato è deludente; anche se tiro le apnee e mi nascondo perfettamente tra le chiazze di sabbia e posidonia, non vedo nessuna forma di vita ne sento scodate premonitrici.
Dopo due ore e mezza di freddo e di inutili tentativi, decido di rientrare e, mentre mi avvicino al luogo da dove mi ero tuffato, mi fermo a fare un aspetto dietro il rottame di un’automobile che chissà come era finito lì.
Eseguo una capovolta senza alzare le pinne e afferro saldamente con la mano destra il telaio della macchina, mi posiziono in modo da avere una buona visuale verso il largo ma, dopo una lunga attesa, ancora una volta niente di niente.
A questo punto, sfiduciato, mi arrendo e mi stacco dal fondo per risalire ma appena lascio la presa sento un enorme scodata e mi sembra di intravedere delle sagome al limite della visibilità; rimango immobile per alcuni minuti a galla, mi ventilo con calma e mi preparo per un lungo aspetto.
Solita capriola senza alzare le pinne e solito appostamento accanto la carrozzeria della macchina, i secondi passano lenti ma di pesce neanche l’ombra poi, quando l’apnea arriva agli sgoccioli, finalmente eccole: sono una decina di spigole di varie misure, due sono molto più grandi delle altre.
Decido di mirare quella più in linea con la punta del fucile, perché mi rendo conto che un minimo spostamento del corpo o del fucile potrebbero spaventare e portare ad una fuga definitiva questi pesci già nervosi; il colpo preciso ferma la corsa della più piccola delle due, è comunque un pesce di notevoli dimensioni che sicuramente raddrizza una giornata decisamente storta.
Quello che succede dopo mi lascia di sasso: mentre sto liberando lo spigolone dall’asta, per passarlo nel portapesci, sotto di me arriva un enorme fiume di spigole; alcune sono sicuramente femmine, perché sono veramente grosse e hanno un ventre enorme, sono attorniate da pesci più piccoli che si strisciano a loro e le spingono da tutte le direzioni.
Sono veramente emozionato, ricarico l’arbalete ma prima di scendere sul fondo per tentare un nuovo aspetto il branco scompare nel torbido. Cosa fare, mi domando? Ricominciare una serie di estenuanti aspetti alla ricerca di un nuovo incontro o uscire e lasciare quei pesci a riprodursi tranquillamente?
Mentre penso a queste cose, passo la mano dietro la schiena e tocco quello splendido pesce che è attaccato al mio portapesci; per oggi va bene così, mi rispondo, domani sarà un altro giorno e ci potranno essere altre avventure.
Ho voluto raccontarvi questi due episodi solo per motivarvi a modificare il vostro modo di pescare, per adeguarlo non solo alla tipologia di fondale su cui vi trovate ma soprattutto alla stagione nella quale pescate.
fondali vivi in estate diventano impraticabili in inverno, al contrario posti deserti d’estate possono diventare dei piccoli paradisi d’inverno.
Ricordatevi che il grande incontro avverrà quando meno ve lo aspettate e non sempre nel periodo estivo.
Ogni stagione ha i suoi pro e i suoi contro, ma quali vantaggi si possono trovare in un mare gelido, dove i movimenti sono rallentati e appesantiti da freddo, mute spesse e zavorre incredibili?
Sicuramente la pace e la serenità di un mondo che per qualche mese rimane quasi solo per noi, senza bagnanti, senza barche, solo qualche cormorano e il rumore del frangersi delle onde sugli scogli.
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Category: Articoli, Medicina e biologia, Pesca in Apnea
Ciao!
Grazie per i preziosi consigli!!!
… e anche per le due esperienze che ci hai raccontato ;-) Pensa che abito proprio sopra quella baia ad Augusta. Noi la chiamiamo Acque Verdi e come saprai quando l’acqua è calma è un posto INCANTEVOLE!!!