L’Agguato Profondo: Istruzioni per l’uso – 2a parte
…è in questa fase che solitamente si avvista il pesce negli agguati di ricerca ed è a questo punto che solitamente si concretizza la cattura con un aspetto, o una caduta, etc. negli agguati di avvicinamento. In termini di apnea, invece, la sosta mi è utilissima perché mi consente di riacquisire un rilassamento muscolare pressochè totale, a tutto vantaggio della permanenza sul fondo, e che in precedenza avevo raggiunto durante la fase negativa della discesa e poi interrotto in quella dinamica sul fondo.
Un discorso analogo si può fare anche per l’inerzia e la gravità. Assecondare e sfruttare queste forze, dov’è possibile – ossia in parte della discesa e in quei tipi di fondali, come ad esempio le frane, in cui si può agguatare dall’alto verso il basso – oltre a fornire un indubbio vantaggio strategico (le vibrazioni prodotte nell’acqua e percepite dai pesci, durante uno spostamento in totale immobilità sono inferiori a quelle prodotte muovendo il braccio e/o le pinne) consente anche di decontrarsi. Credo che nell’agguato profondo, più che in ogni altra strategia di pesca subacquea, sia fondamentale cercare di “fondere” apnea pura e pesca in apnea, due discipline generalmente ben distinte ma che in questo caso trovano importanti punti di contatto.
Nella pesca profonda non è possibile, per ragioni di sicurezza, imprimere un ritmo elevato alla propria azione con brevi tempi di recupero in superficie, ed è necessario curare bene ogni fase dell’immersione a partire da quella, fondamentale, che la precede, ossia la preparazione del tuffo in superficie; già qui subentra l’aiuto delle tecniche di rilassamento e di respirazione tipiche dell’apnea pura. Raggiunta la necessaria decontrazione e “pace interiore” in superficie, cerco di mantenere “attiva” questa condizione quanto più è possibile durante l’immersione, ma poichè la dinamicità dell’azione di pesca, lo studio costante dell’ambiente e gli imprevisti, tendono a turbare continuamente il rilassamento iniziale, nel mio caso è più corretto parlare di “ri-attivazione”, in tutte quelle circostanze che mi allontanano dalle condizioni psicofisiche ottenute in superficie. Per quanto mi riguarda, un segnale inconfondibile del mio rilassamento in profondità è la percezione delle pulsazioni cardiache: se c’è, tutto ok, riesco a rilassarmi e sono sereno, condizioni in cui è come se prendessi una boccata d’aria, perché di colpo i consumi si riducono.
Ogni “agguatista” sa bene che per praticare con successo la “sua” tecnica, il fondale deve avere caratteristiche generali tali da consentirgli di nascondersi bene tra uno spostamento sul fondo e l’altro, quindi eviterò di approfondire l’argomento “morfologia”, mentre invece in questa sede proverò a chiarire l’importanza che per me ha la pendenza (nel senso topografico del termine) del fondo nell’agguato in profondità. Ci si può trovare al cospetto di vari livelli di pendenza del fondo, ma per comodità ne citerò soltanto tre: 0% (o°), 100% (45°) e poco oltre il 1000% (90°). Nel primo caso la pendenza è nulla e, a meno che sul fondo siano presenti enormi massi da aggirare dall’alto in basso, gli spostamenti all’agguato avvengono costantemente per contrazione muscolare (del braccio e/o delle gambe). Negli altri due casi (da una pendenza a 45° alla parete verticale vera e propria), e con spostamenti dall’alto in basso, posso invece sfruttare inerzia e gravità a mio favore e quindi, potendo scegliere, io preferisco sempre queste ultime situazioni. Ogni “terrazza” di una parete ed ogni grande masso di una frana con pendenza di 45° rappresentano chiaramente ostacoli tra pescatore e potenziali prede, per cui in questi casi, procedendo dalla zona meno fonda verso quella più impegnativa, ho il vantaggio di potermi occultare alla vista della preda anche in discesa, momento in cui nella maggior parte delle azioni di pesca sono totalmente scoperto e posso spaventare i pesci.
Per molti anni, negli agguati in frana mi è capitato di scendere rasente il fondo, agguatando fino a massi oltre i quali potevo trovare una cernia, e di udire il rumore sordo prodotto dalla scodata del pesce che si intanava, prima ancora che potessi aggirarli per localizzare la preda. L’analisi critica dell’azione mi ha fatto ritenere per lungo tempo che i pesci si spaventassero, perché magari, pur non vedendomi mi sentivano, ma qualcosa non mi tornava perché la famosa “velocità non aggressiva” e la silenziosità sono aspetti tecnici che mi sono sempre impegnato a curare. Col tempo credo di aver capito la vera causa di quelle scodate: la cernia è un pesce a cui piace avere “la situazione sotto controllo” e come un bravo aspettista sceglie appostamenti che le consentano di controllare la maggior porzione di fondale possibile. Le cernie che abitano le frane laviche in cui mi capita di pescare “all’agguato profondo”, non fanno eccezione e probabilmente esercitano il controllo visivo sulla porzione di fondo sovrastante il masso dietro cui sono acquattate, attraverso i grandi buchi passanti che questi massi formano con quelli sovrastanti e che “guardano” verso il mare aperto. Strisciare sopra uno di questi buchi prima di aver visto la preda, significherebbe oscurare il cono di luce tenuto sotto controllo dal pesce e quindi spaventarlo prima ancora di riuscire a vederlo: questa, attualmente, è la mia ipotesi.
Per quanto riguarda le “armi” da utilizzare nell’agguato in profondità, come tanti altri pescatori ho avuto un evoluzione. Inutile, secondo me, rimarcare che sia il manico a contare e che i pesci vadano avvicinati o fatti avvicinare il più possibile, perché chi può pescare all’agguato profondo, normalmente, è un pescatore-atleta che ha preso consapevolezza di questi princìpi già da parecchio tempo, ma è anche cosciente che in questa strategia di caccia, più che in altre, un fucile maneggevole, preciso, potente e con cui si sia instaurato il massimo del feeling, fornisce un aiuto a cui difficilmente si rinuncia. Personalmente, dopo anni di utilizzo (con soddisfazione, per carità) di un 110 in legno con doppio elastico, mi sono convertito ad un arbalete rollerizzato e in alluminio, di pari lunghezza, che trovo eccezionale per robustezza, potenza e gestibilità; mi serviva qualcosa che non dovessi resinare periodicamente per via degli urti accidentali contro gli scogli, maneggevole, che fornisse buona potenza ma con un rinculo contenuto, che mi permettesse di insagolare i dentici e trapassare le cernie: io ho trovato la mia soluzione, ad ognuno la sua.
Concludo con una considerazione da allenatore di apnea: nei periodi in cui si pratica l’agguato profondo (generalmente in estate – inizio autunno), spesso, dopo un periodo di ottima forma si ha un calo fisico-prestazionale, in particolare un cedimento del tono muscolare e della forza delle gambe. Il motore dell’apneista, assolutamente fondamentale soprattutto nella seconda metà di una risalita profonda (in special modo per chi, come me, non sgancia praticamente mai la zavorra sul fondo)”perde colpi” ed in questa condizione si è costretti a ridurre drasticamente le quote operative, o addirittura a tenersi lontano dal mare per un paio di settimane se non di più per “rigenerarsi”. Tutto ciò è evitabile facendo ricorso, tra le altre cose (idratarsi ed integrare proteine e vitamine in primis), ai cosiddetti richiami di forza. Qualora il “nostro” pescatore tipo fosse un agonista, consiglierei, nel periodo compreso tra giugno ed ottobre, di dedicare un giorno alla settimana ai richiami di forza resistente (o resistenza alla forza, come si direbbe nell’ambiente del nuoto) in acqua, ed uno a quelli di forza generale e massima a secco.
Nel primo caso, ad esempio, un lavoro interessante potrebbe essere fatto con scatti di nuoto pinnato sulle distanze dei 25, 50 e 75m. Nel secondo caso si tratta di recarsi in palestra ed eseguire da 3 a 6 serie con poche ripetizioni (con una cura particolare verso le gambe), con un carico tra il 60 ed il 90% del massimo gestibile, il tutto con recuperi lunghi. A chi invece non ha esigenze agonistiche o comunque può dedicare un solo giorno alla settimana ai richiami di forza, consiglierei solo lavori di forza resistente a secco. In quest’ultimo caso si possono usare carichi attorno al 50% del massimale, il numero di serie è simile a quello sopra menzionato, ma numero delle ripetizioni e velocità di esecuzione devono aumentare esponenzialmente, al punto che si lavora “a tempo” (ad esempio 6 serie con tempi di lavoro compresi tra 1’ e 2’30’’ ciascuna) e con recuperi brevi (circa 30’’). Se la condizione atletica viene mantenuta a buon livello per tutta la bella stagione, le prestazioni apneistiche, con l’allenamento specifico in mare, non possono che migliorare, a tutto vantaggio della sicurezza ma anche del piacere del pescatore.
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Category: Pesca in Apnea, Pesca in apnea: Tecniche e attrezzature