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La ricerca delle prede

| 9 Marzo 2001 | 0 Comments

 

Isolotto dei Topi (Argentario)

Venti o trenta anni fa era sufficiente immergersi su qualunque fondale roccioso per poter fare carniere. Le prede erano abbondanti e poco smaliziate e la loro cattura non richiedeva la padronanza di tecniche pesca sofisticate. Oggi, invece, oltre ad essere dotato di tecnica e fiuto sopraffino, il pescatore subacqueo che vuole fare carniere deve necessariamente impratichirsi delle tecniche di ricerca delle prede, ossia di quelle tecniche messe a punto in tanti anni nel mondo dell’agonismo. Il motivo per cui queste tecniche si sono sviluppate nel mondo delle gare è molto semplice: anche quando il Mediterraneo era ben più prodigo di pinnuti, un buon risultato in un campo gara sconosciuto dipendeva in buona parte dalla capacità dell’atleta di individuare le zone migliori nei pochi giorni di preparazione a sua disposizione.

Proprio per questo motivo le considerazioni che seguono sono rivolte non tanto agli appassionati dediti alle gare, già padroni di queste tecniche, quanto alla grande maggioranza dei pescatori subacquei che amano semplicemente godersi il mare e, magari, rimediare una bella preda per la cena.

Innanzi tutto è bene precisare che, prima di iniziare qualsiasi ricerca, occorre che il pescatore sia in grado di farsi un’idea delle potenziali prede presenti in un certo tratto di mare.

E’ evidente che l’esperienza in questo conta moltissimo, aiutando il sub a scartare quelle zone in cui è improbabile l’incontro con le prede che lo interessano maggiormente. Viceversa, in base alla stessa esperienza sapremo in anticipo, sommozzando in un determinato fondale e ad una certa batrimetrica (aggiungerei anche in una stagione ben precisa) quali pesci sarà possibile, o almeno più probabile, portare a tiro.

Detto questo, appare evidente che, gare a parte, noi imposteremo la nostra ricerca in base al tipo di preda che preferiamo. Si tratterà comunque di pesci di pregio gastronomico, come saraghi, corvine, dentici, orate, cernie etc.. Un altro elemento da sottolineare riguarda la possibilità di effettuare catture in un certo posto in modo abituale, ovvero la capacità di “segnare” un determinato posto ed avere così l’opportunità di tornarci di tanto in tanto per effettuare nuove catture. Questo è possibile nel caso di tutti i pesci di tana, come cernie, saraghi e corvine, e, in certi casi, con muggini e spigole

E’ altresì possibile per il dentice e la ricciola, a condizione di visitare nella giusta stagione e nell’orario ottimale i luoghi in cui ne abbiamo catturati in precedenza. Altre prede di notevole interesse gastronomico, quali ad esempio l’orata, possono rappresentare un’incognita in alcune aree della nostra costa, nel senso che essendo più rare di altre costituiscono un incontro casuale ed occasionale, difficilmente inscrivibile in schemi precisi. Veniamo dunque a descrivere i principali metodi di ricerca del pesce, che sono essenzialmente il cosiddetto “paperino” e l’ecoscandaglio.

PAPERINO

Come posizionare il paperino

Questa tecnica di perlustrazione dei fondali consiste essenzialmente nello sfruttamento della forza motrice del fuoribordo del nostro gommone al fine di percorrere molta più strada che non pinneggiando. Si attua per mezzo di una lunga cima galleggiante (50-70 mt in base al fondale) fissata da un capo ai golfari di poppa del mezzo appoggio, dall’altro ad un pezzo di legno di sezione cilindrica lungo una quarantina di cm. Infileremo il pezzo di legno fra le gambe da tergo, facendolo aderire all’inguine. Il moto del gommone, che procederà a bassissima velocità, ci permetterà di iniziare una discesa semplicemente chinando in avanti il nostro tronco. Per risalire sarà sufficiente, al contrario, chinare testa e tronco verso l’alto.

Questo sistema, molto utilizzato, permette di effettuare tuffi di ricognizioni molto lunghi, poiché si tratterà sostanzialmente di apnea statica.

Per lo stesso motivo, avremo tempi di recupero in superficie relativamente brevi, il che ci consentirà di ottimizzare il tempo trascorso in immersione. Chiaramente, stiamo parlando di esplorazione di medio fondale, non dell’abisso.

Nel caso di fondali estremamente impegnativi, sconsiglio l’utilizzo del paperino o dello scooter subacqueo: lunghe immersioni a grande profondità (oltre i 30 mt) con discese e risalite repentine e con brevi tempi di recupero in superficie ripetute nel tempo sembrano essere la causa di quel “male senza nome” che ha già colpito diversi agonisti, non ultimo il campione spagnolo Alberto March.

Il sistema del paperino, ovviamente, è sempre da preferire nel caso di fondali movimentati, con vaste distese rocciose e frequenti dislivelli, poiché utilizzando – ad esempio – l’ecoscandaglio, è difficile distinguere in un simile contesto dove sia più probabile la presenza di prede. Con il paperino si attua una ricerca “a vista” e addirittura è frequente la scoperta di tane nascoste o fuori vista per mezzo dell’avvistamento dei pesci che stazionano nei paraggi.

Un sub in azione col paperino

Personalmente mi è capitato di “sganciarmi” dal paperino (manovra che si effettua ruotanto leggermente lungo l’asse longitudinale del corpo e aiutandosi con una mano al fine di sfilare il bastone di legno dall’incavo inguinale) dopo aver avvistato un branco di saraghi in una distesa d’alga e, inseguitili per un breve tratto, di scovarne anche il rifugio.

In merito alla scelta della strategia di ricerca più redditizia, la cosa più importante, nel caso ci si trovi in una zona sconosciuta, è reperire una buona carta nautica, che è sempre bene esaminare prima di uscire in mare.

Nel caso vi siano vaste zone rocciose con frequenti salti di batimetrica il paperino è senz’altro la tecnica di perlustrazione più indicata. Comunque, anche nel caso di aree caratterizzate da roccia mista ad alga, se la visibilità in acqua è buona, il paperino offre chances in più rispetto all’ecoscandaglio, poiché il “cono” che riusciremo a perlustrare a vista è sicuramente molto più ampio di quello che l’ecoscandaglio riesce ad esaminare. L’unico problema che si incontra utilizzando questa tecnica è la notevole perdita di calore corporeo causata dall’eccessivo ricambio dell’acqua posta tra muta ed epidermide in conseguenza della velocità impressa dal fuoribordo che ci traina, chiaramente superiore a quella raggiungibile pinneggiando. E’ pertanto raccomandabile l’utilizzo di mute un po’ più spesse di quelle che siamo soliti indossare relazione alla stagione.

ECOSCANDAGLIO

La boa di un sub intento ad esplorare il fondale

Altro sistema di ricerca delle prede è quello che utilizza l’ecoscandaglio, strumento elettronico che permette di vedere l’andamento del fondale posto al di sotto del nostro gommone, permettendoci di individuare cigliate, secche e afferrature in genere. Poiché sappiamo bene che ormai i luoghi in cui il pesce tende a concentrarsi sono in genere banchi rocciosi isolati, è facile intuire la comodità di uno strumento del genere. Come già accennato, l’ecoscandaglio ha dei limiti. In primo luogo, è in grado di analizzare un “cono” relativamente piccolo, la cui ampiezza varia da modello a modello ed in relazione alla profondità; inoltre, è necessario fare un po’ di esperienza per capire, in base alla rappresentazione grafica visualizzata dal display, che tipo di afferratura abbiamo trovato. Inoltre, mentre è uno strumento valido ai fini della ricerca di zone rocciose isolate che si ergono dal fondo o per l’individuazione di cadute, non è utilizzabile nel caso di fondali molto movimentati in cui si rende necessario trovare le poche zone buone caratterizzate da profonde spaccature.

Quando in acqua la visibilità non è ottimale, l’ecoscandaglio ci consente di risparmiare molta fatica: anziché sommozzare per lunghe ore, sarà sufficiente procedere in planata con il gommone percorrendo una traiettoria “a pettine”, ovvero composta di rette parallele, normalmente andando da terra verso il largo e viceversa, poste a distanza tale da non lasciare aree troppo vaste prive di ricognizione. Quando lo strumento ci segnalerà qualcosa di interessante, ci tufferemo per verificare di cosa si tratti e, nel caso sia opportuno, procederemo col prendere i riferimenti a terra utili a ritrovare il posto in seguito. L’ecoscandaglio, infine, se utilizzato con il G.P.S. (Global Positioning System) ci consente anche di inviduare secche segnate sulle carte. Sarà sufficiente inserire nel G.P.S. le coordinate della secca di nostro interesse, impostare la rotta verso quel punto e, una volta giunti in zona, verificare con l’ecoscandaglio la presenza dell’agglomerato roccioso. E intuibile come le afferrature segnate sulle carte, ben conosciute, siano posti sicuramente validi ma difficilmente eccezionali. Al contrario, i posti veramente “magici” non si lasciano trovare con altrettanta facilità, anzi, spesso sarà necessario dedicare alla loro ricerca molto tempo e molta benzina.

Ma quando ne troverete uno, tutti i vostri sforzi saranno senz’altro ripagati!

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