La pesca della tinca in lago
Lago di Como a Lecco, un pescatore in apnea si tuffa per terminare l’istallazione delle legnaie, fascine di legno di castagno o pinetti posizionati sul fondale per favorire la riproduzione della tinca e del persico- Foto M. Sparacino, circolo Fipsas Nord Padania Sub Varedo
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Se in un’immersione in un bacino lacustre del nord-Italia vi capita di avvistare un corpulento pesce dalla schiena verde scuro e dal ventre incredibilmente giallo, siete al cospetto di una tinca, autentico simbolo dei ciprinidi autoctoni delle nostre acque dolci.
Apnea Magazine prosegue con le interviste a Roberto Palazzo, pescatore lacustre di lungo corso e profondo conoscitore di queste acque.
Roberto, hai iniziato la tua carriera di pescatore lacustre in apnea 40 anni fa, ricordi le prime avventure?
Una tinca fa capolino dall’alga – Foto M. Sparacino
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Mi immersi la prima volta ancora giovincello nelle acque prospicienti il porticciolo di Portese, località a poche centinaia di metri da Salò, lago di Garda.
A fine primavera, ancora senza muta, con attrezzatura promiscua, ricordo un gran freddo ma anche la grande curiosità di esplorare quelle acque che fino ad allora avevo osservato solo dalla superficie. A quei tempi pescavo con la lenza, ma iniziavo a sentire il richiamo delle acque del lago. Spesso avvistavo degli splendidi pesci dalla superficie, volevo osservarli da vicino, volevo afferrarli, e così iniziai ad immergermi.
Voler vedere i pesci da distanza ravvicinata è certamente causa scatenante di una passione come la nostra. Ma raccontaci… com’era il lago ai tempi dei tuoi primi tuffi?
La qualità delle acque non era molto dissimile da quella odierna: il periodo peggiore per l’acqua è stato a cavallo degli anni 80′, quando l’eutrofizzazione era davvero consistente. Già allora l’inquinamento non era limitato ai soli scarichi civili. Nel lago entravano in modo incontrollato le acque reflue di alcune industrie, non esistevano i depuratori, i detersivi iniziavano ad avere il fosforo ma non il perborato e i clorati tanto dannosi di oggi. Era operativo da pochi anni il canale di piena di Mori dell’Adige, che tanto ha stravolto l’ambiente del Garda.
Erano acque sostanzialmente più limpide di quelle odierne, meno limo in sospensione, ma anche meno nutrienti e quindi meno pesci. Però erano abbondantissime le alborelle e le sarde (agoni), l’era del coregone stava iniziando allora.
C’erano ancora tanti carpioni [n.d.r. salmonide endemico del Garda oggi quasi soppiantato dal coregone], e in alto lago e basso Sarca le ultime grandi trote lacustri lottavano per riprodursi nel fiume Sarca, già compromesso dai lavori in alveo e dalle dighe.
Tinca dall’alto – Foto M. Sparacino
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E tu cosa prendevi, quali furono le prime prede?
Ricordo benissimo il mio primo pesce pescato in apnea.
Mi immersi presso una passerella di Portese, dove il fondale presentava subito un banco di alghe. Un corpulento pesce mi venne incontro e così mi trovai tra le mani uno splendido esemplare dalla pancia gialla, con dei labbroni carnosi, l’occhio piccolo ma vispo e uno schienone carnoso di colore verde scuro.
Una splendida tinca, ho iniziato la carriera di pescatore in apnea con una tinca.
Tinca, cosa puoi dirci di questo pesce?
E’ il più grande dei ciprinidi autoctoni Italiani [n.d.r. la carpa è stata introdotta in epoca romanica], ed ha abitudini bentoniche.
E’ un pesce che può oltrepassare i 5 chilogrammi di peso, cosa tra l’altro non rarissima. E’ numericamente abbondante, si riproduce a maggio e nelle prime settimane di giugno, periodo in cui la si può incontrare ovunque.
E’ diffusa in tutto il lago, si adatta a tutte le tipologie di ambienti purchè vi sia cibo, frequenta sia il fango che l’alga e la si può incontrare anche sulle pareti rocciose.
Coppiola di corpulenti esemplari – Foto M. Sparacino
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Roberto, dici che è diffusissima, ma a sentire alcuni pescatori a canna che ci accusano di pescarle tutte noi, il pesce sarebbe addirittura in via di estinzione…..
Niente di più falso. Non so che pescatori siano questi, forse provengono da alcune zone a valle del Po o del centro Italia, dove l’introduzione di specie alloctone e l’inquinamento hanno prodotto sconvolgimento negli ecosistemi acquatici. Il loro problema si chiama innanzi tutto siluro.
La tinca si nutre nel fango e nel limo, ma ama le acque pulite, non sopporta situazioni degenerate. Nei nostri laghi le tinche sono in deciso aumento da parecchi decenni, ce ne sono sempre di più e sempre più grandi.
Come mai?
Due fattori: il calo della pressione della pesca professionale sulla specie per la modificazione delle abitudini alimentari della popolazione e l’aumento delle zone di sponde con limo. Meno pesca e più nutrimento, ecco perché di tinche ora ce ne sono perfino troppe.
Fungosi, forse questo esemplare non sopravviverà allo sforzo riproduttivo – Foto M. Sparacino
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Troppe tinche? Cosa ti fa pensare che siano troppe?
Le incontri ovunque, e poi lo capisci dal ripetersi delle morie. Basta informarsi presso i professionisti: se desiderano tinche posano pochi metri di rete vicino a riva, basta e avanza.
Potrebbero riempirsi con facilità le reti, non lo fanno solo per ragioni di mercato.
Anche gli ittiologi delle province dicono la stessa cosa: le tinche sono in netto incremento, la specie è in espansione.
Morie di tinche, ho visto anch’io quest’anno, ma sembravano tutti pesci della stessa taglia. Come mai non si vedevano esemplari grossi e piccoli?
E’ una moria periodica, naturale, dovuta ad un batterio nel fango; le tinche si infettano durante l’inverno, quando si nascondono nel fango. Ne restano colpiti solo gli esemplari da 1 a 2 chilogrammi, le piccole preferiscono celarsi nelle alghe, le grandi sono sopravvissute alle infezioni ed hanno sviluppato resistenza. Avviene da sempre, a cadenza triennale, ed il fenomeno è l’unico regolatore naturale del numero delle tinche, specie che da adulta è senza nemici naturali, risultando troppo grande anche per il luccio.
Più tinche ci sono, più la moria di primavera triennale è evidente, ma significa solo che le tinche sono aumentate ulteriormente.
Esemplari contaminati dalla fungosi invernale – Foto M. Sparacino
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I pescatori a lenza si lamentano, loro dicono che faticano a catturare le tinche.
E’ un problema di tecnica di pesca e di abitudini alimentari. La tinca si nutre rigorosamente sul fondo, il cibo deve essere immobile. Se c’è limo l’efficacia della pasturazione resta compromessa, la tinca faticherà a trovare l’esca sprofondata sotto gli strati limosi più morbidi, ed il pesce è ormai abituato a nutrirsi dei ben più appetibili fouilles [n.d.r. un piccolo vermetto molto apprezzato dai pesci] e difficilmente resterà attratto dalla nostra insidia.
Invece su fondali più duri, con la pesca e pasturazione a sfarinati, la tinca è disposta a soffermarsi e magari abboccare all’amo, ma le eventuali catture saranno sempre poco indicative rispetto all’effettiva consistenza numerica della specie nel momento. E’ un pesce che nella pesca a lenza crea delle difficoltà, ma questo non significa che non sia molto presente nei fondali del lago. Un tempo c’era meno fango e la tinca era più affamata (oltre che più piccola), era più semplice localizzare zone di fondale idoneo per posizionare le nostre esche.
Si avvicina – Foto M. Sparacino
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Quindi tantissime tinche ai giorni nostri, ma la specie è sempre meno ricercata dalla pesca professionale. Perché?
La pesca professionale c’è ancora, ma è rivolta solo agli esemplari di taglia media. E’ ancora un piatto tradizionale in alcuni ristoranti del lago d’Iseo, ma il mercato chiede pesci da porzione, non grossi esemplari di svariati chili. Comunque il pesce è sempre meno richiesto, i gusti cambiano, sicuramente in peggio, ora si preferisce il salmerino olandese di allevamento nutrito con alimenti non certo comparabili a quelli naturali, ed il gusto non ha certo nulla a che vedere con quello dei pesci vissuti in libertà in un grande lago.
Tu come le peschi?
Per la tinca la tecnica principe è la pesca all’aspetto. Poi la si può pescare direttamente nell’alga con un agguato particolare; nelle alghe in cui spesso si nasconde è difficilissima da localizzare, anche quando è presente in modo massiccio. La tinca può essere poi pescata in roccia, dove si può trovarla anche intanata, oppure mentre si nutre nel fango scavando piccole buche alla ricerca di vermetti.
I letti d’alga sono il suo habitat preferito – Foto M. Sparacino
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Quindi la si pesca in ogni modo. Andiamo con ordine: cosa ci dici della tinca all’aspetto?
Ci si ferma sul fondo, in silenzio, e lei si avvicina con andatura maestosa per farci visita. Si utilizza la thaitiana. Il pesce è solidissimo, forte, se colpito ha una reazione non travolgente ma decisa. Quello che conta nella pesca all’aspetto della tinca, è non avere rumori attorno: per soddisfare la sua curiosità è disposta a venirci a trovare da lontano, purchè non sia disturbata da altri rumori.
E’ curiosissima, gregaria, arriva anche in gruppetti, ma non in branchi compatti.
La profondità di pesca varia a seconda delle stagioni: si inizia a pescare ad aprile in 2 metri d’acqua per finire a dicembre entro i 20 metri, poi il ciprinide si cela nel fango e interrompe ogni attività.
Fango?
E’ la pesca in apnea invernale e di inizio primavera. La tinca si nasconde nel fango morbido, lasciando fuori solo gli occhi o una frazione di pinna dorsale. A volte scompare del tutto sotto il fango. E’ una pesca difficilissima da attuare sempre a quote impegnative, con l’acqua gelida; si svolge su pesci sì fermi, ma praticamente invisibili.
Alga?
Nell’alga la tinca si nutre e si nasconde, può essere numericamente abbondantissima ma è difficile da localizzare quando si incunea sotto i grandi materassi di vegetali.
Si può tentare un aspetto in prossimità del banco di alghe, portandolo da sotto il cordone, rivolti dal basso verso l’alto quando il fondale è fortemente pendente, ma se loro non escono dai banchi di alga bisogna andarsele a cercare con un agguato lento e ben fatto.
Occorre avere un’assetto di immersione perfetto, neutro o totalpiù leggermente positivo, fucile cortissimo già allineato con gli occhi, si scruta tra le alghe da distanza ravvicinata, con un’attenzione incredibile.
La tecnica non è semplice da attuare: se tocchi le alghe si smuove il limo e la visibilità cala fino a compromettere l’azione di pesca; se sei troppo lontano vedi solo l’ammasso verde dei vegetali che rendono il tutto impenetrabile alla vista. Considera che l’alga crea dei materassini alti fino a due metri, lì le tinche restano invisibili persino a noi apneisti che possiamo comunque tentare una ricerca scrutando direttamente fra le alghe, pensa a chi come i pescatori a canna non possono neppure sapere la conformazione esatta del fondale. Per loro è impossibile pescarle.
Nel ranino [n.d.r. alga a materassino verde tipico delle zone di fango con tanta luce] le tinche vi si nascondono sotto, capita di vedere il ranino sollevato, che assume la forma della tinca definendone la sagoma e svelando così la presenza del pesce. In questo caso l’agguato sarà molto efficace.
Mimetizzata nelle alghe ci osserva – Foto M. Sparacino
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Roccia?
La roccia è frequentata dalla tinca quando ci sono costoni d’alga e davanzali con sottostanti cadute o pareti. Le zone migliori sono le rientranze e i piccoli golfi, dove la pendenza è leggermente minore e le alghe attecchiscono meglio. Le tinche pattugliano questi gradini costeggiando la fascia di alghe: in questo caso il pescatore in apnea posizionandosi all’aspetto si può tentarne la cattura, quasi sempre fermandosi aderenti alle rocce ed osservendo verso l’alto. In queste circostanze potremo vedere i nostri pesci sfilarci sopra in controluce.
E’ possibile anche trovarle nascoste nelle fessure di roccia, dove le tinche si recano per cercare nascondiglio o nutrimento.
Ma quanto tempo dedichi ora alla pesca della tinca?
Pesco le tinche esclusivamente in gara, per il mio consumo alimentare mi limito alla cattura di non più di un paio di esemplari all’anno. Se la tinca in gara resta disturbata, non è per niente semplice effettuare delle catture. In gara comunque abbiamo dei rigorosi limiti di prelievo della specie.
E’ da notare che ci siamo autoimposti il numero massimo di catture consentite, ampiamente al di sotto di quello attualmente proposto dagli ittiologi delle province.
Appoggiata alle rocce – Foto M. Sparacino
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Un trucco per pescare tinche?
Se si localizza una conca di fango morbido dove non si vede nulla tra il fondo e i primi 50 centimetri di acqua a causa della sospensione significa che possono esserci decine e decine di tinche al pascolo in zona. Si può tentare un aspetto tenendo il capo sollevato, così facendo si vedono comparire le tinche dalla zona invisibile.
Se il fondale è parzialmente roccioso o di fango duro e l’acqua sovrastante risulta lattiginosa, cioè velata leggermente da polveri fini e non dalla fioritura delle alghe, può significare che le tinche sono in zona intente a nutrirsi. Qualche aspetto in questo caso potrà portare rapidamente a buoni risultati.
Hai parlato di pesca professionale e ittiologi. Ci sono ripopolamenti di tinche sui laghi?
No, la tinca del lago nasce sempre da riproduzione naturale sul lago. Per favorirne la riproduzione vengono posate sul fondo le legnaie, cioè delle fascine di legno, possibilmente di castagno, su cui i pesci depongono le uova.
Negli ultimi anni i pescatori in apnea si sono attivati nella posa di questi dispositivi per la riproduzione, specializzandosi nell’istallazione e nella manutenzione.
Invece spesso i ripopolamenti sui fiumi sono effettuati con giovani esemplari pescati con le nasse fisse [n.d.r. aquiloni] o reti sul lago. E’ possibile anche la riproduzione artificiale, ma non è semplice da ottenersi e si sacrifica la vita del riproduttore; da segnalare che non è facile riprodurre artificialmente alcuna specie di ciprinidi. Le uova sono piccolissime e numerosissime, con pochissimi giorni utili alla maturazione, ma in ogni caso le tecniche stanno migliorando e i riproduttori sono sempre prelevati dai laghi.
Alla ricerca del cibo su fondale duro – Foto M. Sparacino
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Tinche a tavola?
La tinca è un pesce eccezionale, estremamente magro. La si consuma sfilettata e rigorosamente senza pelle, oppure come da cucina tradizionale, ripiena al forno. Gli esemplari migliori non sono quelli di grossa taglia. La tinca al forno ripiena di formaggio è il piatto tipico dei ristoranti sul lago d’Iseo.
Le tinche migliori sono quelle dell’Iseo, che sono più piccole e saporite, altrettanto pregiate lo sono quelle dell’alto lago di Como, mentre quelle del basso Garda sono troppo grandi.
Grazie Roberto, a risentirci per le altre specie tipiche lacustri.
Branchetto di tinche, la specie è in forte incremento nei laghi Lombardi – Foto M. Sparacino
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CONSIGLI UTILI PER LA PESCA DELLA TINCA A LENZA DA RIVA NEI LAGHI
Il problema principale della pesca della tinca da riva in un lago non è l’abbondanza o meno del pesce in zona, ma la localizzazione della giusta profondità di pesca e del fondale idoneo alla posa delle nostre esche.
La tinca si nutre rigorosamente con cibi fermi. Non è disposta a rincorrere le esche, di conseguenza difficilmente abboccherà ad esche che non siano ben posate e ferme sul fondo.
Il problema è dove posare le esche.
In un lago, essendo le acque immobili a differenza che in fiume, le alghe possono formare delle barriere alte qualche metro, sotto cui le tinche si nutrono. Difficilmente riusciremo a posare le nostre esche in modo adeguato sul fondale per la presenza delle alghe, che fermeranno l’affondamento della lenza.
Anche la migliore pasturazione può essere vanificata, potremmo ritrovarci con facilità parecchie tinche intente a nutrirsi della nostra pastura, ma con le nostre esche mal posizionate sopra le alghe e quindi snobbate dall’elegantissimo ciprinide.
Inoltre, nel caso di abboccata il pesce si potrà infilare irrimediabilmente sotto le alghe trovando appigli, incastrandosi e rendendo impossibile la cattura.
Se si pesca a fondo oltre il cordone delle alghe, il problema diviene l’onnipresente limo morbido che a causa della nostra lenza troppo pesante favorirà lo sprofondamento dell’esca, celandola.
Da questo nasce l’errata convinzione che le tinche siano rare.
Per avere successo nella pesca delle tinche con la lenza occorre quindi un’accurata verifica del fondo tramite l’utilizzo delle sonde. Bisogna selezionare quei fondali di media profondità con alghe, possibilmente in prossimità di legnaie, e su questi fondali bisogna localizzare gli spazi liberi dalle alghe con il substrato non troppo morbido.
In questi punti basterà pasturare leggermente ele catture non mancheranno.
Esche adatte sono il bigattino ed il lombrico di terra e di letame. Per la pasturazione, oltre ai tradizionali sfarinati mai troppo legati e pesanti, è ottimo il foilles.
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