La pesca della corvina
La mia prima bella corvina l’ho catturata moltissimi anni fa’ nelle acque della Sardegna, e da allora sono rimasto affascinato dall’eleganza e dal portamento di questo stupendo scenide. Nonostante siano molte per me le primavere passate con la testa sott’acqua, la visione di un branco di corvine sospese sulla posidonia mi procura sempre forti emozioni, un misto di ammirazione e di appagamento estetico, con un pizzico di apprensione dovuta alla sempre maggiore difficoltà nell’insidiare la corvina.
In effetti, in questi ultimi anni anche le corvine -come del resto altre specie stanziali- hanno modificato le loro abitudini, cominciando a prediligere le vaste e folte praterie di posidonia alle zone rocciose. E anche quando trovano occasionalmente riparo nei meandri spesso inespugnabili delle franate, o nelle spaccature tortuose del grotto, sono sempre pronte ad abbandonarli per rifugiarsi nel fitto degli steli della posidonia, allontanandosi non viste fuori dalla portata del pescatore.
La corvina è una specie presente lungo i nostri litorali durante tutte le stagioni, un po’ come il sarago, ma è in autunno che le occasioni di fare l’incontro con lo scenide aumentano sensibilmente. In genere sono pesci stanziali, che amano dimorare sempre nelle stesse zone, nelle quali le avvisteremo quasi sempre -almeno di piccola taglia-, zone in cui la roccia o il grotto presentano fessure profonde e tortuose, lunghi cunicoli, ampie caverne. Ma nei pressi deve essere necessariamente presente la loro dimora di elezione, ovvero la posidonia.
Le profondità sono estremamente variabili, poichè quello che più conta è la tipologia del fondale: troveremo corvine di mole anche in soli 3 metri d’acqua, se la spaccatura è quella giusta ed il posto non troppo disturbato.
La presenza delle corvine è sovente segnalata da particolari suoni che esse sono in grado di emettere attraverso gli otoliti, e che vengono amplificati dalla cassa di risonanza costituita dalla vescica natatoria. Questi suoni sono udibili anche a distanza considerevole e si possono distinguere in due tipi distinti: quando le corvine sono in allarme e si nascondono nelle spaccature di roccia o nei buchetti del grotto, emettono una specie di schiocco [nota: una registrazione è disponibile su questa pagina]; se invece si nascondono nelle alghe, il suono emesso è molto diverso, e ricorda il gracidare delle rane. In entrambi i casi, il suono che percepiamo è tanto più cupo e grave quanto più le corvine che lo emettono sono di taglia grande, risultando, al contrario, più acuto quanto più sono piccole.
E’ importante sapere che, di norma, se avvertiamo il rumore delle corvine intanate nelle spaccature o nel grotto è quasi sempre possibile riuscire ad individuare e catturare qualche esemplare. Al contrario, quando “cantano” standosene nel fitto della posidonia, avvistarle è quasi impossibile. C’è però un periodo dell’anno, ossia l’autunno, in cui il ciclo vitale della posidonia giunge ad una fase simile a quella di altre piante (in effetti, la posidonia non è un’alga!), perdendo molti dei suoi steli e diradando quei ciuffi fittissimi in estate. Questa situazione trae talvolta in inganno qualche corvina che, ben visibile sebbene convinta di essere nascosta tra gli steli della posidonia, diviene facile preda del pescatore in apnea, agevolato nella sua individuazione dalla mancanza di gran parte della vegetazione che di solito occulta alla sua vista gli scenidi.
In genere, comunque, individuare le corvine, siano esse nascoste nella posidonia, siano esse intanate, non è cosa semplice: la loro bronzea livrea le rende perfettamente mimetizzate in entrambi gli habitat. Quando poi si nascondono sotto a qualche lastra o nel grotto, spesso riescono a “scomparire” letteralmente, andandosi ad infilare nei buchi e buchetti più reconditi e tortuosi.
Per riuscire ad individuarle per tempo, occorre tener presente che alcuni particolari della livrea della corvina sono più appariscenti di altri: le carnose labbra, ad esempio, e le spine che sostengono pinne pettorali ed anale, sono di colore bianco candido, pertanto individuabili anche nel buio di una spaccatura. Quando invece insidiamo le corvine nei buchetti del grotto, esplorandoli dall’alto, il dettaglio che più si nota è la coda, giallo aranciato con bordatura nera, oltre che, ovviamente, le candide labbra, come del resto per il sarago. Saranno questi i dettagli su cui focalizzeremo la nostra attenzione, sempre pronti a colpire la preda immediatamente, prima che sparisca definitivamente nei meandri più inviolabili.
Insidiando la corvina in tana, sono solito utilizzare armi diverse in relazione al tipo di fondale: nel grotto preferisco un corto arbalete, tra i 40 ed i 60 cm., armato con fiocina, così come nelle frane piccole e saldate; per le spaccature di roccia, per le lastre ampie e per la franata di massi ciclopici preferisco affidarmi ad un medio-lungo (tra i 75 ed i 100 cm.) armato con tahitiana.
Di norma, però, preferisco insidiare gli scenidi con maggiore discrezione, impugnando un arbalete da 100 cm. e sorprendendo le prede in caduta o all’agguato, prima che si rifugino nelle loro tane o nell’alga. Anche l’aspetto, se praticato nei posti in cui si presume la presenza di corvine, può dare ottimi frutti, consentendo inoltre di scegliere agevolmente gli esemplari di mole maggiore.
Se individuiamo un branco di corvine che si infilano in una spaccatura, sarà sempre preferibile effettuare un aspetto rivolti verso l’imboccatura della tana: le prede non ci percepiranno come un pericolo immediato ma, al contrario, si affacceranno incuriosite consentendoci di scoccare almeno un tiro. In tali circostanze, è sempre bene non essere precipitosi ed attendere con calma la comparsa degli esemplari più grossi, gli ultimi a cedere alla curiosità. I più “freddi” potranno anche attendere che più prede si sovrappongano, al fine di tentare una “coppiola”: quello sarà molto probabilmente l’unico tiro che ci sarà concesso, pertanto è auspicabile sfruttarlo al meglio.
Una tecnica che ultimamente adotto sempre più spesso e che dà ottimi risultati è l’agguato, che và praticato al limitare fra alga e roccia, possibilmente in zone dove presupponiamo la presenza di corvine, magari per averle notate in precedenti pescate. Ultimamente ho effettuato molte catture all’agguato anche nel fitto della posidonia: spesso le corvine “sospese” sugli steli di posidonia vi si nascondono non appena percepiscono il nostro avvicinamento dalla superficie, ancor prima di poterle individuare. Ma se l’avvicinamento viene effettuato rasente il fondo, spesso avremo l’occasione di giungere a tiro prima che le corvine si insospettiscano. Qualora dovessimo intuire la loro presenza o magari vederle in lontanaza, può essere una tattica vincente praticare qualche aspetto nella posidonia: spesso, dopo un po’ che ci saremo appostati, dalla porzione di prateria circostante vedremo sollevarsi qualche esemplare, anche vicinissimo, ed avremo l’occasione per effettuare il tiro.
E’ evidente che, data la vastità dei cosiddetti “algai”, dovremo scegliere accuratamente i luoghi più adatti, facendoci guidare dall’istinto e dall’esperienza.
Tornando alla pesca in tana vera e propria, il mio consiglio è di non insistere mai troppo nell’insidiare le corvine all’interno delle loro roccaforti: finchè si sentiranno al sicuro, continueranno a frequentare quella tana o quella zonetta isolata, e saremo quasi certi di ritrovarcele la prossima volta. Personalmente, nei luoghi che frequento abitualmente evito del tutto di affacciarmi sotto ai sassi, limitandomi a catturare fuori tana uno o due esemplari tra i più grandi. Ad esempio, la scorsa estate, in una giornata di termoclino molto alto e di totale assenza di pelagico, ho deciso di impostare la battuta di pesca sul pesce bianco in tana, dato che all’aspetto non si vedeva muovere nulla. Ho visitato dapprima una bellissima tana in pochi metri d’acqua, nella quale, sparando da lontano all’imboccatura, ho fulminato l’esemplare più grosso, di oltre due kilogrammi di peso. Vi erano non meno di venti altre corvine, ma ho preferito spostarmi su di un’altra tana conosciuta, senza infierire. Anche qui era presente un nutrito branco di scenidi e, adottando la stessa strategia, ho catturato un’altro esemplare di poco inferiore ai due kili, allontanandomi subito dopo. Ero a pescare nelle acque dell’Argentario, notoriamente avare di prede e nelle quali le poche tane stabilmente frequentate dal pesce devono essere rispettate e salvaguardate. Ma in quelle acque, adottando un comportamento rispettoso, di solito si è premiati con catture di rilievo.
Tornando alla tecnica vera e propria, vale la pena spendere qualche parola sul tiro, cioè sull’atto finale della nostra azione di pesca che, se mal effettuato, può compromettere tutto e farci sbagliare il bersaglio o, peggio, farci strappare malamente la preda.
E’ opinione diffusa, e peraltro rispondente al vero, che la corvina sia dotata di uno scatto da fermo bruciante, che le permette di schivare l’asta del pescatore all’ultimo istante. Al fine di evitare spiacevoli sorprese, cerco sempre di scoccare il tiro quando la corvina presa di mira è in lento movimento: in questi frangenti il suo scatto non è così repentino, e si possono fare centri perfetti anche a notevole distanza.
Come un po’ per tutte le prede, è sempre preferibile mirare ai centri vitali, alla testa o comunque alla linea laterale, in corrispondenza della quale si trova la spina dorsale. Evitare che il pesce si dibatta troppo ci impedisce sia di allarmare eccessivamente le altre potenziali prede, sia di rischiare che la preda si liberi dall’asta lacerandosi le carni, cosa molto frequente, soprattutto con le corvine più grosse.
Se faremo attenzione alla fase di tiro, saremo agevolati anche nel recupero delle prede intanate, che tendono ad incastrarsi il più possibile quando estano ferite in punti non vitali.
Per quanto riguarda i periodi migliori per insidiare la corvina, essendo una specie stanziale, la sua presenza è piuttosto costante durante tutte le stagioni. Ma è in primavera inoltrata, fino all’inizio dell’estate, e durante l’autunno che avremo le maggiori probabilità di incontro con le corvine, specialmente nel sottocosta, habitat da cui in estate l’eccessivo disturbo arrecato da bagnanti e traffico nautico le allontana verso luoghi più tranquilli.
Per concludere, meritano senz’altro un cenno le eccelse qualità gastronomiche della corvina, che non sono affatto inferiori a quelle della sua “cugina” di sabbia, ovvero la più blasonata ombrina. In effetti, l’abitudine della corvina a dimorare sovente nella posidonia ha convinto alcuni che abbia indole alimentare vegetariana e che sia, pertanto, poco gradevole al palato. Niente di più sbagliato: la corvina si nutre di anellidi, crostacei e molluschi come tutti i pesci grufolatori ed ha, pertanto, carni sode e gustosissime.
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