Il senso della vista nei pesci teleostei
Questo articolo è il tentativo di riassumere il mio lavoro in merito allo studio del senso della vista nei pesci teleostei.Sono un veterinario con la passione per la pesca subacquea e probabilmente mi limiterò ad esporre concetti già conosciuti, soprattutto ai pescatori più esperti, che potranno però avere ora una conferma scientifica delle loro teorie.
Nonostante ci si trovi di fronte ad una materia estesa e piuttosto complessa, l’interesse dell’industria della pesca sportiva ha fatto sì che la letteratura disponibile a riguardo si possa considerare discreta, seppure non completa se confrontata con la vastità dell’argomento.
Cercherò di sintetizzare qualche concetto interessante frutto del mio studio, attualmente ancora parziale.
Fig. 1- Il disegno dell’occhio di uno Squalo-(c) ZoomSchool.com
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La figura 1 mostra un occhio di squalo. Lo squalo non è un teleosteo, ma la semplicità dell’immagine e la sostanziale similitudine tra le strutture di base dell’occhio mi ha spinto ad inserire questa figura, per facilitare la comprensione del testo.
Vi sono alcune differenze tra l’occhio dei teleostei (pesci a scheletro osseo) e quello degli squali (pesci a scheletro cartilagineo), ma nelle loro strutture macroscopiche differiscono solo nella palpebra (Nictitating eyelid) di cui i teleostei sono generalmente sprovvisti.
Nella figura possiamo notare la tipica struttura a strati dell’occhio.
Partendo dall’esterno troviamo la cornea, epitelio dell’organo. Il secondo strato e’ l’iride (Iris), struttura vascolarizzata che determina il colore nell’occhio umano. L’iride lascia uno spazio vuoto circolare centrale, e’ la pupilla attraverso la quale passa l’asse dell’occhio. L’asse attraversando il cristallino (Lens) e l’umore vitreo (Vitreus humour) arriva alla retina. Per mantenere l’organo efficiente l’asse deve essere sempre trasparente, di conseguenza il colore scuro della pupilla non e’ altro che la retina, che noi dall’esterno vediamo attraverso l’occhio.
l’occhio della Rcciola-foto:Balbi
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Nella maggioranza dei pesci l’occhio è mosso da tre paia di muscoli striati ed è privo di punti ciechi, cioè punti in cui non si ha visione, ad eccezione del lato posteriore.
I pesci possono sfruttare una visione monoculare, ossia la capacità di mettere a fuoco due oggetti diversi contemporaneamente.
Unico punto a sfavore di un campo visivo così ampio è l’assenza del collo, che obbliga al movimento di tutto il corpo per inquadrare oggetti al limite o esterni al campo visivo stesso.
L’occhio tipico dei teleostei è una sfera leggermente schiacciata antero-posteriormente. Ne deriva una perdita di curvatura della cornea (strato più esterno dell’occhio) che non sembra però dare problemi di rifrazione in ambiente acquatico.
La dimensione del bulbo oculare varia con la taglia del pesce e con le abitudini di vita. I pesci che vivono in profondità hanno bulbi in rapporto più grandi per permettere un maggior allargamento dell’immagine sulla retina, migliorando l’acutezza visiva in ambienti con scarsa luce.
Il cristallino e la retina sono i due punti di maggior interesse per quanto riguarda la messa a fuoco e la visione.
L’occhio di un Tordo – foto : Balbi
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MESSA A FUOCO E LUCE
Si conoscono tre meccanismi con i quali i teleostei sono in grado di far fronte alle variazioni luminose. Il primo riguarda la lente.
L’iride non ha la capacità di restringere o allargare la pupilla (apertura per la lente) al variare delle condizioni luminose, come avviene nei mammiferi terrestri.
La messe a fuoco è perciò affidata a movimenti antero-posteriori della lente tramite il muscolo retrattore della lente.
Gli altri due meccanismi riguardano i fotorecettori, coni e bastoncelli, che compongono la retina.
Il primo consiste nella capacità di contrarre questi ultimi, soprattutto i bastoncelli, in presenza di un aumento di luminosità. Il secondo consiste in una migrazione di granuli di melanina, nel corpo dei fotorecettori. Questi meccanismi, per quanto efficaci, sono comunque più primitivi di quelli evoluti nei mammiferi. Il loro funzionamento richiede più tempo. L’adattamento completo a cambiamenti di luminosità può richiedere anche due ore. Va da se’ che una battuta di pesca all’alba e al tramonto trova le nostre prede più vulnerabili rispetto a condizioni di luce costante.
Di conseguenza, probabilmente risente del cambiamento repentino di luminosità anche il pesce che si nasconde in tana o ne è appena uscito.
Rimangono però tuttora da chiarire i meccanismi visivi in funzione nelle specie che variano molto velocemente l’intensità luminosa senza risentire di nessuna difficoltà visiva, come i pesci delle barriere coralline. Inoltre, l’occhio dei pesci e’ in grado di resistere molto bene se esposto a luce intensa e costante, non mostrando danni a intensita’ luminose in grado di danneggiare la retina dei mammiferi. Questo ci porta a pensare che probabilmente esistono meccanismi di adattamento al momento sconosciuti.
L’occhio di un Pesce S.Pietro -foto: Balbi
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ACUTEZZA VISIVA E COLORI
Responsabile dei colori e dell’acutezza visiva è la retina. Risulta difficile descrivere con uno schema generale la retina dei teleostei in quanto nell’evoluzione si è adattata all’ambiente e alle abitudini di vita differenti di ciascuna specie.
Esistono specie con retina composta di soli bastoncelli, retine composte di soli coni e retine miste.
Inoltre questi vertebrati sono in grado di rigenerare i fotorecettori (coni e bastoncelli) e lo strato retinico è soggetto a crescita e rimaneggiamento durante la vita dell’animale.
Questa funzione è particolarmente importante nelle specie che variano il loro habitat come anguilla o cernia, pesci che compiono migrazioni o che vivono in ambienti diversi in base all’età.
La loro retina si adatta a questi cambiamenti e ha composizioni diverse in base alla fase di vita dell’animale.
I bastoncelli sono generalmente considerati i fotorecettori che percepiscono le tonalità monocromatiche, come le tonalità dei grigi, i coni vedono i colori.
I coni possono essere di vari tipi, in base alla presenza di fotopigmenti diversi nel loro citoplasma. Nei pesci abbiamo generalmente tre tipi di coni, alcuni sensibili al verde, altri al blu e altri ancora al giallo/rosso. Il loro arrangiamento nella struttura retinica (a mosaico) è diverso da quello dei mammiferi.
Solitamente la percezione visiva di questi animali aumentando la profondità diventa prima bicromatica, poi monocromatica. Ciò è determinato dal fatto che la luce che filtra la colonna d’acqua è compresa in sempre meno lunghezze d’onda, le lunghezze d’onda sono fondamentalmente i diversi colori. Per far fronte a ciò e sfruttare completamente la poca luce presente in profondità si sono evolute retine con coni sensibili solo alle lunghezze d’onda filtranti. Inoltre la quantità di questi fotorecettori è sempre minore fino ad arrivare ai pesci di profondità, che possono avere solo bastoncelli a comporre la loro retina.
Le lunghezze d’onda che rimangono visibili sono prima il verde ed il blu, poi solo uno dei due.
Il colore rimanente è dovuto a fotopigmenti dorati in grado appunto di percepire una sola lunghezza d’onda. Questi ultimi si sono evoluti in risposta all’ambiente, di conseguenza blu in acque profonde, ma trasparenti, verde tendenzialmente in acque torbide.
Di contro i teleostei che vivono in acque basse hanno una retina più ricca di coni, fino ad arrivare ai predatori di superficie come il barracuda o probabilmente la spigola che hanno retine composte esclusivamente di coni. Questo dà presumibilmente loro la capacità di vedere molto bene tutte le variazioni cromatiche.
Esistono inoltre pesci in grado di vedere uno spettro di lunghezze d’onda più ampio del nostro. Alcune specie sono infatti in grado di vedere gli infrarossi o gli ultravioletti.
Sotto un esempio di come la percezione visiva può cambiare al diminuire delle lunghezze d’onda filtranti.
Chiaramente i metri inseriti nella figura non sono da prendere alla lettera, in quanto le variabili sono molteplici: tipo di acqua, tipo di ambiente, abitudini di vita della specie ecc’
Lo schema ci dà comunque un’ottima idea dei cambiamenti che intervengono nella percezione visiva al diminuire delle lunghezze d’onda visibili.
Credit: www.fishbase.org
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TAPPETO LUCIDO
Alcuni teleostei possiedono inoltre il tappeto lucido. Questa struttura composta di cellule riflettenti aiuta in situazioni di scarsa luminosità riflettendo la poca luce nuovamente sulla retina. Noi ne siamo sprovvisti, ma è quella brillantezza che si può vedere negli occhi degli animali illuminati di notte dai fari di una macchina.
Concludendo, la capacità di vedere i colori e l’acutezza visiva a determinate lunghezze d’onda varia con la specie e a volte anche con l’età all’interno della stessa specie. Come regola generale, comunque, i pesci che vivono in acque basse e soprattutto quelli che predano in questo ambiente sono probabilmente molto sensibili alle differenze cromatiche.
Rimangono però tuttora da chiarire molti punti, in parte per la mancanza di studi, in parte perché il mio lavoro è attualmente parziale.
Ad esempio: la contrazione dei fotorecettori nelle ore luminose può essere un punto debole?
Questi animali possono avere dei problemi nell’identificare una figura se composta da macchie di colore diverse o da macchie dello stesso colore ma di tonalità diverse?
Sicuramente alcune specie sono come detto in grado di distinguere i colori differenti delle mute, altre probabilmente no, rimanendo comunque in grado di vedere le differenze nell’intensità del colore.
Tuttavia, può una determinata lunghezza d’onda, di conseguenza un particolare colore, risultare non percepibile?
Questo concetto può risultare di più facile comprensione con un esempio: se ci troviamo di fronte ad un pesce che vede le variazioni di verdi e blu, con una muta rosa, esso ci vedrà verdi e blu. Se allo stesso modo ci troviamo di fronte ad un pesce a più ampia percezione cromatica, ma vestiamo una lunghezza d’onda non percepibile, esso ci vedrà coi colori che la sua retina riesce a percepire.
Inoltre: due animali della stessa specie e della stessa età, ma cresciuti in ambienti diversi, vedono allo stesso modo?
Lo splendido occhio della Rana Pescatrice-foto:Balbi
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Probabilmente il tempo e il proseguire della ricerca ci potranno dare queste e altre risposte.
La mia ipotesi, non scientificamente provata, è che probabilmente alcune specie non distinguono un mimetico blu da un mimetico giallo, altre si, in tutte però la scomposizione cromatica della figura produce un ritardo nella messa a fuoco. Ciò probabilmente ci concede l’attimo di indecisione del pesce o l’avvicinamento all’aspetto.
Va sottolineato, comunque, che chiaramente la vista del pesce non dipende solo dalle capacità del suo occhio; altre variabili giocano un ruolo importante, come ad esempio la percezione di una figura in movimento o la nostra posizione in una zona illuminata.
Nella maggioranza dei casi probabilmente mi sono limitato ad esporre concetti già conosciuti ai pescatori esperti, che potranno però sapere che le loro teorie hanno una base scientifica, nella speranza che possano aiutarci nel nostro intento: la pesca.
Spero di essere stato di qualche aiuto, o di aver stimolato qualche riflessione.
Impaginazione: Alberto Balbi
L’occhio dello Zerro-foto:Balbi
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Category: Articoli, Medicina e biologia, Pesca in Apnea