La difesa dei diritti dei pescatori in apnea
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Sin dalla sua messa online nel marzo del 2001, Apnea Magazine si è sempre distinta per la grande attenzione al tema della difesa dei diritti dei pescatori in apnea, interessati da quasi tre lustri da un pericoloso fenomeno erosivo, un vero fronte di battaglia che nel tempo si è esteso a dismisura, arricchendosi continuamente di minacce. Questa attenzione si è tradotta, inizialmente, in una scrupolosa opera di ricerca e informazione nel campo delle normative che disciplinano l’esercizio della nostra disciplina, per poi trasformarsi in vero e proprio attivismo.
Il fatto che un portale internet concepito per fare informazione e creare un momento di aggregazione abbia sentito l’esigenza/dovere di scendere in campo e combattere in prima linea contro le molteplici facce di questo fenomeno erosivo (AMP, Zone di Tutela Biologica, fermo biologico, parchi regionali, ordinanze di polizia marittima, leggi e regolamenti nazionali e regionali etc…) è di per sé un segnale di allarme, perché in un mondo ideale – rectius: in una categoria degna di tale nome, ossia un gruppo di persone accomunate da interessi ben precisi, almeno sommariamente organizzate e quindi in condizione di tentare la difesa dei propri interessi – Apnea Magazine dovrebbe fare solo il portale internet, compito di per sé assai gravoso, mentre altri dovrebbero occuparsi della difesa dei diritti della categoria.
Se AM ha sentito l’esigenza di mettersi in prima linea sin dall’iniziativa per la sicurezza del 2002 è per un motivo banale: il fronte di lotta – civile e democratica, chiaramente – ci appariva completamente sguarnito, e l’immobilismo di ogni componente della categoria – FIPSAS inclusa o in testa, a seconda dei punti di vista – favoriva il perdurare di situazioni davvero incresciose, come quella relativa alla disciplina degli obblighi di segnalazione. Si pensi che a fronte di una sanzione da 1 a 6 milioni di lire per il subacqueo che non rispettava gli obblighi di segnalazione di cui all’articolo 130 del DPR 1639/68 (pescare entro 50 metri dalla bandiera rossa con striscia diagonale bianca, posta sul galleggiante o issata sul mezzo nautico di appoggio) nulla – ripeto: nulla – poteva contestarsi ai conducenti delle imbarcazioni che facevano la barba al subacqueo, mettendo a repentaglio la sua incolumità. In pratica, finché non accadeva il peggio e si passava nel penale (lesioni colpose, omicidio colposo etc) il conducente di un’imbarcazione non poteva essere in alcun modo sanzionato, perché più di 30 anni prima un regolamento nazionale si era dimenticato di lui.
Per le ragioni appena esposte, nei suoi primi anni di vita Apnea Magazine ha tenuto un atteggiamento piuttosto critico verso la FIPSAS, perché la sua azione di tutela dei diritti della categoria ci appariva blanda e – per questo – scarsamente efficace. Ci è voluto del tempo per capire che il vero problema della FIPSAS non era certamente la volontà, ma piuttosto la disponibilità di uomini e mezzi, vale a dire la possibilità concreta di combattere la guerra. Se si guarda con attenzione, ci si accorge che il Settore AS FIPSAS è costituito da un dipendente del CONI con funzioni di segretario e un pugno di volontari: Presidente, vicepresidente e tre dirigenti del comitato di settore nazionale. A livello periferico ci sono un responsabile a livello regionale, un altro responsabile a livello provinciale, circoli e tesserati. Tutto qua. Anzi, bisogna ricordare che il settore AS FIPSAS si occupa della pesca in apnea insieme ad altre sette discipline sportive e che la FIPSAS è una federazione che, come tale, nasce con il preciso scopo di promuovere e coordinare l’attività agonistica realizzata dai circoli.
Questa organizzazione si è trovata a fronteggiare una crescente esigenza di difendere attivamente la categoria a causa di un attacco sempre più preoccupante e generalizzato. Per poter lottare ha bisogno di persone preparate e determinate, in numero sufficiente a coprire il vasto fronte di minacce, che ormai riguarda gran parte delle nostre coste.
Queste persone scarseggiano, purtroppo, e a quelli che già oggi provano ad impegnarsi non si può chiedere di più. La FIPSAS è accreditata, ed ha una struttura ramificata e capillare, come a dire che ha dei mezzi: a mancarle sono gli uomini, le risorse umane.
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Alcuni anni addietro abbiamo provato a fare un esperimento: ho proposto al settore AS FIPSAS un progetto di cooperazione con le Capitanerie di Porto, per vedere che tipo di supporto avremmo ottenuto. In altre parole, abbiamo provato a metterci a disposizione per vedere se c’era almeno la volontà politica di intraprendere azioni di tutela concrete a vantaggio dei pescatori in apnea. Il risultato? L’appoggio ed il supporto del Settore AS, del suo Presidente Prof. Alberto Azzali e di tutta la Federazione sono stati totali.
Facciamo un passo indietro: nel 2004 ebbi l’onore di partecipare ad un tavolo di lavoro per la pesca sportiva (termine con cui, al tempo, si indicava ogni forma di pesca non commerciale) in qualità di esperto della testata giornalistica Il Subacqueo – Pesca in Apnea. Insieme all’editore dott. Calogero Cascio, con la relazione sotto braccio ed una certa emozione misi piede per la prima volta nel palazzo del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, che si trova all’EUR. Nella stanza mi trovai seduto di fronte al Prof. Azzali della FIPSAS, e notai che la proposta di modifica del regolamento presentata dalla FIPSAS era sostanzialmente sovrapponibile – sotto il profilo dei contenuti – a quella presentata da La Cuba, cui avevo dato un sostanzioso contributo. Dopo essermi messo a disposizione della FIPSAS, con il Prof. Azzali prima e il Pres. Nazionale Matteoli poi, ho nuovamente varcato quella soglia più volte, sempre per presentare documenti e proposte di modifica dei regolamenti o, comunque, per tentare azioni di tutela della categoria, evidenziando le magagne della normativa attuale, vetusta, incongrua, nebulosa e fortemente penalizzante per tutti gli appassionati.
Posso assicurare che il mio impegno nella FIPSAS non è mai stato ostacolato: al contrario, mi è stato offerto tutto il supporto possibile, nonché un proficuo scambio di opinioni e suggerimenti utili quanto appassionati. Se i risultati sono arrivati con il contagocce – oltre all’introduzione della distanza minima di navigazione dalle boe, siamo riusciti a chiarire una volta per tutte che l’obbligo di farsi assistere a bordo del mezzo nautico riguarda unicamente i pescatori in apnea che si recano sul luogo di pesca con bombole e fucili a bordo del mezzo nautico di appoggio – la colpa non è certo del mancato supporto federale, ma solo del vero muro di gomma che si incontra nelle stanze ministeriali, dove le pastoie burocratiche complicano all’inverosimile la soluzione di qualsiasi problema, anche quando gli argomenti della logica sono schiaccianti e impongono soluzioni praticamente obbligate.
Prossimamente pubblicheremo un nuovo editoriale che fa il punto della situazione sul procedimento di modifica del regolamento nazionale, una telenovela che si sarebbe dovuta concludere nel 2005 e che invece è ancora in full swing, pertanto adesso vorrei concentrarmi sul tema delle AMP e delle aree protette in genere, perché è in questo ambito che il fenomeno erosivo del nostro diritto di pescare un pesce per la cena si sta manifestando in tutta evidenza. Sia chiaro: noi questo fenomeno lo paventavamo molto tempo addietro, invitando tutti ad impugnare le armi e difendere il fronte di lotta, sempre più esteso, ma … troppi appassionati sfiduciati – probabilmente a ragione, almeno in parte, sia chiaro – dalla FIPSAS hanno preferito reclamare nuove forme associative della categoria senza mai fare niente per dare vita ad un organismo che avesse almeno la parvenza di struttura nazionale. In questo modo, le poche risorse umane a disposizione della categoria si sono disperse, spesso dedicando energie alle recriminazioni e alle accuse reciproche piuttosto che alla lotta contro il vero nemico.
Per anni mi sono dedicato a problemi che ritenevo più “abbordabili”, legati alla regolamentazione generale della pesca in apnea, limitandomi a denunciare le ingiustizie subite dai pescatori in apnea nelle AMP con articoli informativi che tentavano una ricostruizione storica del processo di ghettizzazione della pesca in apnea nelle AMP. Poi, grazie alla FIPSAS, si è andati oltre. Si è analizzato il problema, verificando l’esistenza di due fronti distinti di lotta, entrambi strategici:
1) fronte nazionale => dal 1997 in poi, tutti i decreti istitutivi delle AMP hanno bollato la pesca in apnea come l’unica forma di pesca sportiva insuscettibile di regolamentazione all’interno dei confini dell’area protetta, quindi anche dalla zona C di riserva parziale, dove praticamente ogni altra forma di attività impattante risulta regolamentata, e quindi consentita. Questo pre-giudizio di totale incompatibilità della pesca in apnea con le finalità istitutive delle AMP è, ad oggi, l’unico vero motivo per cui non si riesce a impedire che la pesca in apnea venga estromessa dalle AMP istituite e in corso di istituzione. Nonostante la produzione di documentazione che dimostra l’evidente ingiustizia, il Ministero ha sempre risposto picche, giungendo a spiegare l’evidente sperequazione con la scusa delle scelte alternative: quando si devono ammettere attività impattanti all’interno di un’area protetta, non è sempre possibile ricorrere a criteri univoci, perché la somma delle attività finisce per cozzare con le esigenze di tutela perseguite dalle AMP. Questo aspetto implica, talvolta, delle scelte alternative: o si ammette un’attività o se ne ammette un’altra… e la pesca in apnea, caso strano, è sempre quella che finisce alla porta.
Nonostante l’avvicendamento dei vari governi, il muro di gomma è sempre lì, apparentemente inespugnabile. Da due anni la FIPSAS ha preso accordi per condurre delle ricerche scientifiche che spiazzino il principio di precauzione, altra scusa utilizzata per metterre il pescatore in apnea alla porta: pur avendo messo in campo vere autorità nel campo della biologia marina, professori universitari che hanno formalizzato un protocollo di ricerca, pare impossibile andare avanti e dare concretezza alle buone intenzioni su cui, apparentemente, FIPSAS e Ministero avevano finito per convergere. La parola “fine” non è stata ancora scritta, sebbene ad oggi i risultati non si vedano ancora.
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2) fronte locale => le AMP si fanno solo con il consenso degli enti locali il cui territorio ricade all’interno dei confini dell’area marina che si intende istituire. Sensibilizzare gli enti locali e metterli al corrente dell’ingiustizia subita dagli onesti cittadini che amano pescare un pesca in apnea è fondamentale, perché senza la consapevolezza di questo problema è impossibile anche solo pensare ad un cambiamento dello scenario. Per portare avanti questo tipo di battaglia, occorrono risorse umane sul posto. Risorse qualificate, armate degli strumenti di conoscenza e degli argomenti più efficaci per mostrare l’evidente ingiustizia nel modo più chiaro e convincente. La FIPSAS ha realizzato un set di documenti che si propongono di guidare l’azione periferica delle articolazioni territoriali federali: un Dossier AMP, ricco di argomenti e dati spendibili per la tutela della categoria, una proposta di regolamentazione della pesca in apnea nelle AMP ed un codice etico del pescatore in apnea, utile per far capire che questo pescatore sportivo non è un sanguinario insensibile, ma un accorto conoscitore della fauna marina ed un sincero amante del mare.
La strategia federale del “doppio binario” non sta a significare che le battaglie si possono vincere a livello locale, perché la legge non scritta a livello Ministeriale secondo cui la pesca in apnea non è compatibile con l’AMP è divenuta una vera tautologia: ad oggi, il Ministero ha detto NO ad ogni proposta degli enti locali finalizzata a regolamentare la pesca in apnea, magari dei soli residenti, nella zona C delle AMP, spiegando che in caso di ammissione si verrebbe a creare una frattura nel sistema, che prevede la costante esclusione della pesca in apnea dal novero delle attività ammesse all’interno di un’AMP (salvo le Isole Tremiti, considerate un’anomalia da sanare). Gli esempi sono vari, mi basterà citare il Regno di Nettuno, Porto Cesareo o l’Isola del Giglio, tutti ambiti in cui a livello locale si era svolta un’azione incisiva quanto efficace, svilita poi dalle risposte laconiche e perentorie della Segreteria Tecnica del Ministero, cui spetta comunque l’approvazione del decreto istitutivo, del disciplinare e del regolamento dell’AMP curato dall’Ente Gestore.
La speranza è che di fronte al moltiplicarsi delle richieste di regolamentazione della pesca in apnea da parte degli enti locali, sostenute a livello centrale dalle insistenti richieste federali e dai convegni che via via la FIPSAS organizza per sensibilizzare anche i gestori delle AMP (il prossimo si terrà in occasione dell’Eudi 2010), il Ministero si renda conto che questo problema deve essere affrontato una volta per tutte in modo serio, senza ricorso a improbabili dossier come quello datato 2004, in cui si leggono falsità eclatanti sulla presunta dannosità della pesca in apnea e falsità ancora più eclatanti sulle esperienze gestionali delle riserve marine all’estero, né a improbabili principi cautelativi, che il Ministero applica solo con riferimento alla nostra disciplina e non anche a tutte le altre forme di attività impattanti rispetto alle quali non si dispone di ampia documentazione scientifica che ne escluda la dannosità.
Fino a che a livello Ministeriale non si cancellerà questa norma non scritta secondo la quale la pesca in apnea non può in alcun modo essere ammessa nelle AMP, non potremo dire di aver vinto la nostra battaglia. Per sperare in un cambiamento non basta che la FIPSAS continui dialogo e confronto a livello centrale – lettere, incontri, proposte, convegni etc – ma occorre che a livello periferico si continui l’opera di sensibilizzazione degli enti locali coinvolti nei procedimenti istitutivi delle AMP, con grande calma e sangue freddo e con il contributo di tutti gli appassionati di buona volontà. In fondo si parla di una guerra sostanzialmente persa quasi tre lustri or sono: se anche non ce ne siamo accorti tutti per tempo, il dato di fatto è che la pesca in apnea nelle AMP è morta dal lontano 1997, e salvo l’eccezione delle Tremiti, oggi in Italia AMP sta per “divieto di pesca in apnea”.
La battaglia a livello periferico è cruciale anche per i parchi regionali, pessima novità di questi ultimi anni, dal momento che anche qui la tendenza è quella di fare la tutela dell’ambiente sulle spalle dei soli pescatori in apnea. Per tentare un’azione di tutela occorrono risorse umane spendibili in ambito locale e opportunamente dotate degli strumenti delle informazioni necessarie a svolgere un’azione incisiva. Ed ecco che arrivo alla conclusione di questo articolo: il caso del Parco della Mortola.
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Qui la FIPSAS non c’entra proprio nulla: mi è stato riferito – e non ho motivo di dubitare – che a livello locale non ha saputo intervenire, e che della difesa dei diritti dei pescatori nell’istituenda area protetta si è fatto carico un gruppo di persone – tra le quali il responsabile provinciale FIPSAS per la pesca in apnea (?) – coordinato dall’associazione PescApnea. A colpi di giornale e con un’azione di pressing sul comune di Ventimiglia, il sodalizio di PescApnea è riuscito a far approvare dal consiglio comunale un emendamento al regolamento della zona protetta, allontanando lo spettro di un ingiusto ostracismo verso la nostra disciplina. Applausi a profusione, di cuore, sinceri per questa azione, senza la quale – mi è stato riferito e non ho motivo di dubitare – già la prossima estate il divieto sarebbe entrato in azione: non ho mai pensato che la tutela della categoria debba restare una prerogativa federale, e ben venga ogni tipo di unione di appassionati che con serietà e caparbietà si unisca alla lotta contro l’ingiusta ghettizzazione della nostra disciplina. In seguito alla decisione del comune di Ventimiglia, la Giunta Regionale ha detto temporaneamente “NO” all’istituzione del parco, rimandando la pratica. Il motivo di questo no è stato spiegato chiaramente dall’assessore all’Ambiente Franco Zunino: la giunta regionale ha sospeso il provvedimento per via di due emendamenti approvati dal comune di Ventimiglia. Uno è quello che estende la possibilità di navigazione alle imbarcazioni di lunghezza compresa fra i 5 e i 10 metri e l’altro è quello che ammette la pesca in apnea all’interno dei confini dell’area. Del resto, Mauro Merlenghi, consigliere di minoranza e sostenitore del Parco lo aveva detto da tempo che con quei due emendamenti la Regione non avrebbe dato il via libera al parco, e così è stato. Si tratta di una vittoria? Certamente senza l’azione di contrasto il parco sarebbe stato probabilmente approvato con il classico divieto di pesca in apnea, ma da qui a considerare la faccenda chiusa in modo definitivo ce ne corre. Sia chiaro: auspico fortemente una conclusione positiva della vicenda, ma non posso non rilevare con disappunto come i rappresentanti di PescApnea abbiano utilizzato l’occasione per spargere a mezzo di comunicato stampa una serie di accuse infondate nei confronti della FIPSAS. Presentando la vittoria di questa battaglia come la dimostrazione di un’incapacità della Federazione di fare altrettanto, addirittura dichiarando che il protocollo sulla subacquea nelle AMP siglato praticamente da tutti, FIPSAS e CMAS comprese, sarebbe “una delle armi più favorevoli in possesso di chi ci avversa”, quando una semplice lettura del protocollo chiarisce che il suo oggetto non riguarda l’attività di pesca ma solo l’osservazione dell’ambiente marino, non è stata certamente una mossa intelligente o anche solo utile alla categoria.
Questo genere di accuse lanciate alla FIPSAS da parte di appassionati della disciplina che la FIPSAS promuove e tutela dimostrano la validità del classico detto: “Il peggior nemico del pescatore in apnea è il pescatore in apnea”. Perché PescApnea si è sentita in dovere di lanciare accuse alla FIPSAS, perché non le bastava mettersi la medaglia al petto?
Il detto recita: “L’unione fa la forza”, ma evidentemente qualcuno pensa che a far la forza sia la disgregazione e la dispersione di energie. Visto che la FIPSAS non serve a niente, per questi signori, forse farebbero bene a muoversi anche per tutelare il mare più in là di casa loro e dimostrarci come la carenza di risultati nel settore AMP sia dovuta ad imperizia, negligenza, incapacità congenita della FIPSAS e non all’oggettiva difficoltà di soluzione del problema, estremamente complesso e costellato di interessi e relative lobby un tantino più forti di noi e gestito, in ultimo, da un Ministero che non sembra voler sentire ragioni e che assimila la pesca in apnea alla caccia (quasi che sulla terraferma esistesse un fenomeno analogo a quello della pesca professionale!).
Il bello è che proprio a pochissimi giorni da queste accuse di incapacità e inazione la FIPSAS si accinge a siglare un cruciale protocollo di intesa con il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali in rappresentanza delle associazioni nazionali della pesca sportiva e ricreativa. In occasione del Fishing Show di Bologna, infatti, la FIPSAS ha organizzato un incontro sul tema “Pesca sportiva e ricreativa in acque marittime: lo stato dell’arte” cui parteciperà il Sottosegretario del Ministero delle Politiche Agricole On. Avv. Buonfiglio. Tale incontro-dibattito sarà occasione per la sigla di un preliminare di accordo che, riconoscendo il gruppo di associazioni coordinato dalla FIPSAS, consentirà di sviluppare una cooperazione stabile tra il Ministero e le associazioni stesse. In altre parole, il Ministero si accinge a riconoscere l’esistenza della categoria dei pescatori sportivi e ricreativi e a ufficializzarne gli interlocutori con la costituzione di una sorta di commissione permanente che sarà il principale riferimento per ogni questione attinente la pesca sportiva e ricreativa marittima, inclusa quella in apnea.
Per domande, richieste di chiarimento o intavolare un dibattito sul tema, resto a vostra disposizione sul Forum di discussione.
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