In ricordo di Giuseppe Nicolicchia
Giuseppe Nicolicchia (sx) con Gherardo Zei
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Pubblichiamo questo articolo di Gherardo Zei per commemorare Giuseppe Nicolicchia, il giovane campione del Team Cressi recentemente scomparso durante una battuta di pesca subacquea. L’articolo narra di una pescata fatta da Gherardo insieme a “Pippo” l’anno scorso, prima del Campionato Italiano.
Arrivo in Sicilia e alla stazione di Palermo mi viene a prendere un Campione di pesca subacquea: Giuseppe Nicolicchia. Lo vedo fermo sulla banchina della stazione che mi sorride. Ci stringiamo la mano e ci avviamo appesantiti dalla mia attrezzatura verso la macchina parcheggiata poco lontano.
E’ una mattina grigia ma il mare è calmo e l’aria della Sicilia, dalla quale manco da oltre vent’anni, mi sembra fresca, fragrante e piena di profumi meravigliosi. Giuseppe farà per me un’eccezione speciale, mi porterà a pesca sui suoi segnali nel “suo” Golfo di Palermo. Durante il tragitto mi racconta i suoi inizi di pescatore: “Pensa che mia madre mi legava con un corda all’ombrellone per impedirmi di approfittare di un suo momento di distrazione e correre a buttarmi in acqua dietro a mio padre che pescava.
Qualche anno più tardi ebbi il mio primo fucile ed il permesso di andare a pesca con mio padre e con mio fratello. Ma ero il terzo in ordine gerarchico e quindi dovevo pescare come ultimo sulla scia”. “Hai fatto davvero la gavetta!” commento io mentre nel traffico del centro di Palermo ci avviciniamo al porto dove Giuseppe ha deciso di mettere in acqua il gommone che abbiamo sul carrello dietro alla macchina.
“Si ho fatto la gavetta ma ne è valsa la pena” replica Giuseppe “Infatti piano piano, pur pescando come terzo subacqueo della fila ho cominciato a catturare i pesci migliori. Era il mio istinto! Tendevo a scendere più profondo ed a prendere pesce di taglia. E mi ricordo ancora le battute scherzose tra i miei genitori sul fatto che avevo catturato più pesce di mio padre. Mia madre lo prendeva in giro. Ma in realtà erano felici tutti e due. Infatti non credo che ci sia stato nessuno più contento di mio padre alla premiazione della Coppa Europa che mi ha visto protagonista proprio qui a Palermo. Attraversiamo la città in macchina e continuiamo a parlare. “Dopo essere diventato forte nell’ambito familiare c’è stato l’incontro con Antonio Aruta che è stato decisivo. Infatti Mi ha introdotto ad alto livello nel mondo dell’agonismo e ancora oggi è per me un riferimento importante. Credo di essere arrivato, a trent’anni, alla piena maturità in campo agonistico e nonostante agli ultimi campionati le cose mi siano andate male per problemi tecnici spero di risalire presto la china. Peccato che per quella disavventura mancherò ai prossimi assoluti che si svolgeranno proprio qui a Palermo’”
Siamo arrivati alla Lega Navale dal cui scivolo metteremo in acqua il gommone per la nostra giornata di pesca e di amicizia. Entriamo per spogliarci comodamente nei locali della Lega e parliamo di attrezzature. Vedo che Giuseppe anche per le armi corte con fiocina preferisce gli arbalete. Mi spiega che per quel poco di potenza di più che ti danno gli oleopneumatici con le armi ad elastico si guadagna in silenziosità. Indossiamo entrambi mute nere ma Giuseppe è d’accordo sul fatto che in poca acqua sia probabilmente meglio il mimetico: “Credo che il colore più mimetico sia il rosso amaranto” dice. Mettiamo in acqua il gommone. E’ una giornata abbastanza grigia ma il mare è calmo e l’acqua è sufficientemente chiara. Partiamo per il primo segnale ad est delle città. Si tratta di una zona estremamente suggestiva. Contrafforti e pareti di roccia che si intrecciano in profili ed archi ciclopici davanti ad un mare potente che si perde quasi subito nel blu profondo. Sulle strutture e le ardite sommità di quella costa scoscesa si affacciano ville e villette mozzafiato. Passiamo davanti ad un arco particolarmente spettacolare e Giuseppe mi dice: “Non lo riconosci? E’ quello della pubblicità dei Baci Perugina!” . “Guarda chi si vede’” gli rispondo. Fermiamo il gommone e Giuseppe Nicolicchia mi dice: “Qui ho alcuni segnali. Spacchi in terrazze affacciate sul blu profondo. Facciamo due tuffi qui e poi ci spostiamo! Entriamo in acqua ed io mi metto sulla scia del Campione. Ci sono circa quindici metri di visibilità ma i sommi sono leggermente più profondi. Quindi si vede poco. Ma Giuseppe non ha dubbi e cerca il punto esatto della verticale delle tane. Mi spiega che lo fa perché lui pesca sempre fortemente zavorrato e senza sganciare (infatti ha nove chili in cintura). Pertanto cerca di scendere sempre sulla verticale della tana in modo da sfruttare al massimo la zavorra ed evitare di nuotare orizzontalmente. Lo vedo che si ferma e comincia a ventilarsi ed anche io mi immobilizzo e comincio a ventilarmi alle sue spalle. Ma dopo pochi secondi mi coglie di sorpresa ed inizia la capriola. Sono stupefatto di quanto poco si è ventilato. Tiro anche io un ultimo respiro e gli scendo alle spalle. Lo vedo cadere immobile, raggiungere il sommo e, subito dopo, lo spacco ben nascosto. Si affaccia, fa qualche metro passando il bordo dello spacco e poi stacca per risalire. Ancora qualche metro di nuoto orizzontale in superficie e poi un nuovo tuffo quasi senza ventilarsi. Sono veramente ammirato del talento apneistico di questo atleta che scende sotto i venti metri con nove chili in cintura e senza sganciare, pinneggiando e sommozzando praticamente di seguito e senza una fase di ventilazione vera e propria.
Dopo aver visitato anche l’ultimo spacco risale e mi dice: “Ci sono solo saraghi piccoli, ci spostiamo.” Visitiamo altri due o tre segnali in zona ma i saraghi e le corvine sono fuori casa, soltanto un dotto intorno al chilo di peso funge da padrone di casa di quelle tane, ma naturalmente Giuseppe lo lascia indisturbato.
Risaliamo sul gommone per uno spostamento più consistente e, mentre il quaranta cavalli ci romba sotto portandoci verso i nuovi segnali, Giuseppe Nicolicchia mi racconta: “La nostra vera pesca qui a Palermo è quella estiva sui banchi, luoghi magici e incantati. Si tratta di una pesca avventurosa effettuata su secche che sono praticamente al centro del mediterraneo. Si raggiungono dopo percorsi in gommone di quaranta, cinquanta e addirittura settanta miglia, con tutti i rischi che ne conseguono. Ma il premio è un mare con fondali incredibili dove, anche se le batimetriche sono impegnative, può capitare di sparare a prede gigantesche perfino nuotando a galla. Certo non è facile pescarvi, bisogna avere una perfetta padronanza emotiva ed essere abituati a sparare e controllare pesci di enorme taglia in condizioni di mare aperto. In caso contrario il rischio è quello di colpire molte prede e di non prenderne quasi nessuna.”
“Ma è veramente pericoloso il viaggio?” domando io. “Insomma abbastanza” Risponde Giuseppe “Può capitare di trovare mare grosso sulla via del ritorno e doverlo dominare con un semplice gommone. Una volta ci si è bucato il gommone ed abbiamo dovuto procedere per decine di miglia con mare mosso e con la prua sgonfia. Due davanti gonfiavano continuamente ed io timonavo e davo manetta con prudenza ma anche con decisione, perché se fossimo andati troppo piano saremmo rimasti in mare due giorni.
Ci sono storie leggendarie sui “Banchi”. Per esempio su uno dei più famosi è rimasta per molto tempo in secca, prima che il mare la distruggesse, la carcassa di un grosso mercantile. Si raccontava sempre di un subacqueo che la notte rimaneva a dormire da solo su quel relitto sperduto al centro del mediterraneo per poi riprendere la pesca il giorno successivo. In ogni caso rimanere a dormire in gommone è una cosa normale per quei posti e basta una disattenzione per trovarsi in pericolo. Io ci ho vissuto una brutta avventura quella volta in cui il mio barcaiolo mi ha perduto. Si era distratto a guardare il fondo con la maschera sporgendosi dal gommone. Quando dopo parecchio tempo si è rialzato io ero ancora vicino, a non più di duecento metri da lui; ma non mi ha più visto e quindi è partito a tutta manetta nella direzione sbagliata. Ero perduto sul banco! Allora ho cominciato a nuotare con calma verso la parte meno profonda del banco e ci sono rimasto da solo per molto tempo. Poi, come se non bastasse, mentre aspettavo è arrivato l’aliscafo che mi è passato a circa duecento metri a tutta forza. Una visione agghiacciante! Alla fine per fortuna il barcaiolo mi ha ritrovato.
Un’altra volta il barcaiolo mi ha perso mentre ero in acqua parecchie miglia al largo insieme ad Antonio Aruta. Abbiamo cominciato a nuotare con pazienza verso riva tenendoci a poche centinaia di metri l’uno dall’altro. Era quasi notte quando ho cominciato a tenere alto sopra il pelo dell’acqua l’arbalete lungo per renderci più visibili. La mia idea è stata premiata, infatti i dalla motovedetta della Polizia hanno individuato un punto sul radar. Era il mio fucile. Così in pochi minuti ci hanno ritrovato.
Giuseppe Nicolicchia ferma il gommone e spegne il motore: siamo arrivati sopra un altro segnale. Siamo un miglio al largo, davanti ad un tratto di costa piatto e grigio. Mi giro verso il mare aperto e, proprio in quel momento, vedo in avvicinamento una nave mercantile di notevoli dimensioni. Giuseppe si prepara con il pallone e si accinge seduto sul tubolare ad entrare in acqua. A me sembra francamente che il mercantile venga verso di noi, ma Giuseppe dice che andrà più lontano. “Sei sicuro?” gli dico storcendo la bocca. Giuseppe mi guarda, ride e rimane seduto ad aspettare che la direzione della nave sia più certa. Dopo poco, chiarita la situazione, si tuffa in acqua e io dietro di lui. Questa è una zona di grotto molto simile al tuo Lazio mi dice. Lo seguo e vedo che la torbidezza dell’acqua è molto maggiore rispetto al punto precedente. Ci saranno anche meno di dieci metri di visibilità e, sotto di noi, quasi trenta metri d’acqua per arrivare al fondo. Nel giro di pochi istanti Giuseppe si ventila e scende. Io cerco di seguirlo. Arrivato ai quindici metri il frastuono dei motori e delle eliche del mercantile, che è ancora abbastanza vicino, è così violento ed angoscioso che non riesco più a restare calmo e comincio a risalire. Dopo poco riemerge anche Giuseppe completamente calmo e rilassato che mi dice: “ci sono belle corvine. Adesso scendo e gli sparo”. Si sposta per ritrovare la verticale guardando il torbido. Ma come farà a ritrovare la tana? Io cerco di sbrigarmi al massimo con la ventilazione perché so che quella di Giuseppe sarà brevissima. Eccolo che butta le pinne al cielo ed io dietro.
Voglio proprio cercare di arrivare a vedere il fondo questa volta. Sono due metri sopra e dietro a Giuseppe mentre sprofondiamo. E man mano che distanziamo la superficie il frastuono della nave mercantile si fa sempre più vicino violento. Sembra quasi di avere la nave sopra la testa con le sue immani lamiere rugginose la sua vernice scrostata e le sue enormi eliche.
Di nuovo sto perdendo la concentrazione, mentre vedo Giuseppe davanti a me che cade con calma olimpica verso il fondo. Resisto ancora qualche istante. Voglio arrivare a vedere questo grotto di cui mi diceva Giuseppe. Eccolo lo vedo. E’ una bella distesa. Ma ormai mi sento troppo nervoso a causa del frastuono della nave e devo risalire. E così, mentre Giuseppe comincia a scivolare morbidamente sul fondo, io ributto il cuore verso la luce e pinneggio per raggiungere la superficie. Arrivato a galla vedo il mercantile ormai abbastanza lontano. Maledetto rumore delle eliche! Aspetto Giuseppe per interminabili secondi e finalmente lo vedo riemergere con una corvina superiore ai due chili di peso.
“Un bel pesce!” gli grido. Nicolicchia fa segno di si con la testa mentre impugna lo stiletto per porre fine alle sofferenze dell’animale. “Non è stato facile” mi racconta “infatti stava facendo la pazza dentro e fuori dalla tana. Era terrorizzata dal frastuono delle eliche della nave”. A queste parole di Giuseppe sorrido di vero cuore. Nessuno può capire quella corvina meglio di me!
Nicolicchia riprende i tuffi su quel tavolato di grotto e cattura altre due corvine di cui una enorme. “Questa l’ho “sentita” perché aveva un vocione più forte” mi racconta sorridendo. Ripartiamo in direzione ovest verso nuovi segnali. Passiamo davanti all’Addaura e Giuseppe mi fa vedere la famosa villa davanti alla quale fu posata la borsa da sub piena di esplosivo per il fallito attentato a Giovanni Falcone. “Fu trovata dalla scorta ” mi racconta e proprio quella mattina io ero passato verso le sei per andare a pesca. Al mio ritorno vidi un grande movimento di barche e di forze dell’ordine e mi fermarono. Per poco non mi smontavano il gommone! Cercavano un possibile attentatore con il telecomando per far brillare l’esplosivo e forse pensavano che potesse essere travestito da subacqueo.”
Ci fermiamo su un altro segnale, adesso siamo ad ovest della città e la costa è più bassa e franosa. Giuseppe mi indica una frana. Quella è caduta la settimana scorsa proprio il giorno in cui saresti dovuto venire tu” Mi dice. “Certo che l’hai scelto bene l’anno di tempo buono per andare a fare queste pescate con i Campioni!” Decidiamo di separarci brevemente. Giuseppe resterà più al largo su una tana di saraghi ed io cercherò di insidiare le orate nella schiuma in un punto favorevole per la presenza di un allevamento di mitili a poca distanza. Mi avvicino a riva ed effettuo i miei modesti aspetti ed agguati ma di orate nemmeno l’ombra. In questo punto l’acqua è limpidissima e vedo parecchia mangianza e branchi di saraghi non grandi e incredibilmente spaventati. Dopo poco Giuseppe mi ritorna a prendere con il gommone. La classe non è acqua e vedo che ha catturato tre grossi saraghi.
Ci sediamo insieme sul tubolare e gli chiedo come mai il pesce è così spaventato. Lui scuote la testa e mi risponde: “Ci sono molti motivi. Tanto per cominciare questa è una zona assai frequentata e d’estate è piena di pescatori e di turisti. Secondariamente devo ammettere purtroppo che esistono molte forme di pesca illegale che sono praticate abbastanza comunemente. Anche io come poliziotto che presta servizio sulle motovedette faccio quello che posso ma purtroppo la repressione dei fenomeni non può sostituire la coscienza e il senso di responsabilità. Anche nel campo dei subacquei in apnea si raccontano episodi leggendari di comportamenti scorretti al limite dell’assurdo. Come quello del tizio che, per pescare nella laguna di Orbetello, si era costruito una papera di legno dentro la quale c’era un foro per far passare il boccaglio. Quindi quel tale pescava in agguato a galla portando sulla testa quella papera finta”. Ridiamo tutti e due fino alle lacrime.
Di nuovo Giuseppe dà manetta al gommone per raggiungere un ultimo posto. Nel frattempo mi racconta la sua filosofia della pesca subacquea: “Una delle cose che mi affascinano è trovare posti vergini. Sono disposto a nuotare per ore sulla sabbia o sull’alga per trovare uno di quei posti magici che ti ripagano di ogni sacrificio e ti portano a vivere ancora oggi quelle suggestioni che dovevano provare i primi esseri umani all’alba del mondo. Recentemente ho scoperto un’ immensa roccia spaccata piena di pesce in un mare di sabbia E’ un posto meraviglioso. Un’ immensa distesa di sabbia bianca interrotta da questa grande roccia con sopra una enorme anfora (forse posata li da 2000 anni) e dentro una cernia di diciannove chili. Ci sono stato solo tre volte e l’anno successivo c’era un’altra cernia di nove chili.
Io non faccio prelievi massicci da posti come questi. Ci vado magari solo due o tre volte e prendo uno o due pesci. Per il resto mi accontento di sapere che esistono e sono felice di sentirmi un poco come se ne fossi il guardiano. Incaricato di salvaguardarli e mantenere il segreto sulla loro esistenza.
Arriviamo in un altro punto a poca distanza dalla costa e Giuseppe Nicolicchia ferma il gommone. “A proposito del discorso che ti facevo prima sulla pesca illegale” mi dice “ecco qua sotto c’è una piramide di massi posta per evitare che si possa strascicare troppo vicino alla riva. Ce ne sono altre tre nelle vicinanze ma in realtà mi risulta che era in programma la posa di un numero molto superiore di queste barriere artificiali. Purtroppo poi non se ne è fatto più di nulla: chissà perché? Sarebbe tanto facile scoraggiare comportamenti illegali delle paranze con barriere del genere, eppure sembra quasi una cosa impossibile da fare. I politici ne parlano ma poi non si vedono i risultati”. Siamo seduti sul tubolare del gommone e pronti per entrare in acqua e lanciarci in caduta sopra la piramide di massi sulla batimetrica dei diciotto metri. Giuseppe mi guarda e mi fa una confidenza.: “Sai Gherardo questo posto per me non è tanto importante per la pesca ma soprattutto per il ricordo di un amico. Qui purtroppo è morto per sincope uno dei miei migliori amici e barcaioli. Era un ragazzo pieno di vita e di forza, forse troppa. Pensa che quel giorno quando non l’hanno visto tornare sono venuti a cercarmi e purtroppo io sapevo che era venuto qui. Così proprio a me è toccato il terribile compito di recuperarne il corpo. Aveva una cernia sotto il pallone ed un’altra sull’asta del fucile. Per quello che era il suo livello tecnico era stata una pescata storica e forse proprio questo lo ha reso imprudente’ chissà come sono andate davvero le cose, nessuno può saperlo.”
Con le prime ombre della sera il cielo nuvoloso si è fatto più scuro e siamo ancora seduti sul tubolare con le maschere già indossate. Vedo Giuseppe che china la testa, evidentemente è commosso dal ricordo del suo amico ed anche io mi sento triste. D’improvviso mi sembra che siamo più piccoli e più soli nell’immensità del freddo mare invernale. In momenti come questi bisogna reagire subito. Allora ci lasciamo tutto alle spalle e ci tuffiamo mentre nessuno dei due pensa più alla pesca. Una breve ventilazione e via, verso la piramide di massi appoggiata sulla sabbia bianchissima, quasi fosse una gigantesca stele posta alla memoria. Non ci diciamo niente ma sentiamo che quella sommozzata è come una lunga preghiera. Quanto a me io mi fermo appoggiato sulla sommità della piramide di massi e prego veramente per qualche secondo per la salvezza di tutti i Cavalieri del Mare. Mi sento come se vivessi in un sogno pieno di dolore ma anche di gioia, di coraggio, di avventura e di tragedia. Tutti i sentimenti della vita mescolati insieme. Risaliamo in silenzio sul gommone e ci dirigiamo verso terra. La giornata è finita.
La prua sbatte sulle piccole onde nervose formate da una forte brezza di levante che si è appena sollevata.
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