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In apnea dentro la storia: importante ritrovamento archeologico durante una pescata

| 17 Ottobre 2006 | 0 Comments
Il recupero di un’anfora

E’ una calda giornata di fine estate e mi ritrovo a fare il turista. I miei programmi di pesca sono stati stravolti dal vento di Ponente, che è sceso improvviso nella notte ed ha agitato e sporcato le acque davanti alla costa ragusana, vanificando la pescata su una zona di secche al largo che avevo programmato. Ma la voglia di andare in acqua è tanta e decido di mettere in macchina un minimo di attrezzatura e di spostarmi sul più ridossato e tranquillo versante siracusano di questo angolo del Sud della Sicilia, sulla costa di Portopalo di Capo Passero. Scendo in acqua proprio sotto il paesino, davanti all’Isola di Capo Passero, è tarda mattinata e la mia carica di convinto ‘albista’ è già notevolmente smorzata.

Le barre di piombo recuperate

A togliermi i residui entusiasmi contribuisce la presenza di quattro o cinque boe segnasub che incrociano sottocosta nel fazzoletto di mare buono per pescare; più fuori è tutta sabbia, come si può vedere attraverso l’acqua cristallina. Entro in mare e piuttosto che stare nella folla decido di allontanarmi subito verso il largo. Il fondale nei primi metri è roccia uniforme e piatta solcata da rare fessure che più fuori, a soli sei o sette metri, finisce sulla sabbia interrotta da qualche macchia di posidonia. Lasciati gli altri pescatori ad inseguirsi tra loro più a terra, mi metto a fare qualche agguato e qualche aspetto seguendo l’orlo della roccia che cade sulla sabbia, senza farmi troppe illusioni. Girano solo piccoli saraghi ed un paio di ricciolette ancora non abbastanza sviluppate per meritare la mia attenzione. Ad un certo punto, dando uno sguardo verso il largo fuori dall’acqua, mi accorgo che poco più fuori spicca una macchia più scura sul chiaro del fondo sabbioso.

Il particolare marchio di una barra di piombo

Esco ancora in quella direzione e mi ritrovo su una piccola oasi di circa venti metri per dieci che forma un canalone parallelo alla costa: verso terra c’è una striscia di roccia, all’esterno una di posidonia ed in mezzo una valle di sabbia, alghe morte e qualche pietra. Sulla sabbia la profondità sarà di sette/otto metri, un paio di meno sulle pareti del canalone. Prendo aria e mi immergo, deciso a percorrere tutto il canyon fino ad affacciarmi dall’altra parte, ma quando arrivo a metà vengo distratto da qualcosa che mi fa interrompere l’azione di pesca.
Dal fondale emergono alcuni frammenti di ceramica tra i quali riconosco subito un collo, un puntale ed altre parti di anfore, la metà di un piatto ed altri ‘cocci’ meno identificabili. Delicatamente sposto le alghe morte che invadono il canalone e metto in luce altri frammenti, allora pianto in fucile nella sabbia, gli aggancio la sagola della boa e risalgo: il posto merita una visita più accurata.
A questo punto mi tocca fare una breve interruzione per dirvi che l’interesse che quei ‘cocci’ hanno suscitato in me ha radici lontane.

 

Dario Lopes, pescatore in apnea e protagonista dell’importante recupero

Circa una quindicina di anni fa, spinto dalla passione e dall’interesse che ho sempre avuto per l’archeologia subacquea e dal fatto che i miei migliori amici, per uno strano caso del destino, avevano conseguito le professionalità giuste per formare un’equipe titolata e preparata (archeologi, sommozzatori professionisti, tecnici di camera iperbarica, ingegneri, disegnatori, fotografi e video operatori subacquei’) ho fondato e diretto una società di ricerche e scavi archeologici subacquei. A questa vera e propria avventura imprenditoriale ci sono arrivato dopo aver recuperato, da quando avevo 11 anni, centinaia di reperti di ogni genere ed età, dall’Età del Bronzo al 1800, quasi esclusivamente durante battute di pesca in apnea.

I Carabinieri del nucleo Tutela Patrimonio Artistico

Tutti questi oggetti, ancore, anfore, vasellame ed altro, li ho sempre rigorosamente consegnati, come impone la Legge, agli Enti preposti alla tutela del nostro patrimonio culturale ed oggi, con mio grande orgoglio, si possono ammirare nei musei di Lipari, di Milazzo e di Filicudi.

Ma ora riprendo il racconto interrotto. Mi bastano un paio di discese attorno alla boa pedagnata per accorgermi che il canalone è un vero e proprio contenitore di reperti, ma solo quando sposto con la mano un po’ di sabbia mi rendo conto che sul fondo c’è un vero tesoro. Scoprendo piano uno spigolo di colore chiaro che emerge appena dalla sabbia e che si presenta troppo regolare e squadrato per essere una roccia, ecco che davanti ai miei occhi appare un delfino in rilievo che salta sopra un’onda antica di 2000 anni impressa nel piombo!

Un delfino in bassorilievo

Provo un’emozione che nessuna parola potrà mai descrivere, una sensazione di gioia, euforia, commozione mi invade. Risalgo, mi tolgo i guanti, mi ventilo e scendo nuovamente.Il delfino è lì ad aspettarmi, delicatamente rimuovo ancora un po’ di sabbia e metto in luce un lungo marchio composto da lettere romane. Poco oltre, all’altra estremità del lingotto, in un ultimo marchio c’è impresso il caduceo, il simbolo del dio Mercurio, protettore dei viaggiatori e dei commercianti, inventore dei pesi, delle misure e delle bilance’ Poi tutto diventa veloce, l’emozione sparisce per lasciare il posto alla ragione.
Sotto la sabbia individuo con la mano altri lingotti, allineati così com’erano sulla nave naufragata in quel posto, ricopro bene quello parzialmente scoperto, prendo le mire a terra del sito e mi allontano, non vorrei che qualcuno dei sub, insospettito dalle mie continue immersioni, si avvicinasse e si accorgesse di qualcosa.

In pochi minuti sono già a terra, mi cambio e vado alla caserma dei Carabinieri per denunciare il mio fortuito ritrovamento archeologico, capisco di essermi imbattuto in qualcosa di molto importante ed è giusto che le autorità competenti siano avvisate, così da poter intervenire in maniera adeguata sul sito. Come li ho trovati io, chiunque altro potrebbe arrivare sui lingotti e non tutti quelli che girano per mare sono animati da buone intenzioni’

I poveri resti di un naufrago di 2200 anni fa

Fortunatamente la vicenda si è conclusa rapidamente nel migliore dei modi: due giorni dopo a Portopalo sono arrivati il Nucleo Sommozzatori dei Carabinieri, il Nucleo Tutela
Patrimonio Artistico, sempre dei Carabinieri, e gli archeologi ed i tecnici della Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana. Insieme,
compreso il sottoscritto che con piacere ha collaborato all’operazione, con grande professionalità e competenza hanno effettuato i rilevamenti del sito, le ricerche allargate col metal detector ed altri strumenti,
la documentazione video-fotografica ed alla fine il recupero dei reperti individuati. Il tutto sotto lo sguardo preoccupato di bagnanti,
curiosi e giornalisti, che avevano collegato la presenza in mare delle forze dell’ordine ad uno sbarco di extracomunitari finito tragicamente,
come purtroppo avviene spesso in quelle zone. Non che avessero tutti i torti, perché in effetti la tragedia, anche se oltre 2000 anni prima, c’
è stata veramente. Sotto uno dei 13 lingotti c’era parte di una mandibola umana, appartenuta probabilmente ad uno degli sfortunati
marinai della nave naufragata che non è riuscito a salvarsi. Per lui e per la sua nave il dio Mercurio non ha potuto fare niente.

Fasi del recupero di un’ancora dell’Età del Bronzo

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