FIPIA: La Pesca in Apnea NON Deve più Nascondersi!
Riceviamo dal presidente della Federazione Italiana Pesca in Apnea, e volentieri pubblichiamo, una riflessione cruda ma quantomai condivisibile sullo stato della pesca sub in Italia. Finalmente una lucida autocritica in una scena che per troppi anni è stata monopolizzata da discussioni infinite su falsi problemi e da fantasiose ricette miracolose per il restyling dell’immagine del pescatore in apnea.
di Alessandro Fiumani – Presidente FIPIA
Negli ultimi tempi sembra essere ritornata a galla la questione dell’immagine della pesca in apnea, un tema che in tanti considerano cruciale per la sua sopravvivenza, ma che troppo spesso finisce per dar luogo a discussioni surreali, che tutto possono tranne che far bene alla disciplina e alla categoria.
Un’ Immagine Distorta
L’immagine della pesca in apnea è indubbiamente percepita dall’interno in maniera distorta e dipinta a tinte molto più fosche di quelle che sono nella realtà. Si favoleggia spesso di una non meglio identificata persecuzione animal-ambientalista che, almeno nel caso della pesca sportiva, è praticamente non pervenuta. Basta avere la pazienza di andarsi a cercare i comunicati delle varie sigle della galassia animalista, per constatare che dei pesci importa praticamente niente a nessuno.
Della pesca sportiva ci si occupa quando ha ripercussioni su animali empatici come gli uccelli marini (che pare si facciano molto male con ami ed esche artificiali abbandonate), le tartarughe, i cetacei; ma i pesci con le squame sono animali di serie B; tanto irrilevanti che, il lavorare nel settore della loro commercializzazione, non ha impedito ad alcuni soggetti, sia italiani che stranieri, di diventare i leader dei movimenti animalisti.
Veri e Falsi Problemi
La sensazione di vessazione che molti pescatori sentono, a causa di normative obsolete ed eccessivamente punitive, dipende piuttosto dal fatto che la pesca in apnea è sostanzialmente non rappresentata nelle assise legislative ed è quasi sempre ignorata e dimenticata quando si scrivono le leggi o le ordinanze locali.
Ecco perché la lotta che alcuni “talebani” (o, come li chiamano i francesi i “khmer verdi”), fanno contro le foto e i video di pesca, non è qualcosa che ci può giovare, anzi semmai è un altro piccolo passo verso il baratro. È innegabile che certe immagini siano proprio brutte e possano avere un impatto molto negativo, la realtà però ci racconta che ogni qualvolta scoppia una rissa mediatica sull’opportunità o meno di una certa immagine, è sempre uno scontro interno, pescatori contro altri pescatori.
È poi indubbio che non sono le foto in se a scatenare gli animi, quanto più il “chi” le pubblica. Foto simili possono scatenare reazioni diametralmente opposte, perfino tra la stessa cerchia di persone: applausi per la social star di turno, critiche e insulti per il signor nessuno. E ancora, nella ridicola corsa al revisionismo, le ultime ad essere cadute sotto gli strali della censura interna sono state le foto d’epoca, spaccati di un mondo ormai lontano, che non ha alcun senso pretendere di rinnegare, anzi, chi rinnega il proprio passato e le tappe del proprio percorso di crescita, forse non merita di avere un futuro.
Basta Nascondersi!
La pesca in apnea non ha nessuna necessità di continuare a nascondersi, di tenere un basso profilo, perché quello che siamo oggi lo dobbiamo proprio a diversi lustri in cui abbiamo pensato che fosse meglio essere evanescenti. Deve invece invertire la tendenza ed uscire da un isolazionismo nel quale si è chiusa, anche e soprattutto a causa di uno snobismo basato su una presunta superiorità etica e morale a tutti gli altri pescatori, che ci ha però soltanto relegato in un angolo dal quale difficilmente usciremo se non cambiamo mentalità.
Pensateci un attimo: qual è l’appuntamento fieristico nazionale più importante (nonchè l’unico!) e rappresentativo per la pesca in apnea? L’Eudi Show. Se vi siete mai guardati intorno, non potete non aver notato come all’Eudi la nostra presenza sia sempre più risicata ma, cosa più importante, siamo circondati da tutti quelli che, se non ci avversano, mal ci sopportano: diving e aree marine protette su tutti.
Abbiamo deciso noi di essere più affini alla subacquea che non alla pesca intesa come predazione vera e propria. Abbiamo quindi tagliato i ponti con tutta l’altra pesca sportiva, e mentre questa creava un appuntamento fieristico a Vicenza (il Pescare Show), prima insieme alla caccia e poi da sola (vista l’esplosione dei numeri), noi siamo rimasti con i subacquei.
La Necessità di Fare Fronte Comune
Intendiamoci, non è solo colpa nostra. In Francia esistono 5 federazioni che collaborano in difesa di tutta la pesca ricreativa, in Italia c’è solo la FIPSAS che vuole essere egemone e quindi unico interlocutore per le istituzioni. Ma quanti appassionati della pesca in mare oggi si sentono rappresentati da lei? Pochissimi a giudicare dalle stime dei tesserati. E allora forse i margini per far fronte comune ci sono e vanno ricercati anche in nuove occasioni pubbliche di ritrovo e confronto.
Il miglioramento della nostra condizione può passare solo per una revisione sostanziale delle normative sulla pesca sportiva (delle quali ai subacquei non importa nulla), da cui rischiamo di essere completamente tagliati fuori per non aver saputo in questi anni costruire alcuna collaborazione con i nostri veri compagni più simili: pescatori di superficie e cacciatori.
L’accostamento alla caccia potrà anche far storcere il naso a qualcuno, ma se mettiamo da parte lo snobismo accennato prima, non possiamo non riconoscere che abbiamo molti più punti di contatto con un beccacciaio o un cinghialaio, che non con bombolaro dedito alla fotosub. La caccia poi ha il tutt’altro che trascurabile pregio di essere già da tempo riuscita ad eleggere i propri rappresentanti in Parlamento, laddove noi ancora dobbiamo elemosinare l’attenzione di qualche singolo deputato.
Insomma, forse è venuto il momento di capire, una volta per tutte, che noi pescatori in apnea siamo sempre dei predatori e non certo dei subacquei o degli apneisti con il fucile. Siamo geneticamente parte della grande famiglia delle attività venatorie, l’unica dentro la quale possiamo realmente sperare di trovare l’appoggio e la rappresentanza per tutelare i nostri diritti e garantire un futuro alla disciplina.
Ora sta a noi scegliere se vivere o morire, di snobismo appunto.
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