EuroAfricano di Peniche: altro capitolo da dimenticare
Ed eccoci qui, a bocce ferme, a commentare un campionato EuroAfricano certamente difficile per la nostra Nazionale. La classifica è spietata: Nicola Smeraldi, migliore fra gli Azzurri, è ottavo, mentre Concetto Felice e Fabio Figlioli si trovano, rispettivamente, al 21° e 24° posto. Nella classifica per nazioni, velleitaria in quanto non riconosciuta dalla CMAS, l’Italia è quinta dietro a Spagna, Portogallo e Croazia e davanti all’Ucraina. L’analisi dei punteggi e dei distacchi non fa che mettere in evidenza le difficoltà incontrate dai nostri atleti nelle acque di Peniche, ma sinceramente, dopo aver seguito la gara da vicino, non ce la sentiamo affatto di liquidare la questione dicendo che i nostri ragazzi hanno sbagliato la gara e che per questo motivo non hanno brillato.
Al contrario, vorremmo evidenziare alcuni fatti utili ad una migliore comprensione della genesi di questo risultato, certamente non esaltante, per tentare di capirne le cause più profonde e, magari, delineare alcune ipotesi per uscire dalla situazione di impasse che sembra attanagliare la Nazionale Azzurra.
Prima di tutto deve essere chiaro che la scelta di disputare la prima prova nel campo di gara più meridionale ne ha pesantemente condizionato l’esito: con una visibilità prossima allo zero, pescare era quasi impossibile e i magri carnieri riportati a terra dai concorrenti lo dimostrano in modo inequivocabile. Sembrava di assistere alla pesatura di una nostra selettiva, lo stesso Jodi Lot si è stupito di poter vincere la giornata con sole quattro prede. In quelle condizioni, chi aveva la fortuna di andare a sbattere contro un pesce poteva arricchire il proprio carniere… gli altri – molti – si son ritrovati a vagare nella nebbia più fitta senza avere la possibilità di scoccare un colpo. Crediamo che il triplo cappotto della Croazia dimostri in modo inequivocabile che in quelle condizioni gli atleti non potevano esprimere il proprio valore, a meno che non si voglia concludere che un campione del mondo come Daniel Gospic abbia improvvisamente dimenticato come si prendono i pesci. Del resto, diciannove qualificati su quarantaquattro concorrenti riconfermano, se ce ne fosse bisogno, l’estrema difficoltà della prova. Uno sguardo alle classifiche delle due prove chiarisce come buona parte dei piazzamenti a ridosso delle prime cinque posizioni della prima giornata – frutto di catture fortuite – siano stati pesantemente rimescolati nella frazione finale, in cui le migliorate condizioni hanno messo gli atleti in condizione di pescare e mostrare il proprio vero valore.
Per quanto riguarda i primi cinque classificati della prima prova, invece, dobbiamo prendere atto del fatto che si sono confermati anche quando c’era da pescare sul serio: “causalmente” si tratta di spagnoli e portoghesi, ossia atleti che potevano contare su una maggiore dimestichezza con il campo di gara e, in generale, con questo tratto di oceano Atlantico. Lo diciamo senza voler sminuire in alcun modo l’indubbio valore di questi fortissimi campioni.
Nella seconda prova, disputata sul campo gara più settentrionale e maggiormente ridossato dal promontorio di Peniche, gli atleti hanno trovato condizioni di visibilità decisamente migliori: in quel mare, il massimo della visibilità in costa è di circa 10 metri, quindi i cinque sei metri riscontrari nelle zone di acqua più pulita costituivano un ottimo presupposto per carnieri abbondanti. Sin dalle prime fasi della gara si è capito che la musica era cambiata, e le catture sono iniziate a fioccare un po’ ovunque, nella schiuma come a mezza costa.
Alla fine l’ha spuntata il portoghese Jodi Lot, che ha sopravanzato il giovane spagnolo David Primo, diretto concorrente sin dalla prima frazione. Dopo il terzo posto nella prima giornata, il greco Manolis Giankos non è riuscito ad andare oltre il 13° posto nella prova conclusiva, terminando sesto nella classifica finale. Nonostante la vittoria nella seconda frazione, lo spagnolo Antonio Linares non è riuscito ad andare oltre il terzo posto, mentre il portoghese Rui Torres è risalito dal sesto posto parziale al quarto finale grazie ad un terzo di giornata.
Per quanto riguarda gli azzurri, nella prima giornata solo la spigola catturata in extremis da Nicola Smeraldi (cui vanno riconosciuti determinazione e grinta da leone!) ci ha salvato dal triplo cappotto, assicurando almeno un atleta in top ten (nono, per la precisione). A nulla sono valsi gli ammirevoli sforzi di Felice e Figlioli, rientrati a terra senza una sola preda valida in cavetto.
Nella seconda giornata i nostri si sono buttati nella schiuma, destreggiandosi tra onde imponenti quanto pericolose. Nicola Smeraldi è risultato ancora una volta il migliore con un decimo posto parziale, anche grazie al fatto che Concetto Felice ha perso sette prede dal cavetto appeso sotto la boa a causa di una serie di onde possenti. Nonostante che i pesci (5 salpe, due cefali e un tordo) fossero stati passati per la testa, l’ondata ha risparmiato solo il tordo, privando il giovane siciliano di punti preziosi che lo avrebbero proiettato nella parte alta della classifica di giornata. Nonostante tutto, Concetto ha concluso con nove prede valide, piazzandosi al 18° posto di giornata. Fabio Figlioli, da parte sua, ha presentato otto prede valide piazzandosi alle spalle del giovane compagno. Complessivamente, una prova decisamente sottotono per una nazionale che negli tempi passati ci aveva abituato a ben altri risultati e che negli ultimi anni fatica sempre più a trovare il bandolo della matassa ogni volta che si esce dal Mediterraneo.
Veniamo adesso alla parte meno simpatica: il commento della prestazione e l’analisi della sua genesi. Cominciamo con la verifica dei precedenti, vale a dire l’EuroAfricano del 1993, disputato nelle stesse acque: in quell’occasione Renzo Mazzarri si piazzò secondo alle spalle di José Vina e davanti al croato Branco Ikic e al fuoriclasse spagnolo Pedro Carbonell. Secondo degli italiani fu Bellani, undicesimo, mentre Nicola Riolo terminò al 15° posto praticamente con una sola giornata, in quanto l’altra la passò in gommone in preda alla nausea. L’Italia si classificò quarta nella classifica per nazioni, dietro a Spagna, Francia e Portogallo e davanti alla Croazia. Di certo non fu un successo per la squadra, ma in ogni caso i nostri tornarono a casa con una medaglia d’argento, che poi è ciò che conta in un campionato esclusivamente individuale.
Quest’anno l’Italia è partita per il Portogallo con l’obiettivo dichiarato di figurare bene “a squadre”, un aspetto che lascia perplessi: a prescindere dal fatto che per fare bene a squadre si deve necessariamente fare bene individualmente – la classifica per nazioni si elabora con la somma dei punteggi individuali – è singolare che da qualche anno a questa parte si vada alle competizioni individuali con l’obiettivo di… vincere o comunque ben figurare… in una gara che non c’è. Che dell’EuroAfricano non importasse molto alla dirigenza federale si è capito anche dal tipo di trasferta: invece di andare a preparare i campi gara a Peniche, i nostri atleti sono andati in macchina a Vigo, in Spagna, dove si disputerà il prossimo mondiale nel 2012. Si è partiti per l’EuroAfricano ma si è andati a preparare il mondiale: una scelta quantomeno singolare che non ha certamente aiutato i nostri atleti, costretti ad un tour de force massacrante in auto con tanto di gommone al seguito e distratti da quello che doveva essere il loro unico obiettivo, preparare l’EuroAfricano. Le pessime condizioni del mare negli ultimi giorni precedenti alla competizione hanno fatto il resto, impedendo ai nostri di accumulare preziosi segnali che avrebbero potuto fare la differenza: il vincitore ha rotto il ghiaccio con una mostella di 3,8 Kg nella seconda giornata…. il che la dice lunga sul valore delle prede a segnale in questa competizione. Buttandosi nella schiuma si potevano completare le serie di cefali e salpe e sperare in una spigola, ma una strategia più differenziata fondata su un’ispezione più accorta dei fondali avrebbe certamente pagato di più. Per compensare una mostella o un tordo di 3 Kg servivano diversi pesci da schiuma: segnare questi pesci era fondamentale! Se poi si considera che un grongo valeva 1000 punti, quanti un cefalo di peso, si capisce che anche i serpenti avevano un’importanza non secondaria.
C’è poi un altro importante aspetto che a nostro avviso pesa sul risultato insoddisfacente di questo EuroAfricano e che, sempre a nostro avviso, rischia di pesare anche sui risultati futuri nelle competizioni internazionali: non ci pare che il ricambio generazionale della squadra Azzurra sia stato gestito al meglio. I veterani della nazionale sono stati spremuti fino all’ultimo sul campo di gara, ma non sono stati sfruttati per far crescere le nuove leve, che si sono ritrovate nella mischia senza la dovuta preparazione. Se pensiamo che un Ramacciotti ha fatto da barcaiolo a Renzo Mazzarri per anni, ci vien da pensare! Anche nei mondiali recenti abbiamo visto secondi quarantenni o quasi, atleti – con tutto il rispetto ma ad onor del vero – senza futuro che hanno privato i giovani di occasioni preziose per fare esperienza. L’idea che i titolari potessero scegliersi i secondi costituiva un errore di calcolo ed una dimostrazione di scarsa lungimiranza e abilità strategica, cosa che abbiamo segnalato già a suo tempo e che oggi sembra sempre più evidente.
Sia chiaro: i nostri ragazzi hanno fatto il possibile, e a loro non abbiamo granché da rimproverare. Certo, si potevano evitare certe leggerezze come quella dei pesci persi dal pallone, ma noi abbiamo visto in quali condizioni si è gareggiato e non ci sentiamo davvero di puntare il dito sugli atleti o fare dietrologia sulle convocazioni.
Per la verità ci sarebbe qualcosa da dire riguardo la selezione della squadra, ma si tratta di una considerazione generale e astratta che non vuole rappresentare una critica alle scelte effettuate, sulla cui buona fede non intendiamo sollevare alcun dubbio: quando si parla di Nazionale, sarebbe il caso di sgombrare il campo da ogni possibile sospetto di conflitto di interessi. Luigi Collina, uno dei migliori arbitri della storia del calcio nazionale fu accusato di conflitto di interessi dall’Associazione Italiana Arbitri perché aveva un contratto di sponsorizzazione con la Opel, sponsor del Milan, e per questo si dimise, mentre nella pesca in apnea accade da tempo che il direttore tecnico abbia rapporti professionali con aziende che sponsorizzano atleti e che possono quindi trarre un vantaggio di immagine dalla loro presenza nella squadra Azzurra, trovandosi in palese conflitto di interessi. Dato che da sempre in Italia si reclama il diritto del direttore tecnico di convocare chi vuole, senza troppo riguardo ai titoli sportivi conquistati sul campo e, in generale, a criteri oggettivi di meritocrazia, questa situazione appare ancor meno trasparente.
Per questo crediamo che sarebbe più che opportuno, per sgombrare il campo da ogni possibile sospetto, che nella scelta dei Direttori Tecnici la Federazione evitasse persone che, per quanto capaci e competenti, abbiamo rapporti diretti con aziende del settore o circoli federali. Ci rendiamo conto del fatto che il nostro piccolo ambiente renda questo tipo di soluzione certamente difficile, ma ne va della credibilità di un intero movimento.
Ci pare che questa esperienza offra diversi spunti di riflessione per la dirigenza, ci auguriamo che sappia trarre la giusta lezione da questa prestazione per metterla a frutto negli appuntamenti futuri. Soprattutto, ci auguriamo che in futuro si parta con l’intenzione di figurare bene nell’unica classifica ufficiale delle competizioni CMAS: quella individuale. Del resto, come accennato, per fare bene a squadre occorre piazzare almeno un atleta nei primi cinque, altrimenti…. si va a fondo.
IL COMMENTO DI NICOLA RIOLO
Cari lettori di Apnea Magazine, è con infinita amarezza che leggo di un risultato così ingiusto nei confronti della nostra nazionale di pesca in apnea e dei suoi pur validi atleti. A mio avviso, le cause di una disfatta così aspra sono da ricercare molto a ritroso nel tempo: Mazzarri, Molteni, Riolo sono forse nomi molto vicini alle ragioni cui mi riferisco. Estromettere dalla nazionale per motivi di varia e più che discubile natura atleti di tanto talento è stato il più grosso errore che la FIPSAS – intenta a dare attenzione ad aspetti meno tecnici dei valori in campo – abbia potuto compiere per il presente ed il futuro della nostra nazionale. Rappresentare una nazione in campo internazionale, infatti, significa scegliere e coltivare nel tempo gli atleti più dotati e motivati ed affiancarli da giovani disposti a sacrificare il proprio tempo e le proprie ambizioni per accrescere di giorno in giorno il proprio bagaglio e valore tecnico, sportivo e soprattutto agonistico. Negli anni delle mie eccellenti esclusioni ho vinto sei titoli italiani assoluti (classificandomi tre volte secondo), ma ho partecipato a due soli campionati del mondo da titolare e ad uno come riserva. Li abbiamo vinti tutti e tre. In seguito non ricordo di gesta italiane di successo, anzi! Togliendo il titolo individuale di Stefano Bellani in Cile, ricordo un buio immenso che è riuscito a far in parte dimenticare le gesta passate di atleti che hanno fatto la storia della pesca in apnea italiana, europea e mondiale. Non voglio dilungarmi in disquisizioni generali e personali che inevitabilmente possono apparire faziose e interessate, ma devo assolutamente sottolineare come la mancanza del passaggio del testimone nel momento più opprtuno faccia perdere la staffetta alla squadra. Alla fine, non si capisce più neanche dove ricercare le vere ragioni delle troppe disfatte.
Sarebbe bastato ammettere di avere in mano atleti di raro valore che hanno dedicato la vita al mare con l’obiettivo di migliorarsi sempre e di sacrificarsi senza riserve per raggiungere un simile, ambizioso obiettivo, e di gratificarli con una carriera ben più lunga e prestigiosa: se si fossero affiancati i giovani a questi atleti, oggi avremmo una squadra imbattibile!
Criteri di scelta slegati da ogni meritocrazia, miopia sportiva e fattori occulti hanno fatto sì che tutto questo patrimonio sportivo, tecnico e agonistico andasse a naufragare per sempre in un mare di ricordi. Oggi i ragazzi si trovano di fronte ad un destino incerto: forse dovranno subire tante sconfitte amare e sperare che le altre nazioni facciano lo stesso errore della nostra prima di ritrovarsi a primeggiare nelle classifiche internazionali più prestigiose ed in ogni mare conosciuto e non.
Con affetto e stima per tutti i miei sostenitori,
Nicola Riolo
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Category: Agonismo, Articoli, Pesca in Apnea
Gentili amici,
intervengo sul vostro redazionale in merito all’ Eurafricano di Peniche per proporre ,o meglio solo tratteggiare, alcuni spunti di riflessione che portano a conclusioni divergenti rispetto a quelle dell’ articolo. In primo luogo non vorrei che il nostro sport subisse contamjnazioni calcistiche come quelle di pestare sull’ “allenatore” non appena si pensa che qualcosa non funzioni.
Ma nel concreto , ogni momento è utile per riflettere su se stessi .
Vorrei evidenziare che non sempre ( anzi , quasi mai ) un buon atleta diventa automaticamente un buon manager. E di manager si tratta , non già di “capitano” o qual’ altra definizione si intenda dare a chi deve formare e programmare l’ attività agonistica di una squadra . La managerialità sportiva è oggetto di corsi a livello universitario di tipo ben diverso di quelli dell’ ISEF , dove si formano professori di ginnastica partendo da atleti di qualsiasi livello. Ad una persona che si presta ad assumere tale ruolo , pur coll’ esperienza agonistica alle spalle e con le conoscenze interpersonali , ma senza specifica conoscenza ed esperienza manageriale , deve andare in primo luogo riconoscenza per quanto di suo ci mette.
Poi il discorso della gara a squadre. I sub tutti ( e il sottoscritto in prima fila , nonostante i quasi 60 anni ) sono , come i pescatori in genere , bestie solitarie , con i propri riti e segreti . Ma non è più il tempo che Coppi e Pantani vincevano da soli : servono squadre e back stages organizzativi , anche per la faccia che andiamo a mostrare a chi ci guarda da fuori . Riverbera sull’ imagine di organizzazione razionale ,di sicurezza e rispetto e sul comportamento collettivo di un gruppo che si presenta all’ estero . Un grupppo che , tra l’ altro , non è solo sintesi dei poco più di 5000 tesserati FIPSAS per la subacquea , ma è oggetto di attenzione di oltre 280.000 italiani che si sono censiti al Ministero come pescatori subacquei.
Ancora , in tema di razionalizzazione delle risorse economiche , specie se son poche : il mondiale di Vigo sarà a squadre oltre che individuale . Se quindi tra gli obiettivi la Federazione ha ritenuto più rilevante quello del mondiale , giusto utilizzare Peniche come step di work in progress per quel traguardo. Del resto non mi pare che la Croazia , pur avendo investito su Peniche più tempo e risorse , abbia scavato di meglio.
Da ultimo , in tema di sponsorizzazioni : la Squadra Nazionale Italiana porta in giro per il mondo l’ Italia , come nome e prodotto. E’ tanto eretico pensare ad un pool di produttori nazionali , gestiti a livello Federale, che supporti non i singoli atleti , ma la Nazionale nel suo complesso ? Ciò è quanto avviene abitualmente in campo commerciale , quando organismi nazionali , come Camere di Commercio o organi ministeriali si portano dietro all’ estero , rappresentanze commerciali formate da pluralità di produttori nazionali. Non solo : ma la Nazionale parla anche ad un “mercato interno” formato, come abbiamo visto, da numero rilevante di sub amatoriali.
Sono convinto , per quel poco che conosco il presidente Azzali , che il suo disegno a medio termine sia concreto e sia di questa fatta , meriti una verifica di lungo periodo , e non possa essere liquidato con un “commento a caldo ” , che dimentica il fatto che tattica e strategia stanno su due piani talmente diversi da non poter essere trattati dal medesimo soggetto.
Vorrei spezzare una lancia in favore del nostro CT: la difficoltà di scelta tra gli atleti in cui si è trovato negli ultimi tempi, è frutto di regolamenti un pò zoppi e calati dall’alto. Fortunatamente adesso sono in revisione e quindi speriamo in meglio.
Nonostante ciò trovo le sue scelte molto sagge ed azzeccate, il fatto che i risultati siano stati deludenti è da imputare a delle condizioni ambientali davvero difficili, piuttosto che a negligenze del team, che invece ha sfoderato una grinta davvero lodevole!
Tra i criteri di scelta degli atleti che compongono la Nazionale, conta più la generosità e capacità di fare squadra, piuttosto che la posizione in classifica. Mi rendo conto che non si tratta di un criterio oggettivo ma del resto non siamo macchine! L’arbitrarietà del CT di poter scegliere gli atleti più idonei, pertanto, mi sembra che sia più che condivisibile.
LA questione del conflitto di interessi invece mi pare piuttosto fuori luogo, tanto quando un “pesce mal conservato” (tormentone dell’ultimo campionato nazionale)! Il fatto che Milano sia uno dei rappresentanti commerciale di un’azienda, non vedo come possa influenzare la scelta degli atleti della Nazionale… alcuni suoi predecessori hanno realmente fatto nascere il sospetto del conflitto di interessi, presentando una nazionale quasi monomarca, eppure queste polemiche non sono mai state sollevate…
Insomma, suona più come un pretesto per attaccare il CT con chiacchiere da bar per sfogare la delusione del risultato…
In quanto alla proposta di un pool di produttori sponsor della Nazionale, sarebbe davvero bello ma forse prima la Federazione dovrebbe impegnarsi nell’imparare a gestire meglio “l’evento competizione”, piuttosto di preoccuparsi di equipaggiare gli atleti…
Non è affatto vero che in passato il conflitto d’interessi di altri CT non sia stato sollevato!
Borra è sempre stato accusato di parteggiare per i suoi conterranei Ramacciotti e Bellani anche in periodi in cui qualcuno avrebbe avuto qualche carta in più da giocare.
Bardi è stato letteralmente massacrato, e giustamente, a Isla Margarita per aver portato (seppur quasi tutti barcaioli) diversi atleti del team aziendale che ha sempre diretto.
Ora non si può far finta che Milano, rappresentante commerciale Salvimar, abbia convocato 2 atleti su 3 del team aziendale; che forse sarebbero stati 3 se Villani non avesse avuto qualche problema di salute.
Quindi è del tutto legittimo che qualcuno senta puzza di bruciato, soprattutto quando si parte per conquistare una medaglia che non viene nè consegnata nè riconosciuta dalla CMAS, quando non si preparara e si preferisce massacrare gli atleti preparando il mondiale in un periodo sbagliato, senza nemmeno sapere il campo gara e con una squadra che non si sa se resterà quella.
Nella migliore delle ipotesi tutta la dirigenza FIPSAS ha mostrato un’incompetenza e una superficialità imbarazzanti.