È Successo in Gara: un Cernione nell’Abisso per Stefano Bellani
Porto Cristo (Isola di Maiorca, Spagna) 1992. Fin dalla preparazione, tutti gli atleti presenti alla manifestazione avevano dovuto accettare il fatto che i pesci stavano a batimetriche incredibili.
Per vincere la gara bisognava pescare cernie e quest’ultime vivevano in piccole pietre immerse nella sabbia tra i 35 ed i 40 metri. Più su c’era pochissimo e tutto in un mare di sabbia e posidonia.
La mia preparazione fu chiara fin dal principio: ore ed ore di paperino alla ricerca di questi sassi che nascondevano quasi sempre una cernia piuttosto facile; la tana in questione la trovai uno dei primi giorni di preparazione. Era una grossa pietra spaccata a metà e affogata nel sabbione a 38 metri di fondo, dove avevo marcato una cernia di circa 12 chili abbastanza tranquilla.
Spesso tornavo a verificare il segnale, come consuetudine in una preparazione precisa ed attenta, e l’inquilina era sempre lì. Fu uno degli ultimi giorni di ricognizione che, con mia grande sorpresa, trovai la cernia al suo posto e, guardando attentamente in fondo al buco, vidi una coinquilina veramente grossa; insomma due pesci a coefficiente nella stessa tana.
La cosa mi aveva subito gasato e gli ultimi due giorni, stando molto attento a non farmi vedere dagli avversari, tornai a controllare il posto più volte nell’arco della giornata. Proprio durante una risalita, dopo un tuffo su questa tana, notai poco distante da essa sulla sabbia una macchia bianca.
Incuriosito, feci un altro tuffo per controllare e mi trovai tra le mani una lavagnetta scritta in francese con la mira in questione; era chiaro che anche un francese conosceva il mio stesso segnale.
Il Primo Tuffo della Seconda Giornata
Dopo la prima frazione mi ritrovai in quinta posizione con un paio di cernie ed una decina tra saraghi e corvine e il campo gara della seconda giornata sarebbe stato quello dove avevo la famosa mira da “condividere”.
E’ chiaro che per motivi di tattica sarei dovuto partire su quel segnale. Arrivando per primo infatti avrei tolto due pesci ai francesi e, catturandoli, avrei iniziato nel migliore dei modi.
Alla partenza mi resi subito conto che l’avversario transalpino con cui avrei dovuto condividere il segnale era Lionel Corselis. Arrivammo praticamente assieme nei pressi della mira ma fortunatamente, nonostante il tempo pessimo, fui più preciso riuscendo a pedagnare il sasso. Lui si allontanò stizzito per l’occasione mancata e si spostò su una zona vicina, io invece mi preparai per un tuffo impegnativo, con corrente, scarsa visibilità, a 38 metri.
Tra le mani la torcia ed un’arbalete da 90 cm con elastici da 16mm ed asta da 6,5mm; consapevole che il tiro sarebbe stato piuttosto semplice ero molto tranquillo.
Un ultimo cenno a Guerrino Casini (mio secondo per l’occasione) e m’immergo. Dopo i primi metri comincio a lasciarmi cadere ed dopo circa 25 metri comincio ad intravedere il fondo.
Raggiungo il pietrone, mi posiziono sopra di esso e mi affaccio dalla spaccatura; intravedo il pesce e lo illumino per cercare di capire dov’è la testa. Mi accorgo subito che è rimasta solo la più grande delle due cernie e che la testa non si vede benissimo. La tana è semplice, decido di spararla al centro corpo dall’alto bloccandola per poi metterla in trazione con la boa e finirla con un secondo colpo.
Parte il colpo che pianta la cernia e risalgo. Mi faccio passare una boetta, metto in trazione il cernione, e mi preparo al secondo tuffo impugnando un’arbalete da 75 cm. La corrente è fastidiosa, il mare mosso e la ventilazione non è agevole.
Dopo un po’ di minuti sono pronto e m’immergo; arrivo sulla pietra ed illumino l’interno: un macello! Il grosso serranide ha alzato un sacco di sabbia con potenti colpi di coda e non si vede nulla.
Sparo alla cieca un secondo colpo in direzione del primo ed afferro le due aste tirando. Non si muove nulla, anzi sembrerebbe di aver piantato le tahitiane contro la pietra…se non si sentissero possenti strattoni all’altro lato del filo. Mollo e risalgo.
Decido di far calmare il pesce e faccio un paio di tuffi di pura ricognizione. Dopo una mezz’ora circa impugno un altro fucile con lo spaccaossa e mi appresto a scendere per finire la cernia.
E’ una vera faticaccia; sono tutti tuffi sul filo dei 38 metri ed ogni volta che risalgo mi tocca rincorrere pure la boa col piombo mobile che la corrente mi porta fuori; ho calcolato male la lunghezza, ho circa 37 metri di sagola e non bastano.
E’ il momento di tornare giù. Il tempo trascorre inesorabile. Sono nuovamente sulla tana e mi affaccio con cautela. La sospensione ha decantato e si vede il pescione piuttosto tranquillo con due aste sul groppone; per mia sfortuna non si vede bene la testa ed allora cerco un’altra apertura.
Faccio altre due discese senza risultato; a dire la verità c’è piccolissimo buco sul lato sinistro del masso ma non si vede nient’altro che la pinna pettorale del pesce; non lo prendo neppure in considerazione. Scendo nuovamente deciso a sparare al punto più vicino alla testa; mi affaccio, illumino, sparo, la cernia ha un sussulto ed inizia nuovamente il finimondo; recupero asta senza alette e fucile sono nuovamente in superficie.
Sconsolato (sono già passate un paio d’ore, ossia un terzo di gara) dico al mio secondo che la vedo dura: “Sarà più di 25 chili, non le vedo la testa e non muore mai! Provo ancora per un’ora e poi ci spostiamo.” gli grido.
In quell’ora che mi ero prefissato, faccio ancora 5 o 6 tuffi ed altrettante fucilate con lo spaccaossa, ma nulla. Addirittura, dopo l’ennesimo colpo, la cernia sbianca come se l’avessi fulminata ma dopo pochi secondi riprende a sbattere, se è possibile, più forte di prima. Sono in superficie e mi faccio passare il raffio per tentare non so bene neanch’io che cosa. Scendo con raffio e fucile ma è tutto vano: il pesce non cede di un millimetro.
Vedo Corselis che insiste anche lui a 100 metri da me e capisco che anche lui deve avere un cernia che lo fa penare. Decido di cambiare zona. Senza farmi notare scendo sulla tana, metto una boetta bassa, lascio i due fucili sul pesce occultandoli più che posso e risalgo sul gommone. Ho intenzione di spostarmi su un paio di segnali vicini e poi, nell’ultima delle 6 ore previste, ritornare a vedere.
Faccio un paio di segnali e catturo una cernia di 6 chili circa. Questa è un’altra storia interessante. Scendo sulla pietra di questo serranide e, mentre m’avvicino vedo fuoriuscire dalla tana un fucile Apache. M’affaccio e trovo il pesce sparato è sull’uscio; lo doppio e lo tiro fuori.
Saprò a fine gara che era stato sparato da Renzo Mazzarri che, non riuscendo a estrarlo subito, lo aveva lasciato intenzionato a tornarci in un secondo momento.
Continuo a passare in rassegna i miei segnali ma con poca fortuna; un paio di saraghi finiscono nel paiolo e null’altro. Ho sempre in testa il cernione e, visto che ormai la gara non può regalarmi altri acuti (ho altre cernie ma lontano) e considerato che manca circa un’ora e mezzo alla fine, decido di tornarci sopra determinato a tirarlo fuori. Sono sul punto e preparo la discesa.
Ricomincia la Battaglia
Impugno un 75 per piazzare un altro colpo sperando sia risolutivo. Arrivato sulla tana m’affaccio e noto che il pesce s’è spostato di pochi centimetri indietro; riesco infatti ad intravedere una porzione di testa. Sparo in direzione della stessa e risalgo filando il mulinello.
Piazzo un altro pallone per tenere sotto pressione il pesce e ridiscendo a liberare i fucili nascosti prima di allontanarmi. L’operazione riesce e tiro le somme: il pesce ha tre aste in corpo ed è in trazione, mi tocca un gran lavoro di raffio, non c’è altra soluzione. Detesto usare questo arnese, per giunta a tali profondità, ma non posso fare altrimenti. Nel computo delle catture finali questo pesce potrebbe essere determinante per una vittoria a squadre.
Inizia una serie di discese sulla pietra nel tentativo di smuovere il cernione; una, due tre, quattro discese tutte vane. Riprendo lo spaccaossa e piazzo un altro paio di colpi, ma sembra che tutto sia inutile. Provo ancora un tuffo col raffio.
Scendo, m’affaccio e aggancio il pesce in una porzione di bocca che credo sia il labbro superiore (penso sia il labbro perché non riesco a vedere bene dove finisce il gancio del raffio).
Tiro con forza e la cernia si muove appena; illumino e noto che ha alzato il capoccione. Risalgo. Mi faccio passare un fucile e ridiscendo; le sparo sulla testa e questa sbianca: “E’ fatta!” penso. Altro strattone e il serrande nasconde nuovamente il muso.
Risalgo avvilito e devo anche fare il conti col filo del pallone che mi si incastra nel longherone della pinna rischiando di bloccarmi a mezz’acqua; riesco a liberarmi e risalgo non senza qualche patema. La vedo brutta: manca poco al termine della gara, appena più di mezz’ora.
Affondo ancora di più la boa di trazione, afferro il raffio e scendo; entro per quanto posso nella spacca, allungo il raffio e lo piazzo in bocca al pesce. Tiro forte a me e questo pare muoversi. Pianto le pinne e dò uno strattone. Pare cedere.
Di nuovo in superficie, mi faccio passare un fucile.
Raffio nella sinistra e 75 nella destra. Sprofondo per un ennesimo tentativo. Piazzo il raffio sul pesce lo tiro. Il muso si alza. Non perdo tempo e sparo un’altra fucilata. Tutto cede e mi trovo fuori dalla pietra, in mezzo ad un polverone assurdo, in un groviglio di sagole fucili ed aste.
Il cernione è ancora vivissimo e parte verso la mia destra. E’ legato al pallone e non può andare da nessuna parte. A scanso equivoci la stacco da fondo ancora un po’ e risalgo deciso. Una volta in superficie urlo la mia gioia e m’appresto a recuperare il pescione. La cernia è incredibilmente ancora piena di vitalità ma con lo stiletto pongo fine alle sue sofferenze (ed alle mie). La passo al mio secondo e la gara termina da lì a poco.
La bilancia segnerà 29 chili ed 740 grammi e risulterà la preda più grossa del Mondiale. Il resto è storia nota con Renzo Mazzarri Campione ed l’Italia prima a squadre. Ma che fatica.
Forse ti interessa anche...
Category: Agonismo, Articoli, Pesca in Apnea