Chiacchierando con… Stefano Marenco
Una spiaggia erbosa a cui fanno da corredo ampi canneti nei quali girano famigliole di anatre e gracchiano le rane. Siamo in riva al Lago di Garda, nel suo tratto meridionale, dove le acque fanno da contraltare alle colline moreniche; poco distante un gruppo di case rosse disposte a quadrato fanno da cornice a un ampio e verde prato. Dall’altra parte del prato, in un piccolo loggiato, una bimba gioca con il suo papà mentre un cuculo canta la sua litania. M’avvicino, “Ciao Stefano”, “Oh, ciao Emanuele, vieni siediti”.
Stefano Marenco, un nome che tra gli agonisti di pesca in apnea nelle acque interne è ben noto, ma apprezzato anche tra quelli di mare. Stefano, però, non è solo un grande atleta, infatti si è fatto valere anche nel campo dell’insegnamento e tante sono le persone che ha formato e avviato alla pratica dell’apnea e della pesca in apnea.
Stefano, presentati ai nostri lettori, parlaci un poco di te e delle tue vittorie!
Sono nato al mare, al mare ho passato spesso le mie vacanze e il mare resta il mio ambiente preferito, ma ancora ragazzino sono venuto ad abitare a Brescia. Sebbene tornassi al mare per le vacanze estive e ci restassi per ben due mesi, durante i quali seguivo mio padre in acqua dedicandomi alla pesca dei polpi, la vicinanza del lago non poteva che spingermi alla sua frequentazione. Iscrittomi al Sub Club Brescia ho conosciuto valenti pescatori, in particolare il grande Roberto Palazzo, che mi hanno passato le loro conoscenze e la loro passione, facendomi diventare un grande appassionato e un buon interprete della pesca in apnea nelle acque interne.
Feci la prima gara all’età di diciotto anni, era a Monterosso in Liguria e ci andai in treno. Fu solo la prima di tante altre avventure che mi portarono ad ottenere diverse vittorie nelle selettive, sia al mare che al lago, più tre titoli individuali di Campione Italiano acque interne (1996, 2000 e 2007) e 3 o 4 titoli a squadre sempre ai Campionati Italiani Acque Interne.
Per quanto riguarda il mare, oltre alle già dette vittorie nelle selettive, a partire dal 1990 mi sono qualificato diverse volte per la partecipazione ai Campionati Italiani di Seconda Categoria.
Tante quindi le gare a cui hai partecipato, fra tutte quali sono quelle che più ti piace ricordare?
Tre le gare che mi sono particolarmente care e precisamente i tre titoli di Campione Italiano di Pesca in Acque Interne.
Innanzitutto, il mio primo titolo, che fu per me molto impegnativo sia a livello fisico che mentale in quanto passai gran parte della gara cercando le anguille a venti metri di profondità, metri che non erano facili da raggiungere visto che eravamo sul Lago di Como e voleva dire scendere nel nero più assoluto. Mi ci vollero tre tuffi prima di riuscire a raggiungere il fondo: scendevo lungo la sagola della boa pedagnata, vedendo solo quei pochi metri illuminati dal fascio di luce della torcia.
Poi il secondo titolo che fu molto bello in quanto ottenuto solo insidiando le tinche all’aspetto e prendendone un bel numero.
Infine il terzo, giunto dopo dieci anni dal secondo e che mi vide impegnato in un estenuante testa a testa con un agguerrito e già fortissimo Franco Villani; alla fine l’ho spuntata io, ma proprio per un soffio.
Prima le anguille, poi le tinche, so anche che hai preso diversi lucci; parliamo, quindi, di un atleta polivalente, c’è comunque un tipo di pesca che prediligi?
Beh si, pur praticando un poco tutte le tecniche ho anch’io le mie preferenze e dobbiamo distinguere tra lago e mare.
Al lago sono nato e cresciuto come “anguillaro” e la pesca all’anguilla sul fango continua ad essere la mia preferita. L’evoluzione dei regolamenti nelle gare di pesca in apnea acque interne e altri motivi legati al mutarsi delle condizioni lacustri mi hanno però indotto a praticare con maggiore frequenza l’aspetto.
Al mare da sempre prediligo l’agguato e l’aspetto mentre la pesca in tana non mi ha mai particolarmente entusiasmato, la pratico solo in gara dove spesso risulta essenziale.
Usciamo dallo specifico dell’agonismo, c’è una cattura che ami ricordare con particolare emozione?
Beh, di volta in volta l’ultimo pesce, specie se di rilievo, è la cattura che più mi torna in mente, comunque, se devo fare una scelta precisa, direi: al lago un luccio da dieci chilogrammi preso in caduta e in profondità; al mare la mia prima grossa ricciola, uhm, forse proprio questa è stata decisamente la cattura più bella e più emozionante.
Avevo già preso delle grosse cernie, ma con la ricciola ero alle prime esperienze. Erano gli anni tra il 1985 e il 1990, non ricordo bene la data, ero con un mio carissimo amico a Isola Rossa in Sardegna, stavamo pescando nella schiuma prodotta da un maestrale, su di un fondale che variava tra i due e i sette metri. A un certo punto mi vedo arrivare sta cosa gigante che non riuscivo a decifrare, sul momento ho pensato a un’orata fuori dal comune; il pesce continuava ad avvicinarsi finché ho capito di cosa si trattava. L’ho sparato con un novanta armato con asta da sei, fortunatamente prendendolo bene subito dietro le branchie, a quel punto è cominciata la “lotta”: il pesce si è messo a girare in tondo e vedevo il sagolino andare ovunque, comunque, piano, piano, con un lungo tira e molla sono riuscito a portarmela vicino ma… “come cavolo la prendo?” Non sapevo come prenderla, finché non ho pensato di infilargli un braccio nella branchia riuscendo così finalmente a bloccarla e finirne la resistenza.
Che attrezzature utilizzi?.
Da molti anni, per non dire da sempre, utilizzo le attrezzature ideate e realizzate da Valerio Grassi, vuoi per amicizia, vuoi perché le trovo ottime attrezzature. In ragione di questo da dieci anni sono nel Team Seatec, azienda che produce praticamente tutto l’equipaggiamento necessario alla pesca in apnea: pinne, maschere, fucili, mute, eccetera.
Come fucili uso prevalentemente lunghi arbalete: il 90 per l’aspetto al lago, il 100 o 110 al mare. Solo per la pesca alle anguille uso il corto: oleo da 50; invero non amando particolarmente l’oleo, avevo provato a usare l’arbalete da 50, ma risultava troppo lento nel caricamento e l’ho abbandonato quasi subito.
Come mute, essendo particolarmente freddoloso, non ho mai messo la giacca da tre millimetri, nemmeno al mare. Il mio corredo prevede giacca da cinque con pantaloni da tre per l’estate piena (luglio e agosto), completo da otto per l’inverno a cui abbino sottomuta, bermuda e… stufetta! Per il resto dell’anno completo da cinque millimetri.
Quali sono le tue aspettative agonistiche per la stagione in corso?
Pe le acque interne siamo più o meno ancora i soliti a poter aspirare alla vittoria, indi, seppure ritengo che Migliorati e Villani siano un gradino sopra a me, penso di potermela giocare e aspirare al mio quarto titolo di Campione Italiano.
Al mare, fra un mesetto vado a Piombino per le semifinali, un paio di volte sono andato vicino alla classificazione per gli assoluti, speriamo sia l’anno buono, ci terrei proprio tanto.
Stefano, oltre che forte pescatore, sei anche un apprezzato Istruttore di apnea e di pesca in apnea, come sei arrivato a tale incarico?
Mi è sempre piaciuto insegnare, da ragazzo facevo l’istruttore di nuoto e allenavo una squadra di ragazzini, così, anche per esigenze di club, molti anni fa ho preso il brevetto di istruttore di apnea, al quale nel 1996 segui quello di istruttore di pesca in apnea, sono stato uno dei primi a prenderlo.
La prima cosa che dico è di non avere fretta! Come sottolineo fino alla nausea ai miei allievi, per poter pescare, prima ancora della perfezione del gesto tecnico, occorre essere in grado di immergersi in scioltezza e sicurezza. Quindi prima d’imparare a pescare è fondamentale imparare ad andare bene in apnea.
È importante che l’allievo si eserciti senza farsi condizionare e senza essere condizionato dalle prestazioni del suo istruttore o dei personaggi da rivista, mi spiego: gli si deve inculcare il concetto della gradualità delle prestazioni, se la sua testa è condizionata dalla prestazione apneistica in sé, non riuscirà a concentrarsi sull’aspetto piscatorio in senso stretto; deve, invece, limitare le sue quote operative per poter mettere in pratica le nozioni tecniche sulla pesca in tranquillità. Senza dimenticare che ciò è tutto a vantaggio della sicurezza che deve essere sempre l’aspetto principale: spesso mi è capitato di richiamare, anche con una certa energia, gente che ho portato a pescare perché tendevano a forzare. Ricapitolando, ritengo fondamentale che si seguano dei corsi di apnea e pesca, possibilmente affidandosi a circoli e istruttori qualificati.
Per concludere, come vedi il futuro della pesca in apnea?
Nonostante tutto sono abbastanza ottimista. Sebbene, a seguito di un esecrato e ipocrita spirito ecologista che vede la cattura di un pesce per mangiarselo come atto contro natura, sia da molti considerata un’attività “anacronistica”, non credo che sia uno sport destinato a morire, certo dovrà evolversi, ma sparire del tutto proprio non credo.
Quello che mi sembra in crisi è invece l’ambiente agonistico, soprattutto quello delle acque interne. È vero che ci sono tanti praticanti, ma non molti sono i giovani e tra questi pochi sono quelli che, al momento, dimostrano d’avere le carte giuste per emergere e fare da rincalzo all’élite attuale.
È un discorso che un poco si sta facendo in tutti gli sport, ma nella pesca in apnea si evidenzia in modo più netto: ho visto molti ragazzi iniziare a gareggiare e interrompere nel giro di poco tempo. Speriamo che arrivino nuovi atleti a ridare energia alle competizioni; qualcuno si sta facendo vedere, ad esempio, per stare tra le fila della mia società il Sub Club Brescia, Paolo Lo Biondo, ma sono per ora delle mosche bianche, ce ne vogliono di più, molti di più.
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