Chiacchierando con… Matteo Pedersoli
Ci vado, non ci vado; ci vado, non ci vado! Finalmente mi sono deciso e sto scendendo verso il Porto di Portese per visitare il tratto di lago che da tale località si spinge verso la Punta del Corno, zona di cui ho già parlato nell’articolo sulla Baia del Vento.
La strada è molto ripida e già m’immagino quanto sarà duro risalirla a piedi dopo aver passato alcune ore in acqua, con in spalla un borsone appesantito dalla muta bagnata e, si spera, da qualche bella cattura. Sono abituato alle lunghe camminate e non disdegno raggiungere a piedi i punti di pesca, oggi, però, le gambe sono un poco fiacche e già durante la discesa iniziano a farmi male: la vedo dura.
Assorto nelle considerazioni sulla mia forma fisica, non mi avvedo che una vettura arriva alle mie spalle, traina un grosso gommone e necessità di spazio per passare mentre io sto invadendo parte della carreggiata. Poooot, pooot, il clackson suona imperioso facendomi sobbalzare e quasi perdere l’equilibrio. Mi appiattisco conto il muricciolo a margine della strada per far passare la vettura ma questa viene avanti molto piano. “Emanueleeee, Emanueleeeee” aho, ma qui c’è qualcuno che mi conosce! Vincendo il peso del borsone raddrizzo la schiena per poter osservare i dintorni, ma non vedo nessuno. “Emanuele, siamo qui, siamo noi”. Percepisco che la voce arriva proprio dalla vettura che mi si è accodata, osservo nei finestrini ma il riflesso m’impedisce di riconoscere chi mi sta chiamando, però… però io questa automobile la conosco, eh sì, la conosco proprio. Nel frattempo la vettura è venuta avanti e posso meglio vedere chi ci sta sopra e allora li riconosco: “ehi, anche voi qui?” Sono i fratelli Pedersoli, li rivedo molto volentieri e m’invitano a uscire con loro. E’ molto che non scrivo più nulla per Apnea Magazine, perché non approfittarne? Paolo l’ho già intervistato, ma Matteo no, nasce così questo nuovo articolo sugli uomini del lago.
La carriera apneistica di Matteo nasce da un infortunio sportivo: “sebbene mio papà fosse un appassionato subacqueo, il mio sport era quello del calcio che praticavo con assiduità e qualche speranza professionistica. Nel settembre del 1999, durante un incontro amichevole con dei professionisti, subisco una grave lesione alla caviglia con conseguente intervento chirurgico. Resto fermo per diversi mesi, poi provo a riprendere l’attività ma risulta per me impossibile ritornare al calcio.”
La delusione dell’abbandono è forte e Matteo cade in una leggera depressione: chi è abituato a praticare sport con costanza e dedizione, fatica assai a rinunciarci e starsene fermo in casa. Allora la moglie lo stimola ad andare in piscina. L’accostamento all’acqua risveglia in Marco le immagini del padre che prepara le attrezzature subacquee, rievoca in lui i racconti del papà sulle immersioni effettuate e quando gli capita di conoscere Stefano Marenco, recentissimo vincitore del secondo Campionato Italiano Pesca in Apnea nelle Acque Interne, di buon grado lo segue al Sub Club Brescia dove conosce anche altri due noti e prestigiosi atleti: Giorgio Frassi e Roberto Palazzo.
“Nel 2001 mi iscrivo al Sub Club Brescia e partecipo prima al corso di apnea di primo grado e subito dopo anche a quello di pesca in apnea, acquisendo i due brevetti. Stefano e Roberto mi invitano a fare le gare, ma io esito un poco. Stefano però insiste e nel 2002 mi convince a fargli da barcaiolo per il Campionato Italiano Acque Interne. Vedere da vicino l’ambiente dell’agonismo e l’azione di questi pescatori annulla le mie esitazioni e l’anno successivo eccomi in acqua, prima per pescare e subito dopo per le gare. Mi piace assai e non smetterò più.”
Purtroppo il tempo da poter dedicare alla pesca e all’allenamento è pochissimo, in pratica solo i sabati, poi nel 2010 una malattia lo ferma completamente e così su nove campionati italiani è riuscito a disputarne solo quattro, nonostante ciò ne vince uno, quello del 2012. Sempre in acque interne ottiene anche quattro podi nei campionati a squadre, una vittoria nelle selettiva e tanti ottimi piazzamenti: “mi è sempre mancato quel pezzettino dato dall’andare in acqua costantemente, giorno per giorno, però ho compensato questo deficit con una meticolosa capacità di osservare, analizzare, comprendere e memorizzare i mutamenti del lago, i collegamenti tra situazioni e pesce, il comportamento di ogni singola specie e le sue variazioni in ragione delle condizioni ambientali.”
Matteo non si è cimentato solo nelle gare lacustri, ci ha provato anche con quelle di mare arrivando ottavo negli Assoluti a Squadre, perseguendo, in squadra con Barteloni e Ranghetti, un secondo posto al Trofeo Andreani e vincendo, con quattro saraghi (per un totale superiore ai sei chili) e un grosso grongo (cinque chili e mezzo), il Campionato Provinciale e Regionale del 2007 disputato a Punta Bianca in Liguria.
Tra una parola e l’altra il gommone è stato messo in acqua, abbiamo indossato le mute e siamo partiti portandoci subito fuori dalla riva per controllare alcuni spot che i due fratelli hanno segnato nel loro registro delle mire, che poi l’evoluzione tecnica ha trasformato in uno strumento elettronico. Purtroppo oggi il lago è avaro e di pesce non ne gira, così le occasioni per parlare si fanno maggiori, mentre ci si sposta da uno spot all’altro o mentre ci si riposa un attimo.
“Matteo, parlaci un poco della tua tecnica di pesca, quale preferisci?”
“Non ho una tecnica di pesca preferita, mi piace pescare e mi adeguo alle situazioni variando tecniche e metodiche anche più volte e anche nel corso della stessa uscita. Mi piace capire perché non c’è il pesce, interpretare tutti i minimi segnali che mi possano aiutare a trovarlo e, negli anni, ho memorizzato quali siano gli indizi legati ad ogni singola specie, quali ti fanno capire che non c’è niente da fare e quali, invece, ti suggeriscono che anche se non vedi pinna in realtà è meglio insistere che il pesce c’è, bisogna solo indurlo a farsi vedere, farsi trovare da lui, perché non siamo noi a trovare il pesce, ma lui che viene da noi se noi siamo capaci di stimolare la sua curiosità.
Soffro l’acqua torbida, mi diverto a pescare le tinche, soprattutto nei primi mesi autunnali, quando sono nervose e difficili, ma il più bel tiro è il cavedano. Il luccio, preda ambita per molti pescatori, a me invece dice poco: è una pesca statica, qui eccelle mio fratello… ecco che ti dicevo, lui è il mostro dei lucci!” e con la mano mi indica un punto del lago poco lontano. Mi giro e vedo un fucile che galleggia e una nera testa che guarda verso il basso mentre una mano alzata fuori dall’acqua ci fa segno di avvicinarci. Matteo accende il motore del gommone e rapidamente si porta vicino al fratello: “Doppialo, doppialo!” Non c’è bisogno di dire altro, Matteo ha già capito tutto, calza al volo la maschera, prende il fucile e si tuffa in acqua. Giusto il tempo di caricare, capovolta e giù verso il pesce che si agita diversi metri più sotto. Quando risale stringe tra le mani un grosso luccio.
Dopo le foto di rito e aver messo al pagliolo la bella cattura riprendiamo l’intervista.
“Quali attrezzature utilizzi?”
“Da quest’anno sono entrato nei team agonistici di PoloSub, GFT e Seawolf. Nel dettaglio utilizzo mute PoloSub rigorosamente su misura e pinne GFT in carbonio, per i fucili ho sempre usato l’oleopneumatico da 40 o da 55 nella pesca alle anguille, mentre per gli altri pesci preferisco l’arbalete, fino allo scorso anno usavo quelli in legno costruiti da mio padre su mie precise specifiche, ora quelli del mio sponsor Seawolf. Le misure? Principalmente un 81, che alterno con il 94 o il 107, in occasioni particolari e al mare ricorro anche al 113 con tre gomme.”
“Ci racconti uno degli episodi di pesca che più ti sono rimasti impressi?”
“Facciamo due, uno di gara e uno fuori gara!”
“Perfetto, racconta.”
“In gara ricordo con molta soddisfazione la vittoria al Campionato Provinciale e Regionale. Quasi subito dopo la partenza avevo preso un grosso grongo, poi più nulla per ore. E’ quasi la fine della gara e mi si para davanti un grosso marvizzo, purtroppo lo sbaglio e il pesce s’infila sotto un lastrone. Dopo aver adeguatamente recuperato e preparato il tuffo, m’infilo sotto tale lastra di roccia e… piena zeppa di saragoni.
Fuori gara l’emozione più grande è stata quella dell’incontro con sua maestà il tonno. Era il maggio del 2008 e stavo pescando a Cala Domestica in Sardegna quando, durante un aspetto, mi si para davanti un grosso e magnifico bestione che subito identifico: non ho nemmeno avuto il coraggio di puntarlo, sono rimasto immobile completamente affascinato e ipnotizzato dalla maestosità del pesce il quale, tranquillamente e lentamente è passato sopra di me alla distanza di un metro.”
“Bello, dev’essere veramente bello osservare il passaggio di questi grossi animali.”
“Si, sono esperienze magnifiche per le quali voglio ringraziare coloro che mi hanno avviato a questa pratica, a partire dai già citati miei primi insegnanti, Marenco, Frassi e Palazzo, per arrivare a chi mi ha grandemente aiutato a superare il brutto momento della malattia: Tino De Luca, Massimiliano Barteloni, Beppe Meduri e Marco Migliorati. Non posso tralasciare tutti i compagni del mio circolo subacqueo attuale, l’Europa Sporting Club. Infine devo ringraziare mia moglie che in tutti questi anni ha sopportato e supportato le mie periodiche settimanali uscite a pesca.”
Nel frattempo siamo rientrati in porto, abbiamo scaricato il materiale e tirato in secco il gommone, rapidamente ci cambiamo scambiando qualche chiacchiera con un pescatore professionista che loro conoscono molto bene e che è venuto a prendere informazioni sulla situazione del pesce: “sai Emanuele, lui non vede di buon occhio chi viene a pescare qui nelle sue zone, ma noi ci siamo guadagnati la sua stima e la sua amicizia”.
Questi sono i fratelli Pedersoli, questo è Matteo Pedersoli, una persona prima che un pescatore e un atleta, duramente provato dalle esperienze della vita, ma dalle stesse anche fortemente motivato e rinforzato.
“Grazie Matteo”.
“Grazie a te Emanuele e fatti sentire che andiamo fuori assieme: ti aiutiamo volentieri anche per i tuoi servizi sui luoghi del lago!”
Tutte le foto sono di Emanuele Cinelli
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