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Il barracuda, un predone in ascesa

| 1 Marzo 2003 | 0 Comments

Fino a poco tempo fa l’incontro con il barracuda mediterraneo (Sfirena), conosciuto dalle mie parti anche come “aluzzo”, era solo occasionale, quindi parlare di pesca del barracuda non avrebbe avuto molto senso. In questi ultimi anni, al contrario, ho potuto constatare un aumento sensibile della presenza di questo vorace predatore nelle nostre acque ed in particolare, durante la trascorsa stagione, ho osservato la presenza di numerosi e folti branchi che hanno stabilmente occupato posizioni ben precise in corrispondenza di punte rocciose e risalite. Era la prima volta che mi capitava di trovare costantemente dei barracuda in determinati posti, quelli che abitualmente frequento per insidiare dentici e pelagici. Ho così potuto affinare le tecniche di approccio a questo bellissimo predone, catturando molti barracuda, anche di mole.

barracudaCredo che l’aumentata presenza dell’ “aluzzo”, come pure quella di altri pesci fino a qualche tempo fa non molto diffusi in Mediterraneo (penso ad esempio al serra) nonché quella di specie caratteristiche di acque più temperate (quali il pesce pettine, il pesce balestra, il dotto e la cernia bianca, tutte specie diffuse nel Sud Italia), siano fenomeni da porre in relazione con il progressivo aumento della temperatura media dell’acqua marina. Credo anche che un simile sconvolgimento degli equilibri dell’ecosistema marino non possa avvenire senza produrre danni a carico di altre specie.

In effetti, in concomitanza con l’aumento dei barracuda ho osservato direttamente un netto calo di presenze del dentice: sulle medesime risalite presso cui l’anno precedente era stabile la presenza di dentici riuniti in branchi, la scorsa stagione si incontravano quasi sempre i barracuda e solo sporadicamente i dentici, di solito isolati o in branchetti composti di pochi esemplari.

Ho concluso, quindi, che, dato che le due specie sono in concorrenza nella medesima nicchia ecologica, l’aumento dell’una provoca un calo dell’altra o quantomeno un suo allontanamento verso zone diverse. Ma potrebbe essere vero anche il contrario: sarebbe veramente interessante ed auspicabile uno studio approfondito, da parte di organismi scientifici, circa le cause del proliferare di queste specie ittiche alloctone.

In effetti, è evidente che queste mie considerazioni sono basate su dati empirici, desunti dall’esperienza di molte decine di immersioni nelle acque dell’Argentario e dell’isola del Giglio, ma sarei curioso di sapere se anche in altri ambiti territoriali si stia verificando una cosa del genere.

barracuda2Tornando al nostro argenteo predone, il barracuda predilige le punte che sprofondano nel blu e le secche ricche di mangianza, presso le quali staziona a mezz’acqua riunito in branchi numerosi composti di esemplari più o meno della stessa taglia.

Ma non è raro l’incontro con l’aluzzo anche in poca acqua, lungo le franate costiere, dove però in genere la taglia media è inferiore. Talvolta, come accade per altre specie di norma gregarie, gli esemplari di mole possono condurre vita solitaria o riunirsi in branchi composti di pochi esemplari.

Pur cibandosi della stessa mangianza, a differenza del dentice il barracuda preda di norma a mezz’acqua, attaccando i branchi di piccoli pesci e stringendoli verso le pareti rocciose prossime al cappello delle secche o alla parte più costiera di punte e franate, al fine di poterli poi afferrare con le lunghe e possenti mascelle, irte di denti acuminati.

Non ama quindi il contatto con il fondo e questa sua abitudine ha conseguenze dirette sulle tecniche di pesca attuabili per giungere alla sua cattura.

In particolare, la tecnica dell’aspetto puro non può essere considerata molto valida: spesso, insidiando i dentici, mi è capitato di attirare i barracuda ma di non poter fare altro che guardarli, molti metri sopra alla mia testa, intenti in uno spettacolare carosello. Le poche volte in cui sono riuscito a portarli a tiro in quelle condizioni, sono sempre stato costretto ad effettuare tiri dal basso verso l’alto verso sagome estremamente longilinee e sfuggenti, per di più controluce, tutti fattori che riducono molto le possibilità di successo.

Possibilità maggiori si hanno operando all’aspetto presso le sommità delle secche o sulle terrazzine delle pareti a picco, postazioni dalle quali è più probabile avere l’opportunità di effettuare tiri frontali poiché quella è la quota di stazionamento delle nostre prede, sebbene spesso vi siano difficoltà di occultamento per mancanza di ripari adeguati. In effetti quest’ultimo aspetto, pescando i barracuda, è di secondaria importanza, dato che di norma è possibile portarli a tiro anche rimanendo completamente allo scoperto, come accade per altre specie pelagiche.

barracuda3L’avvicinamento del branco di barracuda all’aspetto è sempre lentissimo e snervante, anche se poi il tiro risulterà abbastanza ravvicinato, su prede quasi ferme ad osservarci.

Occorre mirare sempre alla linea laterale, poiché l’aluzzo ha una sagoma molto affusolata e carni piuttosto tenere, che si lacerano facilmente in caso di tiri imprecisi. La sua reazione è simile a quella di ricciole e palamite, molto violenta e repentina, quindi è d’obbligo il mulinello al fine di agevolare il recupero, specialmente in caso di prede di mole.

Una tecnica spesso attuabile col barracuda è la caduta verticale, diretta sul branco a mezz’acqua, che potrà essere conclusa con il tiro oppure, se siamo abbastanza vicini al sommo o alla parete, con un breve aspetto. In tal caso, se non avremo allarmato troppo il branco, i barracuda si apriranno lentamente a ventaglio per poi tornare sui loro passi verso di noi, incuriositi, offrendoci l’opportunità del tiro.

Ci sono giornate in cui i barracuda appaiono particolarmente apatici e nervosi, refrattari a qualunque nostro tentativo di incuriosirli o avvicinarli. In questi casi ho notato che è possibile giungere a distanza di tiro ricorrendo alla tecnica dell’agguato: individuato da lontano il branco, di solito posto nei pressi del sommo, occorre immergersi a distanza, dalla parte opposta del sommo o, comunque, in posizione defilata.
Sfruttando la copertura offerta dalle rocce del fondale, si effettua un avvicinamento radente il cappello o la parete utilizzando la mano libera per muoversi silenziosamente, fino a sbucare a breve distanza dal branco di aluzzi. Qualora la distanza non consenta ancora il tiro, proveremo ad affacciarci lentamente ed a ritrarci verso una postazione che ci occulti parzialmente. Spesso questo aspetto finale, portato a distanza dal punto di presa di contatto con il fondo, può incuriosire anche le prede più apatiche ed è una tecnica che talvolta adotto anche insidiando prede come dentici e saraghi.

Ma l’agguato può dare buoni frutti anche pescando il barracuda in acqua bassa, anzi in genere è la tecnica che offre le maggiori possibilità di giungere a tiro del branco, di solito in caccia in pochissima acqua. Mi è capitato sovente, in questi ultimi anni, di catturare aluzzi anche in inverno, mentre insidiavo cefali e spigole nella schiuma del sottocosta attrezzato con schienalino e arbalete da 75 cm.

Un’ultima nota a proposito di questo vorace predatore riguarda le sue qualità gastronomiche: l’ho spesso assaggiato cucinato al forno con le patate e devo dire che non ha nulla da invidiare a prede molto più blasonate.

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