Alessio Parisi: una costante escalation
Alessio pronto per la gara – Foto © Alberto Balbi
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Sanremese doc, classe 1974, Alessio Parisi è uno degli atleti in crescendo degli ultimi anni. Dopo diverse stagioni nelle selettive, finalmente l’anno scorso è approdato ai Campionati di Seconda ottenendo un ottimo quarto posto finale, e quest’anno si è confermato con un quattordicesimo posto assoluto al recente Campionato di Prima Categoria, ottenuto a seguito di due giornate difficili, ma regolari. Ragazzo sempre disponibile e simpatico, Alessio ci ha concesso questa intervista in cui analizza il suo Campionato Assoluto e ci parla del suo modo d’interpretare la pesca in apnea.
Allora Alessio, cominciamo con la preparazione: come hai impostato la ricognizione del campo gara?
Non sono mai stato un grande preparatore, al contrario mi piace molto improvvisare, come ho quasi sempre fatto nelle selettive. Inoltre, avendo grossi problemi con frequenti infiammazioni alle tube, più sto in acqua a preparare e più aumenta il rischio di avere una forte ricaduta e, di conseguenza, di compromettere il Campionato per problemi di compensazione.
Diciamo che per questa importante prova ho diviso equamente il compito della perlustrazione col mio secondo, quindi… una buona metà della mia prestazione è anche merito suo. Abbiamo setacciato varie batimetriche, puntando l’attenzione soprattutto nella fascia che andava dai 13 ai 24 metri al massimo. Il campo presentava grandi distese di posidonia e grotto molto basso, con alcune lastre veramente belle ma poco frequentate. Magari un giorno ci vedevi un sarago, il giorno dopo era deserto, il terzo giorno si aggiravano 10 pesci sottopeso, il quarto una corvina. Insomma, sulla maggior parte dei punti potevi fare davvero poco affidamento, perché le prede erano troppo mobili. A quel punto mi è parsa chiara l’esigenza di impostare la gara su zone di ampio respiro, che mi avrebbero potuto permettere di pescare al razzolo come piace a me, evitando di perdere troppo tempo alla ricerca della singola pietra zeppa di pesce. Beato chi l’ha trovata!
Alessio Parisi col carniere della seconda giornata – Foto © Alberto Balbi
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Ci racconti la prima giornata di gara?
Come molti altri ho fatto la partenza al limite nord del campo gara per pescare a scorrere in corrente, visto che quest’ultima, durante tutta la preparazione, spirava verso sud. Mi sono buttato su una spaccatura in 14 mtri d’acqua dove avevo sempre visto stazionare un bel saragone. Naturalmente il pesce non c’era ed in più ho avuto la sgradita sorpresa di trovare la corrente che mi spingeva fuori.
A tal punto mi sono messo a pedalare e a razzolare qua e là, ma senza risultati apprezzabili. Poco dopo il mio secondo ha richiamato la mia attenzione e mi ha fatto notare che circa 200 metri più fuori c’erano un paio d’atleti che passavano prede a bordo con regolarità, così li ho subito raggiunti.
Erano Sirchia e Manciulli, che avevano già 2 o 3 pesci a paiolo. La cosa che mi ha lasciato perplesso è stato l’atteggiamento dei due atleti, che non appena sono arrivato al loro fianco hanno subito abbandonato la zona, dirigendosi altrove; anche dopo il primi tuffi, non vedendo una coda, ho avuto diversi pensieri. Il posto, comunque, era bello ed ho subito maturato la convinzione che cercando bene, magari buco per buco, avrei potuto sicuramente catturare qualcosa.
Pescare passando palmo a palmo una zona è un tipo di pesca che mi piace e che pratico spesso. Intuire, cercare d’interpretare il movimento del fondale, scoprire dove va a rifugiarsi il pesce attraverso piccoli indizi. Ci vuole una certa esperienza, è chiaro: così, con pazienza e meticolosità, armato di un viper 75 e fiocinella (un paio di tiri li ho fatti pure col 90 e la tahitiana sotto lunghe lastre), nelle ultime tre ore ho catturato sette saraghi di cui sei in peso [nda: il peso minimo delle prede era fissato in ben 400 grammi).
Un pesce in particolare mi ha veramente fatto tribolare prima diandare a fare compagnia alle altre prede in cavetto. Stava sotto una lastra in 20 mtri d’acqua circa, e tutte le volte che lo illuminavo con la torcia andava a nascondersi dietro un sasso, in un pertugio da cui mostrava solo la coda. Così ho deciso di sparare un colpo a vuoto per spaventarlo e farlo muovere: l’operazione è riuscita e al tuffo successivo lo vedevo abbastanza bene per tentarne la cattura. Purtroppo l’ho colpito basso e così il pesce si è strappato mentre cercavo di estrarlo, ma la fortuna e l’insistenza nella ricerca mi hanno premiato. Difatti, dopo pochi tuffi, l’ho ritrovato ferito un paio di metri più in là e così ho potuto portare finalmente a termine la cattura senza ulteriori difficoltà. Era un sarago di quasi un chilo, ne valeva la pena o no? Al termine della prima frazione mi sono classificato 14° nella classifica parziale.
Alessio Parisi in un momento di relax – Foto © Alberto Balbi
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E la seconda frazione?
Sono partito deciso su una zona in 13-14 metri d’acqua dove c’era una bella strada romana (una strisciata larga 30 metri e lunga circa 400 metri di pietre bianche) dove in preparazione avevo visto girare parecchi saragoni.
Durante la prelustrazione del campo gara, grazie all’acqua cristallina, vedevo sempre il branco fuori tana in una zona precisa ed io non li ho mai disturbati, pensando che in gara si sarebbero mantenuti nei pressi. Purtroppo, Barteloni mi ha anticipato d’un soffio e si è tuffato proprio sul punto. Dopo poco è risalito riferendomi che non c’era un pesce e si è spostato; a me la zona piaceva perché mi avrebbe permesso di pescare come voglio, così ho deciso di fermarmi ed esplorare tutta l’area con calma e pazienza, in perfetta solitudine.
Dopo una ventina di minuti ho messo a paiolo un bel grongo e poi, cercando cercando, sono arrivato sulla lastra dove in preparazione avevo visto girare i saraghi. Come Barteloni l’ho trovata desolatamente vuota, ma poco più in là, ad una trentina di metri di distanza, sono riuscito ad individuare un bel punto. Si trattava di una tana lunga nella quale dovevo addentrarmi completamente, per poi girarmi verso sinistra per raggiungere un punto dove stazionavano diversi saraghi nervosi. Dovevo sparare alle ombre, perché accendendo la lampada i pesci fuggivano in punti della tana completamente inaccessibili.
Data la situazione, ho deciso di prendermela con calma. Sono entrato, ho sparato ad un primo pesce e sono poi uscito a ritroso. Ho iniziato a razzolare mezz’ora intorno alla tana per far calmare le prede rimaste al suo interno, successivamente ho ripetuto la stessa operazione.
In circa tre ore e mezza, con questa tattica, ho catturato 4 pesci di cui solo 3 in peso (due saraghi da chilo ed uno sui sei etti) che, sommati al grongo, mi hanno fatto toalizzare quattro prede valide per specie, che hanno confermato il mio quattordicesimo piazzamento parziale, assicurandomi la permanenza in prima categoria. Insomma, sono contento.
Ecco il grongo inusitato.
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A proposito di quel grongo: era enorme! Ci racconti la cattura?
E’ stata una cattura relativamente facile e decisamente inaspettata. Stavo controllando una lastra buia e profonda sui 14 metri circa, quando ho visto il muso del grongo venirmi incontro e poi ritrarsi. Ho illuminato bene la testa del pesce e l’ho stimato sui 4/5kg. Avevo il Viper 75 con la fiocinella caricato alla massima potenza e gli ho sparato in mezzo agli occhi. A quel punto sono rimasto sorpreso dalla reazione. In pratica ho afferrato il nylon per tirarlo a me ed in definitiva sono finito io verso lui!! Mi sono sentito tirare all’interno dal serpentone, capace di esprimere una forza davvero notevole. Non potendo mollare il fucile per l’elevato rischio di perderlo tra quei mille anfratti ho deciso di dare uno strattone secco, pensando ‘o la va o la spacca’. Con sorpresa, il serpentone è venuto fuori passandomi sotto la pancia e a quel punto, una volta fuori, è stato tutto più semplice. Infatti, l’ho portato a galla e l’ho doppiato, bloccandolo definitivamente. Certo che era proprio grosso: pesci di 14/15 chili come questi non è facile trovarli. Anch’io al massimo ne avevo catturati di 7/8 chili in precedenza, questo mi ha fatto una certa impressione.
Che attrezzatura hai usato?
Per quanto riguarda la muta, i calzari ed i guanti sono sponsorizzato dalla Tecnoblu di Scelfo, col quale ho un forte rapporto d’amicizia da tempo. I suoi capi sono comodi e resistenti e mi ci trovo a mio agio. Per quanto riguarda i fucili mi viene da sorridere: infatti ho due Viper 75cm che avranno quindici anni. Poi un Beauchat 90cm in carbonio, un Apache 100 ed infine un Totem 120. Dimenticavo: anche un ministen. Come vedi, tutti fucili differenti ma con i quali personalmente non ho alcun problema d’incompatibilità. Gli arbalete li equipaggio sempre con gomme da 20mm; nei corti monto un’asta filettata da 7mm che sporge di pochissimo dalla testata armata con la fiocina k4, mentre sui modelli da 90 e 100 cm monto aste da 6,5mm monoaletta. Sul 120 che uso per l’aspetto al dentice, invece, ho un’asta da 6,5mm con doppia aletta.
Che tipo di pescatore ritieni d’essere?
Credo d’essere un pescasub un po’ differente rispetto allo stereotipo. Ad esempio, d’inverno non pesco quasi mai in schiuma perché non mi piace, ma preferisco spostare la mia attenzione un po’ più al largo tra gli 8 ed i 15 metri, andando molto a segnale sul grotto davanti a S. Remo. Un tuffo qua sui saraghi, uno là su una zona di corvine e così via. Amo molto razzolare, difatti i miei carnieri invernali sono abbastanza variegati. Sempre a differenza di quanto fanno molti colleghi, d’estati amo le lunghe pinneggiate al razzolo, inventando e cercando posti nuovi; altrimenti pesco all’aspetto i dentici. Da noi non ce ne sono molti e difficilmente si incontrano esemplari di grosse dimensioni, ma con un po’ d’esperienza si possono fare buone catture. Io batto le secche del Moro e del Pertuso, quasi al confine con la Francia, o anche più vicino casa, sulla secca di S.Stefano.
Le catture di Alessio Parisi, atleta Tecnoblu:
Sarago 1.450 kg.
Corvina 2.200 kg.
Marvizzo 2.900 kg.
Cernia 8 kg.
Leccia 12 kg.
Ricciola 4 kg.
Orata 3.500 kg.
Palamita 8 kg.
Spigola 4 kg.
Dentice 3.600 kg.
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