Alcuni sportivi vogliono un Parco Marino per difendere le Secche di Vada
Le secche di Vada sono un esteso comprensorio roccioso posto a circa 4 miglia al largo dell’omonima cittadina – tra Cecina e Rosignano, in provincia di Livorno – che si estende intorno all’omonimo faro per un raggio di un paio di chilometri. Con profondità variabili dai 3 ai 40 metri, le secche di Vada costituiscono un habitat di elezione per numerose specie ittiche, ed è da sempre una meta molto frequentata da pescatori, bagnanti e diportisti, sia residenti che turisti. Una zona così particolare è sempre stata oggetto delle attenzioni della pesca professionale, particolarmente di quella a strascico e non solo locale, che l’ha sovrasfruttata al punto di rendere necessarie delle misure urgenti di tutela di quest’area. Nasce così dall’idea di 3 pescatori sportivi livornesi (Marco Vicidomini, Massimo Battini e Christian D’Oria) l’iniziativa “Salviamo le Secche di Vada”, una pagina Facebook che nelle intenzioni dei promotori dovrebbe associare il maggior numero di pescatori amanti del mare per spingere le istituzioni a creare un’oasi/parco protetto attorno al faro di Vada, un “polmone blu” in cui i pesci possano riprodursi indisturbati senza la pressione di professionisti e dilettanti.
Fatta salva la nobiltà dei propositi, non possiamo non esprimere qualche perplessità sugli effettivi risultati che una simile proposta – certamente nobile negli intenti – potrebbe ottenere. La tutela delle zone protette in Italia, infatti, deve fare i conti con la congenita incapacità di assicurare controlli adeguati.
Non siamo i soli a ritenere che sarebbe virtualmente impossibile garantire controlli efficaci in un parco marino posto a ben 4 miglia dalla costa, soprattutto di notte, e che questo aspetto, da solo, finirebbe per generare un paradosso: in luogo di un’oasi per i pesci, si creerebbe un’oasi per i bracconieri, che non solo potrebbero agire indisturbati, ma finirebbero per essere attratti dalla prospettiva di poter pescare in zone disertate dala generalità delle persone, quelle che le leggi le rispettano.
Inoltre, chi come noi il Mare lo frequenta con la testa sott’acqua non può non rilevare come la distruzione sistematica delle risorse non può essere fermata con la proliferazione di piccole aree protette, specie se mal controllate, ma solo con una ridefinizione delle modalità di prelievo della pesca professionale, che non soggiace al limite dei 5Kg al giorno e che impatta sugli stock ittici in misura direttamente proporzionale alla capacità di pesca degli attrezzi utilizzati. Se si abolissero completamente tecniche devastanti quali il cianciolo e si limitasse lo sforzo di pesca rivedendo anche le modalità di esercizio della pesca con altre tecniche quali strascico, palangari e reti da posta, il Mare tornerebbe a pullulare di vita nel volgere di pochi anni.
Sappiamo bene che gli interessi in ballo e la forza delle lobby della pesca professionale rendono molto difficile un simile passo, ma non è tentando di creare piccole oasi di vita nel deserto che potremo invertire il processo degenerativo che sta distruggendo il Mare Nostrum.
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