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Alberto March, campione di pesca in apnea

| 5 Aprile 2001 | 0 Comments

 

Alberto March

Apnea Magazine – Per prima cosa: come stai dopo i problemi accusati durante l’ultimo mondiale? Cosa è successo a Tahiti?

Alberto March: A Tahiti ho accusato un malore dovuto ad un problema di decompressione. Ho appena terminato un ciclo di esami e test con il dott. Luca Bartoli, il dott. Massimo Malpieri e l’equipe dell’Università di Perugia, e adesso mi sento molto sollevato.

Questi esami servivano ad individuare eventuali malformazioni fisiche potenzialmente pericolose per l’attività che svolgo e che potessero spiegare i malori che ho accusato più volte. Fortunatamente, tali esami hanno dato esito negativo, quindi sono sano come un pesce.

In sostanza, è stato appurato che i problemi di decompressione non sono un fenomeno circoscritto al mondo delle immersioni con ARA, ma possono riguardare, in certe circostanze, l’immersione in apnea.

Immersioni in profondità a ritmi esasperati protratte per molte ore portano ad un accumulo di azoto nei tessuti, analogamente a quanto avviente durante le immersioni con le bombole.

A Tahiti, dopo una prova estenuante di ben 6 ore ed un breve recupero, il mio fisico ha raggiunto il limite e durante la seconda ora di gara del giorno successivo, ho accusato il malore. L’importante è che adesso sto bene, non ho subito alcuna conseguenza né danni che possano in alcun modo precludere un prosieguo della mia attività agonistica.

Dopo il periodo di riposo imposto dai medici, ricomincero’ ad allenarmi, ma questa volta non più da autodidatta ma seguendo le direttive del dott. Luca Bartoli, preparatore del Team Omer di cui faccio parte. Siamo tutti convinti che con un allenamento improntato a rigorosi criteri scientifici e con una alimentazione adeguata potrò tornare ad esprimermi al meglio senza alcun problema ed in breve tempo.

 

Alberto March con Giorgio Volpe, responsabile di Apnea Magazine

Questa importante scoperta porterà dei cambiamenti nel regolamento delle competizioni agonistiche? Saranno imposti anche limiti di profondità?

Inevitabilmente. Le giornate di prova dovranno essere intervallate con altre di riposo, in modo da consentire lo smaltimento dell’azoto in eccesso. Inoltre, la durata delle singole prove dovrà essere necessariamente ridotta. Le sei ore attuali sono anacronistiche, penso che al massimo si possano prevedere 4/4,5 ore. Imporre dei limiti di profondità è assurdo: alcuni anni fa, Pedro Carbonell accusò un malore di qusto tipo pescando in soli 22 metri.

Il problema non è la profondità in sé, quanto il tempo di permanenza sul fondo rapportato ai tempi di recupero in superficie tra un tuffo e l’altro. Questi tempi di recupero in gara si assottigliano necessariamente, per cui l’unica soluzione possibile è quella di diminuire il tempo della prova e di distanziare le giornate di prova.

Spagna, Italia e Francia si sono sempre distinte dalle altre nazionali per la loro capacità di adattarsi ad ogni tipo di fondale, compreso quello oceanico. Ma la Spagna oggi vive un grande momento e si ritrova una spanna al di sopra delle avversarie storiche. Quali sono le ragioni di questa superiorità?

Marco Bardi e Alberto March

Credo che la Spagna abbia una grande base agonistica cui attingere e due pilastri, rappresentati da me e Pedro Carbonell.

C’è anche un terzo pilastro, Pepe Vina, che però è principalmente uno specialista della pesca oceanica in determinate condizioni e che non sempre riesce ad adattarsi in altre situazioni.

E’ importante chiarire che sussiste una grande differenza tra gli atleti continentali e quelli majorchini. Questi ultimi sono sicuramente superiori sotto tutti i punti di vista, grazie principalmente al fatto che su quest’isola vive uno dei più grandi campioni mai esistiti, quel Pepe Amengual che è stato un grande maestro per tutti noi.

“Maestro” non tanto nel senso che ci ha insegnato a pescare, quanto nel senso che ci ha sempre fornito il metro con cui misurarci, che ha sempre rappresentato per noi l’uomo da battere.

Io e Pedro Carbonell siamo cresciuti agonisticamente nel momento in cui Amengual, pur essendo ancora ad un ottimo livello, cominciava la sua parabola discendente. In quel preciso momento, noi avevamo 18-19 anni, l’età giusta per apprendere e crescere rapidamente. Insomma, il caso ha voluto che io e Pedro ci trovassimo nel posto giusto al momento giusto. Nel pieno delle forze, in un età in cui si apprende rapidamente e con un punto di riferimento come Amengual siamo cresciuti al meglio; se allora io e Pedro avessimo avuto 30 anni, non avremmo certamente potuto raggiungere prestazioni di così alto livello.

Mentre Pedro cresceva alla corte di Amengual, suo zio, io maturavo esperienze da completo autodidatta, trovando stimoli nella competizione con lui. Credo che anche questo aspetto abbia giocato un ruolo importante nella crescita della squadra spagnola. La competizione continua tra noi due ed il diverso patrimonio di esperienze ci hanno consentito di imparare l’uno dagli errori dell’altro e di costruire insieme la forza della nazionale.

Abbiamo capito sin dall’inizio che la nostra rivalità doveva limitarsi alle competizioni nazionali e che le gare internazionali non si potevano vincere senza una totale collaborazione.

Di conseguenza, non abbiamo mai avuto problemi a delineare insieme la strategia di gara della nazionale ed il nostro rapporto nella nazionale è stato costantemente improntato alla massima lealtà e cooperazione.

Marco Bardi e Alberto March all’Argentario

Del resto, siamo coscienti di essere allo stesso livello, per cui sarebbe controproducente fare altrimenti, anche perché le altre squadre avrebbero gioco facile e potrebbero batterci.

Forse è questo il vero punto di forza della nostra nazionale: io e Pedro sappiamo che non ha importanza chi di noi due vince, l’importante è che vinca la squadra. Forse sotto questo aspetto Pepe Vina si distingue, in quanto tende ad essere un po’ più individualista.

Beh, questi sono i vostri punti forti. E i punti deboli delle altre squadre quali sono?

Credo che un primo punto debole sia il ruolo giocato dai capitani. Un capitano, secondo me, deve occuparsi della logistica, provvedere ai trasferimenti della squadra, curarsi della qualità di vitto e alloggio e di molti altri aspetti organizzativi, aiutare gli atleti in mare e coordinare la preparazione per capire meglio il da farsi.

Non dovrebbe prendere decisioni in merito alla stragegia di gara individuale, ai luoghi di pesca o cose del genere. Mentre in sport come il calcio il capitano può tranquillamente assumere tutti gli elementi di valutazione necessari all’impostazione di una strategia, nella pesca subacquea le cose stanno un po’ diversamente. Il capitano non vede il fondale, non vede i pesci e soprattutto non ha elementi di prima mano per valutare l’attitudine dei singoli atleti in relazione al campo di gara.

In sostanza, puo’ prendere decisioni solo sulla base di cio’ che gli viene riferito dagli atleti e questo non è bene.

Un capitano, per come la vedo io, non potrà mai elaborare una tattica di gara meglio dei propri atleti.

Un’altro aspetto importante è che la scelta dei titolari andrebbe fatta prima della partenza in modo da consentire agli atleti di prepararsi adeguatamente sia a livello fisico che psicologico.

I titolari per una nazionale, vanno scelti in base a più parametri.

Nella pesca subacquea, gli atleti più forti sono quelli che nel corso degli anni dimostrano un rendimento costante. Nella scelta della formazione è fondamentale privilegiare la regolarità delle prestazioni, non tanto il risultato in sé, soprattutto se isolato ed ottenuto in acque familiari.

Ottenere un piazzamento nei primi 5 per almeno 3 anni consecutivi è segno inequivocabile di valore agonistico; vincere un campionato può significare poco, soprattutto se lo si vince nei fondali di casa propria. Nel caso di un giovane emergente, invece, anche dopo un solo ottimo piazzamento si può decidere di inserirlo come riserva, consentendogli così di prendere contatto con la realtà delle competizioni internazionali e di fargli fare esperienza.

Per quanto riguarda l’Italia, credo che un ruolo di primo piano lo giochi il fatto che quasi tutti i suoi atleti più importanti, per motivi di lavoro, non possono dedicare più di tanto tempo all’allenamento e alla preparazione dei Campionati importanti, mentre noi ci alleniamo costantemente.

Il nostro CT, sul valore della classifica del campionato italiano, la pensa allo stesso modo. Sicuramente la regolarità delle prestazioni è un elemento importantissimo, ma ci sono le eccezioni che confermano la regola. Mazzarri, ad esempio, non ha mai vinto un campionato Italiano assoluto, eppure ha saputo regalare ben tre titoli mondiali al nostro paese.

Mazzarri è un grande campione che si è saputo distinguere soprattutto per il grande senso tattico. Indubbiamente, resta uno dei più grandi campioni di tutti i tempi, ma credo che i suoi successi siano da attribuire più alle sue grandi attitudini di stratega che non alla sua preparazione fisico/atletica.

Ti diro’ di più: credo che la strategia nel nostro sport sia stata inventata proprio da Mazzarri e dal suo capitano, Gianfranco Giannini – pescatore prima che CT.

Quando Mazzarri e Giannini abbandonarono la scena delle competizioni, lo strapotere della nazionale italiana venne meno, anche perché Spagna,Francia e molte altre squadre si sono adattate ai metodi di preparazione e alle strategie. Così, sono riuscite a livellare le differenze che esistevano, e la Spagna ha finito per prevalere sia sul piano fisico che su quello organizzativo.

Nonostante vi figurino atleti di grande valore, credo che al giorno d’oggi squadre come l’Italia e la Francia abbiano chances di vincere un campionato del mondo in casa, difficilmente in altre circostanze.

 

Carniere da campioni del mondo

In Spagna la pesca subacquea conosce un momento di grande popolarità. In Italia, purtroppo, non si può dire che le cose vadano allo stesso modo. Ma l’Europa, molto probabilmente, unirà le nostre sorti sotto forma di una regolamentazione omogenea della disciplina. Come vedi il futuro europeo della pescasub?

Penso che il futuro della pesca subacquea sia positivo. Sinceramente, negli ultimi anni, nonostante tutti i problemi, ho visto chiari segni di miglioramento. Pescare dieci anni fa era senz’altro più difficile. Oggi ci sono società che organizzano manifestazioni agonistiche con competenza e professionalità molto più più che in passato, esiste un mercato molto vivace: tutti chiari segni di un trend positivo.

Per garantirci un futuro, in ogni caso, noi subacquei dovrenmmo cercare di essere uniti, mettendo da parte le rivalità di campanile. Oggi è estremamente facile attaccare la nostra disciplina, anche perché non c’è un organismo che ci rappresenti in modo unitario e che possa controbattere alle false accuse che ci vengono costantemente mosse da un certo tipo di pseudo-ambientalismo.

Il non poter far sentire la nostra voce è doppiamente controproducente. Da un lato, non si fa chiarezza sulla realtà dei fatti, ossia del reale impatto ambientale della pescasub, specialmente in rapporto a tutto l’indotto in termini di produzione e turismo generato. In secondo luogo, il nostro nasconderci equivale ad una mezza ammissione di colpevolezza, perché chi manca di rispondere alle accuse che gli vengono mosse e si rifugia nel silenzio non da certo l’impressione di esserne estraneo.

Questo stato di cose è estremamente grave e deve cessare. La pesca subacquea è la forma di prelievo ittico a minor impatto ambientale esistente al mondo, ed anche la più selettiva. Prendiamo pesci già adulti, che hanno già effettuato più cicli riproduttivi, li catturiamo uno ad uno, solo quando le condizioni meteomarine lo permettono e solo se possiamo contare su un minimo di preparazione fisica. Se la pescasub fosse l’unica forma di prelievo il mare sarebbe zeppo di pesce! Per questi motivi, proprio non capisco perché si debba attaccare il nostro sport.

Cosa vorresti dire ai nostri visitatori?

Vorrei lanciare un appello a tutti gli appassionati di caccia subacquea. Mettiamo da parte le rivalità regionali e nazionali, cominciamo a pensare di essere parte di un’unica comunità. Siamo tutti fratelli del mare, accomunati da una grande passione e dal desiderio di vivere la nostra esperienza subacquea nel modo più diretto e naturale. Se non saremo uniti diverremo facile bersaglio per i nostri detrattori e non saremo in grado di opporre loro un’adeguata resistenza.

La Omer e Marco Bardi, mi hanno invitato allo stage di Grosseto e la cosa mi ha fatto immenso piacere: in gara siamo tutti rivali, ma al di fuori delle competizioni siamo un’unica grande famiglia.

Anche in questa giornata di lezioni, hanno dato prova di condividere pienamente questo punto di vista e hanno dedicato del tempo a divulgare l’importanza dell’aggregazione e dell’ essere tutti uniti e parlare lo stesso linguaggio, dedicando tempo alla cultura, all’educazione e alla ricerca scientifica.

 

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