Agonista per caso: Giuseppe Covato
Giuseppe Covato, siciliano, classe 1971, una figlia di 5 anni (‘a vita mia, come la definisce lui) è arrivato tardi all’agonismo e, tutto sommato, anche alla pesca in apnea; malgrado ciò è già riuscito a prendersi qualche bella soddisfazione, compresa la partecipazione al
Campionato di prima categoria dello scorso anno.
A Rosolini (SR), dove è nato e vive, ha la fortuna di avere a portata di mano, sarebbe più giusto dire di gommone, la zona di Porto Palo di Capopassero, una delle più interessanti per la pesca di tutta la Sicilia, teatro di diversi campionati italiani.
Quando gli proponiamo di raccontarsi ai lettori di Apnea Magazine sembra essere in imbarazzo.
Ecco cosa ci ha risposto quando gli abbiamo chiesto il perché.
Ho un carattere abbastanza riservato e mi trovo a disagio quando devo parlare di quello che faccio; non mi piace mettermi in mostra soprattutto con le persone che non conosco; magari poi faccio le stesse cose che fanno gli altri e alcune volte anche di più ma le considero cose normali e non vorrei dare l’impressione dello spaccone.
Una bella pescata (Foto G. Muratore)
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Quando hai scoperto di essere un pescatore e un agonista?
Ho cominciato decisamente tardi; da bambino avevo paura pure dell’alghetta che trovavo sul bagnasciuga e non sapevo nuotare bene; la svolta è stata quando ho indossato la prima maschera e ho iniziato a rincorrere le prime mormore sulla sabbia.
A pescare ho iniziato a 19 anni da autodidatta con un 50 oleopneumatco e tra i compagni di allora ero già quello che se la cavava meglio.
A 25 anni ho iniziato anche la strada dei brevetti ARA, conseguendo I, II e III livello, mi avrebbero fatto comodo per guadagnare punteggio per eventuali concorsi; così mi sono tesserato per un circolo della mia città che organizzava i corsi; è stato il primo passo verso l’agonismo a cui non pensavo affatto.
E’ stato lì infatti che ho conosciuto Gianni Muratore, il nostro presidente, che a furia di essere battuto in tutte le gare sociali che organizzavamo, ha cominciato a spingermi a partecipare alle prime selettive.
Per alcuni anni mi sono limitato a partecipare solo alle gare che si svolgevano in provincia di Siracusa, un paio l’anno, senza nessuna velleità di fare il salto verso i campionati maggiori; poi nel 2003 la decisione di provarci seriamente e i risultati sono arrivati subito.
Due terzi posti, un quarto ed un sesto mi hanno dato la qualificazione al campionato di II categoria del 2004, disputato a Porto Cesareo dove mi sono classificato dodicesimo con un nono posto nella prima giornata ed una seconda frazione strategica.
Era il salto nell’agonismo che conta, la possibilità di confrontarmi con i più forti pescatori d’Italia e mi ero preparato in maniera meticolosa; poi invece nella vita accadono cose che non ti aspetti e così il Campionato assoluto del 2005 è stata una catastrofe ma a Torre S. Giovanni io non c’ero, soprattutto con la testa.
Quest’anno ci riprovo.
Mi reputo un pescatore costante, in grado di fare un buon piazzamento in tutte le competizioni, mi rendo però conto che mi manca quel qualcosa in più che mi impedisce di fare il salto di qualità; non saprei dire se si tratta di una questione tecnica, essendo un autodidatta, o di mancanza di esperienza nel settore agonistico che frequento da quattro anni.
Giuseppe Covato a sinistra e il suo mentore Gianni Muratore (Foto G. Muratore)
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Come concili lavoro e passione?
Innanzi tutto mi ritengo fortunato ad avere un posto di lavoro stabile e accetto di buon grado i grossi sacrifici che sono costretto a fare; dal 1991 sono agente di polizia penitenziaria e lavoro a Catania; non me la sono sentita di spostare la famiglia e quindi faccio il pendolare.
Compatibilmente con le esigenze di lavoro vado a mare almeno 1 volta a settimana ma può anche capitare di stare un mese lontano dall’acqua salata; anche in questi casi però mi accorgo di riuscire a mantenere una buona condizione fisica.
Le mie battute di pesca sono delle vere e proprie maratone, 6-8 ore di fila in acqua, esco solo quando mi sento appagato e non mi riferisco alle catture, come se dovessi ritornare in mare chissà quando.
Quale tecnica prediligi?
Mi piace tantissimo la pesca all’agguato, mi diverte proprio!
Durante l’anno però pesco prevalentemente in tana perché nelle competizioni è la tecnica che rende di più e quindi devo allenarmi.
E poi le prede che preferisco sono cernie e corvine, pesci che, in maniera prevalente, si pescano in tana.
Covato con Bellani (Foto G. Muratore)
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Qual’è il tuo fucile preferito?
Utilizzo esclusivamente arbalete anche nelle misure corte, li preferisco agli oleo per la leggerezza, la precisione nel tiro e la sensibilità del grilletto; per recuperare qualcosa in potenza uso sempre elastici un po’ più corti della misura standard.
Il fucile che uso di più è il 75 con gomme accorciate, ogiva senza boccole e testata normale; monto sempre un mulinello di diametro ridotto, rifilando quello di serie o uno universale, in questo modo riesco a farlo entrare nelle fenditure senza ingombro e con minor rischio di rumorosi urti contro la roccia.
Lo ritengo un arma estremamente versatile, lo infilo in tana senza grossi problemi e molte volte, se arrivando sul fondo non avvisto nessun pesce sfilare dentro qualche spacca, completo l’azione di pesca col l’aspetto; con questa tecnica catturo parecchie prede compreso qualche diffidente dentice.
E poi?
Uso molto anche il 90 facendo lo stesso tipo di pesca che faccio con il 75 ma invertendo l’azione, ovvero facendo prima un aspetto o un agguato ma se vedo il pesce in tana sparo ugualmente anche in fessure a volte così strette che mi chiedo come abbia fatto ad entrarci il fucile; su questo fucile uso gomme ambra da 20 e aste da 6.3 mm di diametro, monoaletta e senza tacche.
Per la pesca ai pelagici e a quel malefico predone che è il dentice (che spesso mi fa impazzire) uso un 110 con testata aperta, elastico circolare da 20, asta da 6.3 doppia aletta e senza tacche; non lo uso tantissimo ma dalle mie parti ci sono parecchie risalite che non hanno spacchi e dove si possono incontrare i predoni.
Ultimamente, nelle lastrine in acqua bassa, uso molto anche le misure corte, sempre ad elastici, come il 60 o il 50 armati con fiocinetta; mi permettono un tiro veloce e corto su pesce bianco in movimento in tana o appena affacciato allo spacca.
Il carniere di Covato al campionato di prima categoria (Foto G. Muratore)
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E il resto della tua attrezzatura?
Per la muta utilizzo neoprene liscio/spaccato per la giacca, sono capi caldi, confortevoli non costringono il torace durante la respirazione; per i pantaloni invece preferisco il neoprene foderato/spaccato, più resistente ai tagli; gli spessori sono ovviamente in funzione della stagione, in inverno giacca da 6,5 mm e pantalone da 5 mm con aggiunta di un bermuda a vita alta da 2 mm.; in estate giacca da 5 mm e pantalone da 3.
Anche guanti e calzari seguono le stagioni, non riesco a farne a meno nemmeno in estate e tutto sommato credo che faccia bene a proteggere sempre anche le estremità.
Per quanto riguarda la colorazione uso quasi sempre il nero malgrado creda nella funzione del mimetismo; ci vorrebbe però un mimetico diverso per ogni tipo di fondale e una colorazione non adeguata sarebbe addirittura controproducente quindi meglio il nero per tutte le occasioni.
Le mute le utilizzo fino a ridurle ai minimi termini, alla fine sono piene di toppe ma mi piacciono le cose usurate, sanno di vissuto e mi ricordano qualche bella cattura.
La cintura è un fai-da-te realizzato con robuste camere d’aria di camion (finché se ne troveranno), economiche ed indistruttibili; non uso schienalino perché mi da fastidio sentire il piombo che fa su e giù durante la capovolta, per pescare in poca acqua preferisco usare una seconda cintura che metto molto alta, sul torace come fanno anche Francesco Accolla e Concetto Felice che in questa pesca sono sicuramente due maestri.
Infine le pinne; ho usato il tecnopolimero fino allo scorso anno provandone parecchie anche con grande soddisfazione per confort e prestazioni, soprattutto con i vari modelli Cressi, ma da quando ho scoperto il carbonio non torno più indietro; unica eccezione quando pesco in acqua bassa, in quel caso uso delle BAT OMER ma solo per non rischiare di danneggiare le pale in carbonio, sicuramente più delicate.
Una bella cernia catturata ad inizio anno (Foto G. Muratore)
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Come utilizzi la torcia per la pesca in tana?
La torcia la porto quasi sempre con me, al polso o in cintura, tenuta davanti tra la cintura stessa e la muta; la maggior parte delle volte l’accendo solo dopo avere sparato.
In tana infatti cerco di sparare al pesce senza usarla, l’accendo solo se proprio non posso farne a meno; mi capita anche di utilizzarla come richiamo accendendola e spegnendola, la grossa cernia della foto l’ho catturata proprio in questo modo.
L’avevo vista infilarsi in uno spacco in una zona di grotto che finisce sulla sabbia; l’ho cercata meticolosamente per circa mezz’ora e alla fine ho trovato lo spacco da cui faceva capolino ma appena accendevo la torcia lei si tirava indietro.
Alla fine sono sceso infilando fucile e torcia, ho acceso e il pesce non si vedeva, ho spento la torcia lasciando passare qualche secondo e quando ho riacceso lei stava per riaffacciarsi, sicuramente incuriosita dal lampeggio.
Il pesce ormai è sempre più diffidente e per fare carniere bisogna migliorarsi ad ogni uscita cercando di escogitare ogni volta qualcosa di nuovo.
Covato e la sua cernia (Foto G. Muratore)
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Adesso immagina di essere comodamente in poltrona con tua figlia sulle ginocchia, decidi di raccontarle una storia di mare, la tua cattura più bella.
L’estate era agli inizi ed il mare calmo come olio; sto esplorando una nuova zona di grotto abbastanza profondo.
Pesco all’aspetto ma i tre grossi saraghi che ho davanti rimangono tranquilli fuori dalla portata del mio fucile; penso che ne prenderò qualcuno al prossimo tuffo vista la loro esagerata tranquillità e le caratteristiche della zona, sicuramente farà tana.
Appena iniziata la risalita sento dietro le mie spalle lo schioccare di un suono secco, metallico e di grosso volume d’urto ma non riesco a vedere cosa possa averlo procurato; incuriosito pedagno la zona e mi preparo per una nuova capovolta.
Penso già a due possibili prede: il dentice o la cernia.
Inizio la capovolta in direzione opposta a dove avevo avvistato i tre grossi saraghi; fortunatamente la visibilità è discreta e dopo i primi metri riesco ad osservare bene il fondale; cerco di percepire qualsiasi movimento con tutti i miei sensi ed avverto un’ulteriore scodata, questa volta più dolce.
Mi giro in quella direzione e noto una conca di sabbia come tante altre, al centro una spolverata di sabbia a forma di U; mi avvicino verso il salto del grotto e inizio a scorrerlo, adesso sono sicuro che sia una cernia, di che dimensioni non lo so ancora.
Il grotto adesso si alza dalla sabbia e forma un tettuccio, allungo il fucile ma non riesco ancora a vedere niente poi, nella penombra, noto il biancore delle due grosse orbite degli occhi della cernia che riflettono la luce esterna, mi allungo ulteriormente, miro in mezzo ad esse e sparo.
Nessun movimento, tiro la sagola e l’asta diventa pesante, dal grotto esce un bellissimo pesce di quasi 15 chili.
Mia figlia mi guarda sorridendo, batte le mani e mi dice ‘Bravo papà’.
Oltre alla pesca in apnea quali sono i tuoi hobby?
Mi muovo tantissimo; quando non posso andare in mare vado in piscina oppure in palestra a fare spinning; mi piace molto anche correre, preferibilmente in aperta campagna verso la quale ho un passione particolare; nei periodi giusti adoro andare a raccogliere asparagi e lumache, soprattutto quelle grosse che noi chiamiamo ‘crastuna’, una passione che ho ereditato da mio nonno che in questo è stato il mio paziente maestro; ogni tanto riesco anche a leggere qualche libro.
Ma la pesca per me rimane la passione più grande; mi rilassa, mi stanca, mi da soddisfazione, sono soddisfatto di quello che faccio in acqua, mi fa dormire bene la notte e mi ha aiutato a superare alcuni momenti davvero difficili che ho passato lo scorso anno.
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Category: Articoli, Interviste, Pesca in Apnea
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