A pesca di dentici sul grotto laziale
Daniele Colangeli, autore dell’articolo – Foto: A. Balbi
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Quando mi avvicinai per la prima volta alla pesca in apnea, lo feci con quell’entusiasmo che contraddistingue ogni giovane neofita. Il problema era che, nonostante diversi avvistamenti di prede interessanti, non riuscivo ad attuare una tecnica di avvicinamento efficace capace di regalarmi la tanto agognata cattura con la C maiuscola.
Poi, un magico giorno di settembre, durante una battuta di pesca incontrai una bella orata che pascolava tranquilla. L’acqua era molto pulita e nello spazio che mi separava dallo sparide non c’erano ripari idonei ad occultare la mia figura in un eventuale tentativo un’avvicinamento. Non mi diedi per vinto e così, per non sapere né leggere né scrivere, smisi di pinneggiare e mi immobilizzai, iniziando una lenta discesa verso un ciuffo di posidonia. Il piano era quello di sfruttare quel minimo riparo per tentare un avvicinamento, ma l’astuzia funzionò talmente bene che l’orata suicida si precipitò verso di me con nuoto deciso, senza darmi neanche il tempo di uscire dal riparo. Istintivamente mi schiacciai un po’ sul fondo, incuriosendola ulteriormente. Ecco che il pesce si avvicina, manca poco …. ormai è a tiro e il dito si contrae sul grilletto, scocco il tiro e…. vedo l’asta uscire appena dalla testata, e la fiocina montata sulla sua punta sfiorare il corpo del pesce. Purtroppo mi ero dimenticato il riduttore inserito alla minima potenza!
La cosa momentaneamente mi disturbò molto, ma evidentemente quell’esperienza spiacevole non poteva essere rimossa. Durante il rientro in auto da S. Marinella a Roma, infatti, le immagini della mancata cattura continuavano a tornarmi in mente come un film, fino a che, all’altezza di Palidoro, l’illuminazione che cercavo da tanto tempo si materializzò nella mia mente, chiara come l’acqua di quel raro giorno di settembre.
In quel periodo andavo in mare con costanza, ma non sapevo nulla di riviste o siti specializzati e per questo ero piuttosto a digiuno di informazioni sulla disciplina. Il mio compagno di pesca un compagno di partite di tennis che ne sapeva, se possibile, ancora meno di me. Quando lo incontrai ero ancora eccitato per l’illuminazione, invece di salutarlo esclamai: “L’aspetto!”. “Cosa?”, rispose con aria interrogativa. “Il pesce!”, risposi, esponendo la mia esperienza appena trascorsa già trasformata in teoria.
L’aspetto è la tecnica regina per insidiare il dentice – Foto: A. Balbi
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Da quel giorno, cominciai a dedicarmi a questa “mia nuova tecnica” con molta determinazione, tanto da riuscire in poco tempo a catturare un po’ tutti i tipi di pesce presenti lungo le coste laziali quali saraghi, corvine, spigole, orate e dentici.
Proprio il dentice, dopo diversi avvistamenti e catture, è diventato uno dei miei pesci preferiti: la sua regalità, la sua imponenza ed il suo atteggiamento grintoso mi spingono spesso a dedicargli diverse ore della battuta di pesca.
La presenza di dentici nelle acque laziali è molto interessante, e al contrario di quanto si possa immaginare è tutt’altro che casuale. Infatti, questo nobile predatore trova ai margini delle cigliate una notevole presenza di mangianza durante tutto l’arco dell’anno. Inoltre, proprio la caratteristica del fondale di grotto di digradare molto lentamente offre al dentice la possibilità di cacciare in un territorio molto vasto, mantenendolo spesso a quote non impegnative per il pescatore in apnea.
I periodi migliori per incontrarli con una certa frequenza vanno da fine marzo fino a tutto novembre per la zona di S. Marinella, mentre per Ladispoli e Montalto le migliori chance di cattura si hanno da meta giugno fino a tutto ottobre. Ho notato che il dentice non ama l’acqua fredda e il termoclimo, di conseguenza nel periodo invernale, specialmente se le piogge sono state abbondanti, il suo incontro sarà molto casuale, ma non impossibile.
Per ragioni logistiche, negli ultimi cinque anni ho concentrato la mia attenzione nel tratto di mare che va da marina di S. Nicola fino a Montalto di Castro. Questo tratto di litorale è molto esteso, sono circa quaranta miglia di costa la cui area pescabile si estende fino ad oltre quattro miglia verso il largo nelle zone più ampie. Le caratteristiche di questi fondali sono accomunate da due aspetti: il primo è la scarsa visibilità costante dovuta ai corsi d’acqua che si gettano in mare, primo tra tutti il fiume Tevere; il secondo è l’apparente monotonia del fondale, composto da estesi tavolati di grotto intervallato da zone di sabbia e posidonia. Con questi presupposti, le difficoltà per individuare una zona buona per i dentici non mancano.
La prima parte della ricerca andrà fatta prendendo in esame la mangianza nei luoghi che incontriamo di volta in volta: studiandone disposizione e consistenza potremmo avere delle indicazioni determinanti. Ho notato che a seconda della stagione, della corrente e della temperatura dell’acqua, questa massa di pesciolini segue delle rotte canoniche, portandosi dietro tutta una serie di predatori. Le zone migliori per incontrare branchi di dentici sono: i margini di un ciglio molto movimentato,le oasi di grotto perse nel fango al largo delle secche e i panettoni di grotto che, unendosi, formano una piccola secca con un suo habitat specifico. Un’altra caratteristica da considerare, specialmente scorrendo le cigliate, è la possibilità di incontrare un dentice isolato o addirittura un intero branco alla ricerca di cibo: in tali circostanze l’incontro costituisce spesso un episodio isolato, che non viene poi riconfermato da nuovi avvistamenti nello stesso punto, come invece accade nelle zone meno battute.
Un bell’esemplare appena catturato – Foto: A. Balbi
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Inizialmente marcavo tutti i posti dove avveniva una cattura o un’avvistamento, ma con il tempo ho cominciato a dare più importanza ai soli tratti di costa più frequentati dai predoni. Di solito percorro i tratti interessanti eseguendo aspetti in più punti, scorrendo la zona un po’ come fa un trainista con il suo andirivieni lungo il ciglio.
La tecnica che utilizzo per portare a tiro i dentici è l’aspetto, che eseguo sempre dopo aver cercato con molta attenzione il luogo dove appostarmi. Inizialmente praticavo l’aspetto a caso, ovvero mi appostavo sul fondo dove il luogo mi dava qualche spunto interessante, senza avere dei riferimenti ben precisi. Spesso, proprio per la mancanza di tali riferimenti, i pesci mi arrivavano da ogni direzione tranne quella giusta, ossia di fronte al fucile. Un po’ per la scarsa visibilità, un po’ per l’apparente uniformità del fondale, la prima difficoltà dell’aspetto nel grotto sta proprio nell’individuazione di un punto che permetta di occultarsi alla vista dei dentici mantenendo comunque una buona visuale. Spesso come nascondiglio utilizzo le chiazze di sabbia o dei ciuffi di posidonia. Un altro parametro fondamentale per scegliere il luogo dove appostarsi è la posizione della mangianza, ovvero quella concentrazione di pescetti tipo alici, zerri o castagnole che si dispone ai bordi di una secca o al margine di una cigliata, segnalando spesso con il suo aprirsi o chiudersi a palla l’inequivocabile presenza dei dentici o altri predatori in zona.
La presenza di corrente di scirocco, di libeccio e di maestrale, a seconda dei luoghi, può essere un altro aspetto da valutare con attenzione. La sua intensità regola i flussi di nutrimento che sono alla base della catena alimentare. Per esempio: con la corrente da sud, il lato meridionale di una secca o di un panettone presenterà la maggior concentrazione di vita, di conseguenza la situazione opposta si verificherà con le correnti da ponente. Con il cambio di corrente, e in modo particolare quando dopo diversi giorni di maestrale o di tramontana la corrente gira dai quadranti meridionali, durante le prime 4/5 ore si vengono a creare delle condizioni di visibilità eccezionale anche in quei luoghi sempre immersi nel “fumo”. Questa situazione favorisce grandemente la ricerca di quelle zone un po’ più profonde alla base dei cigli che d’incanto si riempiono di vita, offrendo spettacoli degni dei posti migliori della Corsica o della Sardegna.
Sulle profondità operative c’è da dire che, rispetto ad altri luoghi d’Italia, è possibile compiere belle catture in soli cinque metri d’acqua, anche se le batimetriche dove i dentici amano cacciare e l’incontro si fa più frequente sono comprese tra i nove e i venti metri a seconda del luogo, dell’orario, della stagione e della temperatura dell’acqua.
Questa caratteristica consente anche a chi non è un profondista di confrontarsi con questi pesci a quote non troppo impegnative, facendo utile e sicura esperienza.
Daniele con un bell’esemplare
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Per quanto riguarda le attrezzature, uso con soddisfazione arbalete di varie misure del mio sponsor Effesub. Raramente scendo al di sotto dei cento centimetri di fusto, a meno che la visibilità sia inferiore ai quattro metri, nel qual caso passo al novanta. Quando la visibilità supera i dieci metri impugno volentieri un arbalete Carbon Blade da 110 centimetri con elastici da venti e asta da sei e mezzo mono aletta; il novanta ed il cento, invece, preferisco equipaggiarli con asta da sei e mezzo ed elastici da sedici.
Ritengo che il mulinello sia un accessorio fondamentale per questo tipo di pesca, in quanto il dentice una volta colpito ha una reazione furiosa, che lo porta ad intanarsi per togliersi l’asta di dosso. Questo comportamento, unito alle carni molto fragili e ai numerosi appigli che offre il fondale calcareo, si traduce spesso nella perdita del pesce. Lavorando con attenzione le prime fasi di fuga, che vanno gestite cedendo qualche metro di filo, si può facilmente evitare questo spiacevole inconveniente.
Personalmente, sostituisco gli ultimi metri della sagola del pallone di segnalazione con uno spezzone di monofilo dello 0,60, in quanto invisibile al pesce. Sono favorevole al mimetismo dell’attrezzatura, anche se onestamente non ho mai riscontrato evidenti differenze di comportamento utilizzando mute mimetiche.
Per concludere, vorrei fare un riferimento all’atteggiamento mentale da tenere nella pesca di questo bellissimo pesce: prendiamo le informazioni sempre come riferimenti di massima per orientarci, facendo tesoro di ogni esperienza personale senza lasciare mai nulla al caso.
L’estate di due anni fa decisi di andare a pescare con un amico a Pian di Spille, una località a nord di Tarquinia dove spesso si catturano bei pesci. Ci immergiamo su alcune risalite che da venti metri arrivano fino a diciassette: neanche a dirlo, benchè l’acqua sia pulita, gli ultimi due metri sul fondo sono avvolti dal “fumo”, un mix di acqua ghiacciata e torbidissima che rende molto difficile l’avvistamento di pesci.
Il mio amico, un tipo oltremodo ostinato, mi dice che in quelle condizioni un po’ di tempo prima aveva trovato delle belle corvine, pertanto non vuole saperne di andare a terra, dove le condizioni sono decisamente migliori. Conoscendolo da tanti anni e sapendo che la sua testardaggine ci ha causato perdite di tempo ma anche regalato delle belle scoperte, non provo neanche a convincerlo e mi immergo, iniziando a scorrere il fondo a mezz’acqua nella speranza di capire un po’ la situazione.
Giunto nei pressi di uno sperone che risale verso i quindici metri, noto una folta concentrazione di mangianza. Pinneggio fino a raggiungere la verticale della palla vivente e mi preparo con calma, poi metto il boccaglio in cintura e faccio una lenta capovolta. Scendo lentamente, puntando un letto di posidonia posto circa un metro sotto lo sperone, e mentre sto per toccare il fondo un branco di dentici si materializza in lontananza. Proseguo la discesa fino a sprofondare nell’alga, dove vengo avvolto dall’acqua ghiacciata del “fumo.”
A volte è possibile catturare i dentici anche in poco fondo – Foto: A. Balbi
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Mentre penso stizzito che con questo taglio freddo l’aspetto sarà inutile, ecco che i dentici arrivano, e come arrivano! Sono come proiettili, talmente veloci che non riesco neanche a definire il numero e le dimensioni. Causa la velocità dei pesci innervositi dall’acqua torbida e ghiacciata, mi convinco che è il caso di risalire in silenzio per tentare una nuova posta. Decido di eseguire un secondo aspetto nello stesso rifugio, mi apposto con la determinazione di sparare al primo predone a tiro. Neanche il tempo di pensare ed ecco che un testone spunta dal ghiaccio: sparo d’istinto e il primo dentice finisce “spiedato”. La velocità di reazione del pesce è stata impressionante, ho sparato mentre era di muso e l’ho colpito di coda. E’ un bel pesce sui quattro chili.
Chiamo il mio amico per fargli vedere il luogo dove girava il branco e per provare un’altra cattura. Il compagno arriva velocemente, ma purtroppo dopo un tuffo viene colpito da un forte mal di testa e decide di farmi assistenza in superficie. Dopo altri due tuffi per individuare il branco un altro bel dentice da chilo finisce nell’asta: preso anch’esso nel ghiaccio e nello stesso branco!
Questo esempio, e non è l’unico, è la classica eccezione che conferma la regola. Come in tutte le situazioni che si presentano di volta in volta, la cosa più importante è mantenere un atteggiamento elastico in ogni situazione, senza mai dare niente per scontato.
C’è un’altra caratteristica di questo tipo di pesce che deve farci riflettere: a volte il suo avvicinamento può essere preceduto da una fase di studio e risultare piuttosto lento, fatto che può spingere i pescatori a tirare l’apnea oltre il limite abituale. Di conseguenza, occorre stare sempre in guardia ed usare prudenza: se il dentice non arriva entro i nostri tempi di apnea in sicurezza, proviamo a risalire e tentiamo la cattura nel tuffo successivo. Ricordiamoci sempre che il dentice è un predatore “stanziale” e che se oggi non lo riusciamo ad avvicinare potremo sempre ritentare in altre occasioni: potrà anche capitarci di trovare il branco meno nervoso e riuscire a fare delle catture con relativa facilità.
La pesca al dentice deve essere praticata in coppia con un compagno di pari esperienza. Nella pesca all’aspetto su fondali medio alti, infatti, è assolutamente necessario avere sempre un compagno fidato che segua la nostra azione di pesca dalla verticale tenendosi pronto ad intervenire in caso di bisogno. La presenza del compagno non deve mai spingerci a tirare o abbassare estemporaneamente le proprie quote operative, ma solo a rendere più sicura -e magari anche efficace- la nostra battuta.
Per concludere, qualche curiosità:
il dentice più grosso l’ho catturato in Corsica nel 98′, pesava circa 8 kg;
Il più profondo l’ho catturato a Montalto, a 31 metri: pesava 3,8 Kg;
Il più basso a S. Marinella: quattro metri per 4,5 kg;
Quello più di “rapina”: a Montalto dopo due tuffi di un mio amico su un panettone isolato con una palamita sbagliata, ho catturato un dentice di 4,8 Kg.
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