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A pesca con Daniele Colangeli: le orate desiderate

| 20 Febbraio 2008 | 0 Comments

Uno degli aspetti che più mi affascina della pesca in apnea è la variabilità delle situazioni che possono presentarsi. Trovo bellissimo quando il mare è calmo e la visibilità consente di pescare a ‘vista’, alla ricerca di saraghi e corvine o, magari, qualche bella cernia, così come quando le mangianze si radunano in prossimità di secche o cigliate, segnalando la possibilità di incontro con dentici o ricciole. La pesca in inverno a spigole, poi: che spettacolo! Sia sotto costa che sui relitti oppure intorno alle massicciate isolate.

L’autore mentre si prepara per una partenza da terra.- Foto: A. Balbi

C’è poi una pesca considerata ‘povera’, ovvero quella che si pratica scegliendo un tratto di mare potenzialmente buono per poi perlustrarlo a forza di pinne, partendo da terra.
Con questa pratica istintiva si investe di un particolare valore ogni singola cattura, perché non potendo contare sul mezzo di appoggio per correggere eventuali errori strategici si hanno meno posti buoni da ispezionare ed è necessario mantenere un livello di concentrazione molto elevato.

Siamo a metà novembre e la visibilità sul litorale laziale diventa sempre più precaria a causa delle prime piogge, rendendo molto difficile la scelta del luogo in cui impostare una battuta.
Nonostante la stagione non si presenti particolarmente propizia per le catture importanti, ricordo questo momento dell’anno come il più interessante per affrontare con successo una battuta di pesca mirata alle grandi orate che accostano in branchi sul litorale.
Siamo al venerdì sera: “La mareggiata di libeccio sta esaurendo il suo corso lasciando spazio alla tramontana, che sta spianando”. Queste sono le parole di Andrea da Santa Marinella, il quale mi invita ad unirmi con lui e Piero uscire insieme l’indomani con il suo battello. Le condizioni precarie -ovvero: visibilità sotto i due metri- mi fanno pensare che la giornata si potrebbe tradurre in una serie di spostamenti infruttuosi alla ricerca di qualche improbabile zona con un decimetro di visibilità in più. Così, dopo averlo ringraziato lo saluto, convinto che con queste condizioni mi convenga uscire da terra e risparmiarmi la navigazione.
La sveglia è per le otto, dopotutto la stagione è stata faticosa. Dopo un’abbondante colazione, sarò in acqua non prima delle dieci e mezzo.
Il tragitto in automobile che mi separa dal mare lo considero da sempre parte integrante della pesca: dal momento in cui ripongo l’attrezzatura nel bagagliaio dell’auto, mentalmente sono già dentro l’acqua. I pensieri scorrono come l’asfalto dell’Aurelia sotto le ruote. Passo mentalmente in rassegna tutte le uscite effettuate nello stesso periodo e con analoghe condizioni, cercando di valutare quale luogo sarà più interessante per la battuta che mi appresto ad affrontare. Ricordo un giorno in particolare, tra il ’93 e il 94′, con una visibilità eccezionale: per cinque ore continuai ad avvistare un branco immenso di orate, composto da pesci dagli ottocento grammi ai sei chili, senza riuscire a catturarne nemmeno una. Mi viene in mente anche quel giorno in cui sparai sul muso di un’orata gigantesca e vidi l’asta da sei mm rimbalzarle sul testone senza neanche scalfirla. Oppure quel giorno con lo scirocco montante, quando il mare decise di regalarmi tre belle catture.

Al riparo di una roccia si cerca il tiro perfetto. – Foto: A. Balbi

Una volta sul posto, con calma organizzo la vestizione. Muta, pinne, pallone, maschera: c’è tutto! Tolgo il copri punta dal mitico Black Blaze novanta e mi accingo a scivolare in acqua. Come preannunciato la visibilità è al limite del praticabile, comunque appena cento metri verso il largo si vede un metro oltre la punta del fucile. Tale condizione, comunque, mi costringe a pescare sfruttando il controluce offerto dal pallido sole. Dopo molte poste infruttuose decido di fare altri due tentativi su alcuni crinali che a volte richiamano mangianza. L’entusiasmo della mattina lascia spazio al freddo e alla fame, ma i ricordi e la grinta mi portano ad insistere. Trovo riparo sulla sabbia in mezzo un canalone, la risacca muove la sospensione rendendo la condizione, se possibile, peggiore che in altri punti. Rimango comunque immobile come un sasso, sperando che sia la volta buona. Ecco che vedo un’ombra passare dal largo, in un attimo si delinea la sagoma della grossa orata: sembra sospesa nella nebbia, nuota con indolenza verso il mio riparo. Dal comportamento capisco che è attirata dalle onde del mio movimento… tante volte sono stato ingannato da questa situazione, ma questa volta non c’è esitazione: appena si delinea la testa sono felino nello sparo.
Il pesce ha un sussulto e si accascia, è stato colpito dietro l’opercolo rimanendo fulminato. Gli sono addosso e ammiro questo regale sparide nello splendore dei suoi colori cangianti.
Colmo di soddisfazione metto l’orata nel portapesci e mi dirigo verso terra.

Siamo al primo di Dicembre. A causa di una moderna abitudine delle nuove generazioni di reclamizzare i posti delle catture e complice una buona visibilità, il luogo della cattura appena raccontata è assaltato da diversi pescatori sia in apnea che di superficie.

Colangeli con la bella orata ormai battuta.- Foto: A. Balbi

Così con il mio amico Gian Paolo decidiamo di rinunciare al gommone per ispezionare un altro posto a nord di Civitavecchia. Questa zona è caratterizzata dalla presenza di orate un po’ tutto l’anno quindi, visto il periodo, perché non provare?
La visibilità non è male, comincio con i ‘soliti’ aspetti di studio per capire che cosa accade. Dopo circa due ore, alternando aspetti e qualche osservazione in tana, la giornata non sembra offrire grandi opportunità: oltre ad un grosso sarago che mi beffa con uno scatto impressionante e ad un tordo enorme che parte scomparendo tra le alghe, non vedo nulla di interessante.
Viste le condizioni comincio a capire che quei pochi pesci in zona hanno un atteggiamento ‘pigro’; ovvero tendono a stare fermi, sfruttando il mimetismo che lo scuro fondale di grotto si presta a valorizzare.
Comunque, oltre a questa osservazione -per il momento non rilevante- le cose non cambiano, e il cavetto rimane vuoto. Lo stesso per Gian Paolo, il quale mi fa notare che anche lui ha visto due grossi saraghi fuggire durante altrettante discese.

Si raggiunge la superficie per condividere la cattura.- Foto: A. Balbi

Più istintivamente che razionalmente decido di impugnare il sessantino con la fiocina e comincio a scorrere il fondo alla ricerca di qualche sarago mimetizzato.
Mentre pinneggio su un tratto di fondale basso, composto da posidonia e qualche funghetto di grotto, la mia attenzione ricade su un pezzo di busta di plastica ondeggiante sotto una tettoia. Non so per quale motivo invece di continuare per la mia strada ho continuato ad osservare questo pezzo di busta per qualche secondo su un fondale così insignificante. Quando ad un tratto la presunta busta mi è sembrata più un grongo morto, magari staccato da un palamito! Continuando sempre più curioso nell’osservazione, il grongo assume le movenze di un pesce! Un grosso pesce che prova a mimetizzarsi forse pensando che io sia un dentice o una spigola! Effettuo la capovolta dietro la sua verticale, appena qualche metro di discesa e le bande grigie lasciano spazio ai colori di una splendida orata. Il cambiamento di colore e il nervoso su e giù del pescione fanno presagire l’imminente scatto, così, un po’ per istinto un po’ per fortuna, stringo la discesa verso la testa e appena a tiro lascio partire l’esile fiocinetta a quattro punte. Colpita dietro la testa rimane un attimo stordita, come un’aquila con un capretto uso le mani come artigli, cercando di immobilizzarla. Per un attimo mi sfugge, comunque riesco a bloccarla potandola in superficie con immensa soddisfazione.
Corro da Gian Paolo per mostrargli la cattura e condividere con lui uno dei tanti bei momenti che il mare sa regalare.

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