A caccia di pelagici
Aguglia – Foto A. Pagano
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Con l’arrivo dell’estate, la presenza dei pesci pelagici si fa sempre più marcata nei pressi delle nostre coste. Il progressivo aumento della temperatura dell’acqua spinge questi animali ad avvicinarsi alla terraferma, dove possono soddisfare con più facilità le esigenze alimentari e riproduttive.
I pesci pelagici, così chiamati perché amano passare la maggior parte della vita in acque libere senza aver alcun rapporto diretto con il substrato [ nota: dal greco “pelagos”, mare aperto], sono rappresentati da un consistente gruppo di famiglie di pesci. Le famiglie più rappresentative e conosciute sono con certezza quelle dei tonni, pesci spada, sgombri, sardine e acciughe.
L’incontro con le prime due specie da parte del subacqueo può essere alquanto difficile, a meno che non imposti un’uscita a mare strettamente riservata alla ricerca di questi due “giganti”.
Le specie che si possono incontrare con maggiore facilità nel sottocosta, invece, sono: l’aguglia (Belone belone), il suro (Trachurus mediterraneus), il carango (Caranx sp.), la ricciola (Seriola dumerili), la leccia stella (Trachinotus ovatus o glaucus) e il barracuda (Sphyraena sphyraena).
L’aguglia è un predatore che a sua volta diviene preda, specie quando nei paraggi nuotano le voraci ricciole. Per individuare le aguglie bisogna osservare appena sotto il pelo dell’acqua, è in questa fascia di pochi cm che le incontreremo. Questo pesce dal corpo molto snello ed argenteo con riflessi azzurri sul dorso, che lo mimetizzano con il blu del mare, è un abile “spadaccino”: la mascella e la mandibola sono molto prominenti e formano una sorta di spada. L’azione di caccia dell’aguglia viene condotta dall’alto verso il basso, ed è davvero stupefacente: l’animale s’immobilizza, punta l’arma verso la vittima e, dopo averla inquadrata, vi si scaglia a tutta velocità. Il pescetto tramortito dalla micidiale “stoccata” è ingerito intero al passaggio successivo. L’avvicinamento a questo strano animale non presenta grandi difficoltà: basta mantenere una rotta parallela rispetto a quella del pesce, restando sempre in superficie e riducendo lentamente le distanze. Quando saremo ad una distanza tale da consentirci di fotografarlo, potremo espirare un po’ d’aria ed affondare qualche centimetro sotto la superficie. Così facendo, eviteremo di essere infastiditi dal moto ondoso superficiale e potremo mettere a fuoco correttamente. L’incontro con animali la cui lunghezza supera i cinquanta centimetri è molto frequente, quindi dovremo indietreggiare per poterli inquadrare completamente e anche se saremo molto distanti otterremo un buon rapporto di riproduzione.
Suro o sugarello – Foto A. Pagano
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Il suro o sugarello, come l’aguglia è predatore e preda al tempo stesso. Può superare i trenta centimetri di lunghezza e vive in branchi. Quando la sua lunghezza non ha ancora superato i dieci centimetri è solito ripararsi sotto i tentacoli delle grandi meduse (come la Cotylorhiza tubercolata o la Rhyzostoma pulmo). Questa sorta di casa rappresenta un rifugio sicuro per il piccolo suro, che altrimenti resterebbe facilmente vittima di qualche predatore.
Fotografare il suro in una situazione simile è quanto di più semplice si possa fare: infatti, il pesciolino, dopo una precipitosa fuga in mezzo ai tentacoli della medusa, farà bella mostra di sé affacciandosi qua e là per vedere cosa accade all’esterno.
Il carango nel il primo periodo della sua vita ha la stessa abitudine del suro, cioè rifugiarsi tra i tentacoli delle meduse. L’incontro con questo pesce è divenuto abbastanza frequente, segno che la quantità di questi animali è in aumento. L’aspetto è simile a quello di una ricciola: colore argenteo, dalle squame piccolissime, schiena alta, corpo poco slanciato, totale assenza di bande colorate ed un’inconfondibile e visibilissima linea laterale dall’andamento serpeggiante all’altezza della pinna pettorale.
Una curiosità: nel 1869 fu aperto il canale di Suez e da allora oltre 200 specie hanno raggiunto il Mediterraneo, costituendo popolazioni stabili e ben strutturate. Tra queste popolazioni denominate “lessepsiane” (dal nome del progettista del canale, F. de Lesseps) vi sono anche delle specie “nuove” (per il Mediterraneo) di caranghi.
Io stesso ritengo di aver avuto l’opportunità di osservarne una di queste specie, purtroppo non meglio identificata. Mi trovavo a pesca a circa un miglio dalla costa su una batimetria di 20 mt, un grande branco di salpe fece la sua comparsa dal blu. Si trattava di animali tutti sui due kg di peso, ma quello che attrasse la mia attenzione fu la sagoma di un pesce “diverso”, nel mezzo del gruppo. Il pesce, totalmente argenteo, si muoveva come se fosse un membro del branco, l’aspetto era quello di una ricciola, ma con la schiena molto alta, una fronte simile a quella di un dentice quindi molto ripida e lo spessore ridotto del corpo rispetto alle dimensioni del pesce, stimate sui 5 kg. Le pinne erano di forma falciforme ed avevano un prolungamento morbido che rendevano più regale l’incedere di questo pesce.
L’aspetto ricordava molto i grossi carangidi tropicali chiamati jak crevalle. Dimenticavo: non l’ho catturato….. era troppo bello vederlo nuotare libero nel blu!
Carango – Foto A. Pagano
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La ricciola è il pelagico sicuramente più ambito dagli aspettisti. Può tranquillamente superare i 50 kg di peso per oltre due metri di lunghezza. Il suo incontro durante la bella stagione non è così difficile, specie per gli individui di piccola taglia che si avvicinano in branchi alla ricerca di latterini (Atherina sp.) nel sottocosta. In molte località, le piccole ricciole sono chiamate limoni o limoncini, per via della marcata banda gialla sul fianco che li contraddistingue.
Questa banda, man mano che l’animale cresce, diviene meno evidente. L’avvicinamento di questa specie è quasi sempre molto tranquillo e veloce, specie quando è in branco, tanto da mettere in seria difficoltà il fotografo per la corretta messa a fuoco. Solitamente, dopo aver individuato il branco, mi lascio scivolare verso il fondo senza effettuare la capovolta, semplicemente espirando un po’ d’aria, e nove volte su dieci ho i soggetti a tiro di “flash” prima di raggiungere il fondo.
Ricciola – Foto A. Pagano
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Il luccio di mare o barracuda mediterraneo fa parte della famiglia dei grossi barracuda tropicali. Può superare il metro di lunghezza e i 5kg di peso. E’ un vorace predatore capace anche di approfittare dei brandelli di pesce lasciati da altri predatori. La sua forma slanciata ne fa uno scattista d’eccezione e la mandibola prominente con i denti in bella mostra rendono il suo aspetto minaccioso.
L’incontro con questo pesce può avvenire dappertutto, anche in un metro d’acqua.
Il barracuda mediterraneo, un po’ come la spigola, si apposta dietro i massi per ghermire le prede ignare. Ma lo spettacolo più bello offerto da questo predone si ha quando è in branco: prima circospetti, poi via via più intraprendenti, i barracuda cominciano a far carosello intorno a noi in continue sovrapposizioni dalle mille forme astratte. In piena estate si possono incontrare dei piccoli individui lunghi non più di dieci cm in poche pne d’acqua, immobili, che ad un occhio poco attento possono sfuggire.
Barracuda – Foto A. Pagano
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La leccia stella è un fortissimo nuotatore. Quando il mare è agitato ama navigare proprio sotto la cresta dell’onda, pronta a ghermire qualsiasi pesciolino sballottato dal moto ondoso. La forma del corpo, molto compressa, diviene più slanciata solo dopo aver superato i dieci centimetri di lunghezza, mentrei gli individui giovani hanno un aspetto rotondeggiante.
La colorazione è argentea con la caratteristica macchia scura in corrispondenza delle estremità delle pinna dorsale, caudale e anale. Con l’età compaiono anche altre piccole macchie scure sui fianchi all’altezza delle pinne pettorali. Gli individui giovani prediligono il basso fondo, in corrispondenza di scogli affioranti e sono soliti nuotare sotto il pelo dell’acqua un po’ come fa l’aguglia. A mio avviso sono tra i pesci più difficoltosi da fotografare, infatti, hanno una mobilità incredibile, effettuano continui cambi e inversioni di rotta, e considerando le ridotte dimensioni mettono a dura prova le capacità del “cacciafotosub”. L’avvicinamento deve essere condotto come per l’aguglia, quindi paralleli alla rotta del pesce riducendo le distanze. Tali distanze non dovranno essere mai inferiori ai 70 centimetri se vorremo che sul fotogramma si ottenga un buon rapporto di riproduzione.Per fotografare i pelagici occorrono: un’anfibia corredata di ottica 35 mm o meglio 80 mm e un flash di media potenza, oppure una scafandrata con ottica da 60 mm o 105 mm e flash sempre di media potenza o con controllo TTL (through the lens). Se abbiamo buone probabilità di incontrare soggetti medio-grandi, è consigliabile montare il 35 sull’anfibia e il 60 mm sulla scafandrata: in questo modo potremo inquadrare il nostro soggetto per intero, senza essere costretti ad allontanarci da esso. Non bisogna dimenticare che questi animali, proprio per la loro colorazione argentea, riflettono la luce come degli specchi e pertanto sarà nostra cura angolare a 45° il flash rispetto all’asse ottico e scattare quando il pesce si troverà leggermente obliquo rispetto al piano pellicola. Potremo utilizzare un tempo di scatto compreso tra 1/60 e 1/125, come diaframma f/8 per i soggetti fotografati alla distanza di un metro e f/11-16-22 per quelli più vicini.
Un altro consiglio: utilizzate 1/60 quando volete recuperare la luce ambiente ed otterrete il colore dell’acqua, che circonda il soggetto inquadrato, di un azzurro chiaro; se utilizzerete 1/125 il colore dell’acqua sarà di un azzurro intenso, tendente al blu.
La soluzione ideale? Questione di gusti!
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