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L’immagine della pesca subacquea al tempo dei “social”

| 1 Giugno 2011 | 0 Comments

Avete mai provato a fare un giro su Google News e digitare nella casella di ricerca “pesca subacquea”? Dovreste provarci, perché probabilmente vi rendereste conto di come, quotidianamente, l’immagine della nostra disciplina venga distorta e infangata da un ricorrente equivoco mediatico.

Cercando notizie sulla pesca subacquea ecco cosa capita di trovare…

Sebbene non manchino certamente notizie effettivamente correlate alla nostra disciplina – anche Apnea Magazine è una delle fonti di informazione selezionate da Big G – si trovano spesso riferimenti impropri alla pesca subacquea, in particolare a proposito di pesca abusiva di ricci e datteri, quasi sempre con le bombole.

Google News è un motore di ricerca particolare, che aggrega le notizie pubblicate da alcune centinaia di fonti di informazione online accreditate dal motore di ricerca e consente di effettuare ricerche mirate tra le pubblicazioni o, addirittura, impostare dei veri “alert” legati a parole o frasi chiave, in modo che ogni volta che il motore rinviene una nuova notizia contenente il termine o la frase indicata, provvede ad avvisarci via email passandoci il link alla notizia. Per queste sue caratteristiche, Google News è divenuto in breve tempo uno strumento molto utilizzato dai giornalisti, fatto che spiega perché non ci dobbiamo stupire più di tanto se ancora oggi, ad oltre 30 anni dall’abolizione della possibilità di pescare con le bombole, sui mezzi di informazione si continui ad equivocare sul significato della locuzione “pesca subacquea” e sulla natura della nostra attività: una buona fetta delle notizie che ci riguardano… in realtà non ci riguardano affatto! Alla faccia della rapidità di circolazione delle informazioni in rete!

La pesca in apnea consente di scegliere le prede, risultando una tecnica estremamente selettiva

L’esigenza di ricostruire un’immagine della nostra disciplina e, conseguentemente, della nostra categoria, non dico positiva, ma almeno scevra da mistificazioni  è uno dei punti su cui Apnea Magazine insiste sin dalla propria nascita, avvenuta ormai più di dieci anni or sono. A noi è apparso chiaro sin dall’inizio della nostra avvenura editoriale che il principale nemico della categoria era costituito dalla disinformazione e dal pregiudizio, eppure, ancora oggi è facile notare come molti appassionati non sembrino rendersi conto delle gravi ripercussioni che la cattiva immagine della nostra categoria finisce per procurare.  Si pensi all’ingiusta esclusione della pesca in apnea dalle Aree Marine Protette o a come le istituzioni tendano, in buona compagnia delle frange più estremiste e bigotte dell’ambientalismo (di facciata), a dipingere la nostra disciplina come un’attività egoistica, sanguinaria, incompatibile con le esigenze di tutela ambientale, anacronistica e… vero ricettacolo di illegalità. Ora, tutti noi sappiamo bene che la pesca in apnea non ha nulla a che vedere con la pesca – o meglio: raccolta – abusiva di ricci e datteri, né tantomeno con la pesca abusiva con le bombole, ma la massaia di Voghera che apprende della nostra esistenza dagli organi di informazione cosa dovrebbe pensare, di fronte all’improprio e reiterato accostamento della nostra disciplina con certi fenomeni di illegalità?

Il quadro, già decisamente preoccupante, si tinge di toni ancora più foschi se dagli organi di informazione online si passa alle community e ai social media, dove sono messe in circolazione immagini, video e informazioni in modo diffuso, ossia da parte dei singoli utenti. L’esibizione di carnieri over quota, di crostacei ed altre prede proibite, non propriamente sporadiche, rappresentano il classico autogoal, soprattutto se chi fa sfoggio del proprio scarso senso civico e dello scarso rispetto per la legalità è un personaggio noto dell’ambiente o, peggio, un istruttore, cioé uno che dovrebbe insegnare i valori della legalità e del prelievo etico ai propri allievi. Sia chiaro, stiamo parlando di una sparuta minoranza di pescasub, peraltro in buona compagnia di pescatori sportivi di ogni tecnica (è semplicemente idiota pensare che una tecnica di pesca possa essere più o meno “propensa” al mancato rispetto della legge) ma il fatto è che le azioni sconsiderate di questi pochi soggetti vanno ad incidere su una situazione già piuttosto compromessa, che richiederebbe uno sforzo nella direzione opposta e non certo della classica goccia che fa traboccare il vaso. E’ facile capire che se anche ci volessimo impegnare per rintuzzare ogni pubblicazione in cui si parla a sproposito di pesca subacquea, accostandola impropriamente alla nostra attività, sarebbe gioco facile per i giornalisti interessati farsi un giro in rete e sbatterci in faccia foto, racconti e video che testimoniano lo scarso senso civico di alcuni nostri “colleghi”.

Una bella pescata di spigole, nel pieno rispetto della legge e dell’etica

Ci fa molto piacere che oltre alla FIPSAS anche associazioni di recente costituzione come FIPIA abbiano da subito alzato la bandiera della legalità e dell’etica, perché in cuor nostro riteniamo che la vera faccia del nostro sport sia costituita da una maggioranza silenziosa di sinceri amanti del mare, che fanno del rispetto per il Sesto Continente e le sue leggi un imperativo categorico e che vogliono trascorrere ore serene in mare senza violare alcuna disposizione di legge. Siamo convinti del fatto che la nostra categoria non meriti di essere associata a bracconieri, venditori abusivi e briganti di ogni sorta, semplicemente perché questi soggetti si gettano in acqua per fare razzia di datteri o ricci… invece di strascicare sottocosta o tendere un tramaglio abusivo. La posizione chiara delle associazioni che si propongono di rappresentare la nostra categoria è, in questo senso, di fondamentale importanza, perché segna la posizione ufficiale della massa silenziosa, che proprio grazie alle associazioni può riuscire a far sentire la propria voce e a chiarire il proprio pensiero.

I più attenti avranno notato che fino ad ora ho usato spesso il termine “pesca subacquea”, anche se da anni ormai nel nostro ambiente si è affermata la locuzione “pesca in apnea”, che lascia minore spazio agli equivoci, ed il motivo è presto detto: la legge, ad oggi, ci definisce “pescatori subacquei”, al pari dei bracconieri che riempiono le cronache dei giornali con le loro razzie di ricci, datteri e quant’altro. Per poter intraprendere una crociata contro i continui attentati all’immagine della nostra categoria che provengono dall’esterno anche attraverso l’equivoco linguistico, dobbiamo assolutamente imprimere un’accelerazione all’opera di sensibilizzazione interna alla categoria, che possa diffondere il necessario senso di responsabilità in ogni appassionato e ridurre in modo sensibile il triste fenomeno dello sbandieramento dei fenomeni di illegalità, comune a tutte le tipologie di pesca ma particolarmente deleterio nel nostro caso, già compromesso da un pesante fardello storico. Nel corso del tempo, la pesca subacquea si è trasfigurata, fino a divenire pesca in apnea, un’attività che non ha nulla a che vedere con il modello originario: se vogliamo che i media e la società civile ne prendano atto, riconoscendoci per quello che siamo, sta a noi offrire un’immagine veritiera di ciò che siamo e di cosa facciamo quando, armati di fucile e vestiti come incursori, ci immergiamo tra i flutti.

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Category: Articoli, Editoriali

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