Inquinamento e degrado, tramonta l’AMP di Torre Calderina
Per quale ragione si decide di istituire un’ Area Marina Protetta? Almeno in teoria, per tutelare e preservare particolari valenze naturalistiche delle aree designate. Questa premessa è fondamentale per capire il parere ostativo espresso, tanto dal Ministero dell’Ambiente quanto dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), riguardo il proseguimento dell’iter istitutivo della riserva pugliese “Grotte di Ripalta – Torre Calderina”, che era stata inserita tra le aree di reperimento a gennaio del 2014.
In concreto, stavolta si è provato a giocare la carta dell’AMP nel tentativo di “tutelare il litorale di Ripalta oggetto di una insostenibile e costante situazione di inquinamento”, ma il ministro Galletti ha gelato le aspettative delle comunità locali sentenziando che “sussistono difficoltà oggettive per l’istituzione dell’area marina protetta Grotte di Ripalta – Torre Calderina e, quindi, per la prosecuzione del relativo iter avviato nel 2013, a causa di un degrado ambientale rilevante e non risolvibile nel breve-medio periodo.“
L’ISPRA, incaricato di uno studio approfondito sulle potenzialità e le criticità del progetto, ha scattato una fotografia impietosa dei luoghi:
1) ben 2 scarichi di depuratori cui si aggiungono 2 corsi d’acqua che raccolgono i reflui dei centri urbani di Bisceglie, Corato, Molfetta, Ruvo e Terlizzi, ma anche quelli provenienti da alcuni impianti di concia di pelli e li scaricano direttamente sulla battigia.
2) un divieto di balneazione riguardante la quasi totalità delle acque costiere comprese tra le Grotte di Ripalta e Torre Calderina
3) la presenza diffusa dell’Ostreopsis ovata, un’alga tossica, certificata dai campionamenti effettuati dall’Arpa Puglia
e ciliegina sulla torta:
4) la mancanza nell’area di particolari valenze naturalistiche, fatta eccezione per la presenza del SIC “Posidonieto S. Vito-Barletta” individuato per la presenza della farenogama Posidonia oceanica la cui prateria però risulta “ormai scomparsa nell’area oggetto di studio”.
In questa situazione non è lontanamente pensabile che l’area marina veda la luce in tempi brevi, per quanto questa del ministero non sia una pietra tombale visto che non si esclude una “graduale ripresa ecologica degli habitat marini attualmente compromessi, seppur non a breve termine, considerata la previsione di un progetto per la realizzazione di una condotta sottomarina per lo scarico dei reflui civili, causa del degrado ambientale rilevato.”
Per quanto le argomentazioni del ministro Galletti ci sembrino ineccepibili, non possiamo fare a meno di notare come tanta solerzia e scrupolo non siano certo state utilizzate in passato. Ad oggi sono numerose le AMP all’interno delle quali sono segnalati scarichi fognari a cielo aperto o in cui ampi tratti di costa sono off limits a seguito di divieto di balneazione per inquinamento. E anche in tanti di questi casi si tratta di situazioni pregresse che però non sembrano aver fermato la pioggia di sovvenzioni pubbliche a cui concretamente si mira ogni qualvolta si tratti di recintare il mare. Chissà se le stesse motivazioni che bloccano il progetto pugliese basteranno a chiedere eventuali riperimetrazioni o abolizioni di AMP già istituite, sarebbe da augurarselo…
Che dietro il veto all’AMP pugliese non ci sia in realtà il fatto che i denari statali a fondo perduto sono in via di esaurimento, e i carrozzoni improduttivi che gravano sulla comunità tutta non possiamo più permetterceli?!
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