Corsica: i delfini che non ti aspetti…
Sono ormai passate tre estati da quel giorno, ma se è vero che ci sono delle giornate speciali, tristi o felici che segnano l’esperienza di una persona, quella fu la mia giornata. Quel giorno mi sentii parte del mare e non più ospite occasionale dedito alla pesca in apnea e all’osservazione delle specie viventi.
Mi sentii uomo indifeso tra uomini del mare, in balia degli eventi, dedito solo a cercare di capire la grandezza dell’avvenimento in cui da impreparato mi ero venuto a trovare, ridotto nella capacità di gestione e reazione, impreparato.
Si , impreparato, perché forse tutti noi siamo consci che prima o poi accadrà, succederà che i delfini ci avvicineranno, e sono solo loro che ne decideranno tempi e modalità.
Golfo del Sagone, Corsica – Foto B. Pignataro
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E non credo che esista preparazione preventiva possibile all’evento, se non il ripetersi stesso dell’esperienza, ma mi chiedo quanto sia usuale l’eventualità che i delfini vengano a trovarti durante un aspetto in profondità, e a parlarti.
Si, a parlarti, è capitato a me, i delfini mi hanno parlato, interrogato, studiato, e io non ho saputo far altro che farmi indagare, mi sono semplicemente inchinato a tanta potenza, suddito del mare prostrato ai suoi Principi.
Calda estate 2003, Corsica occidentale, secca di Punta Paliagi nel lato sud del Golfo del Sagone, questa è la località della mia avventura.
E’ una calda mattinata di agosto, in un mare straordinariamente piatto per l’insistenza dell’alta pressione africana, in una sequela di giornate tutte uguali. Sotto riva gli strati superficiali dell’acqua sono in sofferenza per l’eccessiva temperatura dell’acqua, uno strano colore giallastro vela i primi centimetri d’acqua, distorcendo i normali colori dei fondali. Non mi piace l’acqua troppo calda quando pesco, non è neppure piacevole, se ti muovi troppo ti stanchi rapidamente, ti taglia le gambe, in queste condizioni la morbida tre millimetri mimetica assume la pesantezza di un cilicio. Non c’è scelta, oggi la pesca la farò fuori, molto fuori, alla ricerca di correnti più fresche. Anche i pesci la pensano come me, anche loro hanno smesso da giorni di frequentare il sottoriva imballato dal sostanze mucillescenti rilasciate dalle alghe stressate da troppi giorni di bonaccia e temperature vicine ai 40 gradi..
E’ davvero incredibile questa estate, spero unica nel suo genere, se questa è la tropicalizzazione imminente del nostro clima anni duri ci aspetteranno per il futuro. Preferisco la nostra bella estate mediterranea dominata dall’anticiclone delle Azzorre, altro che queste assurde onde di calore africano.
Punta Paliagi, Corsica – Foto B. Pignataro
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Parto direttamente dalla sponda rocciosa davanti al residence, esco largo e mi dirigo a sinistra, verso la punta Paliagi , battendo la batimetria ideale di queste acque, mai oltre i 15 metri.
Sotto di me si apre un’ ampia foresta di posidonia, intervallata da massi difficili da distinguere dalla superficie per la straordinaria altezza raggiunta da questi alberi del mare.
Come valli e picchi in un paesaggio montano in miniatura, dei costoni rocciosi segnano l’andamento delle batimetriche. Sono in Corsica, terra di granito e rilievi imponenti coperti da fitti boschi intervallati da pietraie e massi isolati, nella tipica miscela di specie e roccia della macchia mediterranea, ripetuta incredibilmente nello stesso susseguirsi anche sott’acqua. Posso ispezionare solo una miniatura subacquea di questo splendido ambiente, visto che in apnea mi sono accessibili solo gli strati superficiali, ma basta prendere una carta nautica per capire come le scoscese vallate e costoni continuino anche in mare aperto, fino a raggiungere le profondità ove la luce non penetra e il mare non è più blu.
Faccio qualche attesa subacquea in apnea di affiatamento celandomi presso i costoni di roccia per coprire la mia ingombrante sagoma, e rapidamente catturo un paio di saraghi che arricchiscono il mio carniere fissato alla boa obbligatoria di segnalazione tramite un cavetto.
Mi posiziono presso un vistoso avvallamento del fondale marino, costituito come un ampio catino arricchito da una distesa di posidonia. Verso il mare esterno una guglia di roccia si staglia verso la superficie, sui ripidi fianchi della struttura granitica una coppia di saraghi dubbiosi pattuglia gli anfratti. Tengo d’occhio l’avvallamento a catino che già avevo ben conosciuto in passato, con un amico l’avevamo perfino soprannominato il ‘bar delle corvine’, a causa della presenza di un nutrito branco di questi regali pesci, avvistabili con relativa facilità nelle ore serali.
Foto Apnea Magazine
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Niente corvine stamattina, se ne stanno ben celate nei meandri della posidonia, forti del loro mimetismo, e sicure nel loro comunicare con quei tipici suoni sordi in bassa frequenza e schiocchi di allarme. Questi pesci definiti come ‘grugnitori’, si avvalgono di strutture ossee posizionate nella testa e chiamate otioliti. Però a me i richiami di questi pesci spesso mi ricordano le rane, trovarsi in prossimità di corvine celate nella posidonia è come camminare ai fianchi di un canneto ricco di rane di notte.
Cento ne senti, e nessuna ne vedi.
Decido di abbandonare la costa per raggiungere il largo, c’è una secca al largo che ben conosco.
La secca si trova quasi di fronte al residence verso il mare aperto, a circa 1200 metri da riva, ma preferisco sempre raggiungerla transitando prima per la punta per poi allargarmi da questa, certamente allungando il percorso, ma per motivi ben chiari. La corrente dominante entrante nel golfo proviene sempre dalla secca, contrastarla significa nuotarci contro per un lungo tratto su fondali di 70/80 metri, è una faticaccia, mentre tagliando dalla punta la corrente arriva di lato, e si sfrutta anche qualche turbolenza di flusso a favore. In pratica il mio percorso per raggiungere e rientrare dalla secca è un triangolo, pianificato per sfruttare al meglio la condizione fisica e non affaticarsi eccessivamente in estenuanti nuotate.
Stenella – Foto Stefano Dal Dosso
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La nota più positiva è che sono in Corsica, in una zona dove praticamente passano 4 barche al giorno, e sempre le stesse, quasi li conosci per nome questi diportisti, ed il pericolo di investimento in queste acque è relativo. Loro riconoscono la mia boa e io le loro barche e rotte di navigazione. Siamo ad agosto e questo è il traffico nautico, chissà a settembre, qui si può parlare di deserto nautico.
Il fondale sotto di me sprofonda progressivamente, fatico a tenere il contatto visivo con la cresta di roccia che separa le acque profonde esterne con le relativamente più basse acque interne.
Si va dai 200 metri di profondità della caduta esterna, ai 70 metri sul lato interno, intervallati da questa cresta ondulata posizionata a circa 40 metri.
Tento un paio di tuffi, nessuna pretesa di pescare a queste quote.
Mi piace soffermarmi a mezz’acqua ed osservare da sopra se qualche maestosa cernia in candela è disposta a farsi ammirare (sono in Corsica e c’è divieto di pesca in apnea al maestoso serranide), oggi finora ho avuto un solo avvistamento. Spero sempre in qualche ricciola in transito o ferma in corrente, mai capitato qui fino ad oggi, ma il posto è quello giusto, è la stagione per questi luoghi a non essere propizia.
Finalmente il fondale inizia a risalire, l’acqua non è più blu cupa, distinguo in avanti nell’acqua limpidissima il chiarore riflesso dalla parete dell’enorme secca.
Qualche metro oltre il cappello della secca c’è anche una barca di Francesi che scarroccia a motore fermo, sono dediti alla pesca a bolentino.
Frangente sulla secca di Punta Paliagi – Foto B. Pignataro
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Due uomini a poppa con le canne da pesca corte, due belle donne completamente nude a prendere il sole sulla tuga.
Bene, vuol dire che sarò in compagnia, non mi spiace aver una barca in prossimità quando sono in mezzo al mare, queste persone mi hanno avvistato da tempo e mi hanno anche fatto segno di un cenno di saluto. Nessun pericolo quindi, so che ogni tanto si sposteranno a motore per riprendere la posizione iniziale di passata, cercheranno di seguire i canaloni della secca, mi aggireranno per non disturbare me e i pesci con il motore, e con la loro imbarcazione mi resteranno comunque vicini dandomi copertura e sicurezza psicologica.
Mi concentro sulla parete, che da 40 metri risale a 15 metri, tagliata da qualche spacco e da un canalone, più avanti la secca prende ancora più quota, 10 metri, anche meno.
Azzardo un tuffo su una crepa profonda, ma è troppo larga, non ospita pesce interessante.
Mi sposto contro corrente, voglio pescare dove la corrente investe le rocce, creando turbolenze e movimento di alimenti. Finalmente sul lato verso il mare aperto localizzo una buona posizione.
Alle spalle ho il panettone roccioso della secca, granito spaccato con grandi ciuffi di posidonia, a un certo punto la roccia scende repentina in un gradone enorme, ci sono dei grossi massi, poi una risalita di un metro o due, poi la parete. Sulla destra la parete è incisa da un profondo canyon, orlato da una roccia tutta traforata e seghettata da anfratti. In prossimità di questi anfratti intravedo parecchi saraghi, intenti ad entrare e uscire come se danzassero.
La situazione è ottima, mi piazzerò dalla parte dei massoni, leggermente arretrato, guardando verso il largo e sulla destra. I massi mi daranno copertura, e nello stesso tempo avrò una visione completa di ciò che avviene oltre, in queste condizioni mi si potrà avvicinare qualsiasi pesce, magari qualche bel dentice, e alla peggio i saraghi non resisteranno alla tentazione di farmi visita per indagare sulla mia misteriosa presenza.
Questa posizione merita almeno un paio di tuffi.
Stenella – Foto Stefano Dal Dosso
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Mi preparo bene per il tuffo, curando di aver recuperato completamente la lunga traversata effetttuata.
Mi ventilo bene, con calma, senza forzare in alcun modo la ventilazione, poi i tradizionali tre atti respiratori completi con utilizzo del diaframma, capovolta silenziosa e giù, ora vado giù, deciso ma non veloce, non voglio allarmare i pesci con onde d’urto troppo violente prodotte dal mio pinnare.
Appena mi sento negativo smetto di pinneggiare, subito mi dispongo a foglia morta, osservo l’ambiente circostante, mi preparo ad un lento approccio al fondale.
Davanti e vicinissima una grossa triglia di scoglio si stacca dai massi e lentissima mi si avvicina, la triglia è un pesce facile e gustoso, e questa per la specie è davvero di taglia, non ne ho mai viste di così grandi. I saraghi in piccoli branchi sono già in avvicinamento, tanti musi mi puntano decisi, inizio a curare quelli dietro e scrutare se nel blu compaiono i tanto attesi musi rosa dei dentici, la situazione è ideale.
Ruoto leggermente lo sguardo a sinistra, e ””” percepisco qualcosa di enorme in arrivo, qualcosa di argentato estremamente veloce.
Un brivido, ho una ricciola enorme in avvicinamento da sinistra, no, non è una ricciola, no, è, ”’ ancora una frazione di secondo.
Capisco, è un delfino, grande, mi sfila già di fronte, in un secondo mi è già davanti.
Dietro c’è un’altra sagoma, un altro delfino, più defilato.
Sono due delfini tursiopi, tre metri di mammifero marino, a pochi metri di distanza.
Resto letteralmente congelato, la sorpresa è fortissima, l’emozione intensa, paura, spavento, cosa faccio, come mi comporto, cosa faranno loro, e adesso?
Abbasso subito il fucile, non voglio che si sentano minacciati, e poi ho già capito, sono enormi, velocissimi, con un muso pieno di denti, insomma, ho poco da minacciare, questi mi farebbero a pezzetti all’istante.
Foto Apnea Magazine
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Io sto ancora cercando di riprendermi dallo spavento e di mettere insieme un pensiero decente che loro mi hanno oltrepassato, hanno girato, sono tornati indietro, più lenti, sempre nella stessa posizione, uno in avanscoperta, l’altro in formazione ma leggermente arretrato.
Sento distintamente un numero incredibile di trilli e suoni, in continua modulazione di frequenza e intensità.
Comunicano tra loro scambiandosi certamente un gran numero di informazioni, si rispondono, dialogano, ed entrambi mi scrutano incuriositi, è evidente, sono io l’argomento della loro discussione.
Ora il più vicino mi ripassa davanti, in una strana posizione, come impennata, eppure procede in orizzontale, non riesco a capire come faccia, si gira, altri trilli, ripassa, accelera e si ferma.
Riparte, l’altro invece non si avvicina resta arretrato, più tranquillo.
Vengo lettereralmente bombardato di suoni, in sequenze improvvise e in altrettanto improvvisi stop, forse in attesa di risposte.
Io proprio non so cosa fare, è tutto così rapido, e sono completamente impreparato ad affrontare la situazione, sto fermo e ”’.. sono estasiato da tanto spettacolo.
Come già detto i due animali sono lunghi circa tre metri, peseranno almeno un duecento chilogrammi, sono del colore dell’acciaio chiaro, quei tipi di acciaio legati di ottima qualità.
Muscolosi, agilissimi, estremamente veloci in ogni movimento, attenti indagatori, muovono continuamente il capo controllando l’ambiente in ogni direzione, indagatori, emettendo continuamente suoni di tutti i tipi, fischi, trilli, ticchettii, in ogni tonalità.
Ora il solito bestione di colpo mi si ferma davanti, si gira verso di me, mi punta con il muso, avanza frontalmente, si avvicina lento e deciso.
Si ferma, il suo muso è a mezzo metro dal vetro della mia maschera, fermo, mi guarda, muove il capo come per annuire, gli occhi mi scrutano attraverso il vetro della maschera, i soliti trilli, e io l’unica cosa che riesco a fare è quella di abbandonare l’impugnatura del fucile.
Si, ho una paura folle, ma nello stesso tempo mi sento sicuro, so che potrebbe sbriciolarmi in un istante, ma so che non lo farà. Questo semplicemente mi sta parlando, con i suoni, con i movimenti del capo, con le pinne gesticola, con gli occhi mi comunica emozioni, nessuna minaccia.
Mi scruta benissimo, mi dice qualcos’altro, che io non posso comprendere ” .
Peccato che io non possa capire, questo parla e io non capisco.
Ma mi sorride, almeno questo riesco a percepirlo benissimo, mi sorride, ride, lo so che ride, anche gli animali ridono, lo so perché anche i miei cani ridono quando sono contenti.
E questo ora ha smesso di emettere suoni per comunicare, ora ride, vicinissimo, occhi negli occhi, ride di gusto.
Visto che non riesce a comunicare con i suoni ha deciso di comunicare con il corpo e con gli occhi, ma sono io che non so rispondere, lui si spiega benissimo.
Ci guardiamo bene,pochi istanti ma profondamente.
Non so se ride di più per quanto faccia ridere io goffo come sono o se ride per essersi divertito lui, o forse ride perché anch’io certamente sorrido.
Arriva una sequenza di richiami dall’altro, il delfino annuisce ancora con il muso, riparte veloce e mi sfiora, strano, mi sfiora subito veloce con tutta la sua massa eppure io non sento proprio nulla, nessun spostamento d’acqua.
E mi sarà passato a pochi millimetri.
Mi ripassano veloci davanti entrambi, annuendo e trillando forte in unisono, con un suono ora totalmente differente.
Ora ho capito benissimo, mi stanno salutando, li vedo girare, salgono veloci verso la superficie, li seguo con gli occhi da sotto, con la mano riprendo l’impugnatura del fucile precedentemente abbandonata.
Li sento ancora,seguo con gli occhi la linea sottile del naylon della boa, li vedo fermi sotto la mia boa, guardano i saraghi catturati nella mattinata e bloccati dal cavetto del carniere.
Ho capito, ora se li mangiano!!!
Invece no, vanno via tranquilli e spariscono.
Mi guardo intorno, tempo ne è passato, ma di fiato ne ho ancora per una risalita lenta e tranquilla.
I saraghi sono spariti, la grande triglia è ferma, appoggiata a un masso, con le pinne che vibrano.
Risalgo, è tempo di risalire, risalgo tranquillo, non c’è nessuna paura, sono rilassato, ma inizio a sentire il richiamo della superficie e di una bella boccata d’aria fresca.
Emergo, espiro piano, inspiro, mi rimetto il boccaglio, mi giro nella direzione presa dai delfini e guardo.
Il mare è olio, vicinissima c’è la barca dei francesi, non mi ero accorto che mi aveva aggirato, sulla barca gridano, le due belle donne sono in piedi, in tutto il loro non celato splendore femminile, e gesticolano verso di me, indicandomi vicino, mi indicano dei punti ove chiaramente i delfini hanno rotto la superficie.
Mi ritolgo il boccaglio, gli spiego di averli visti e incontrati sotto, intanto la barca mi scarroccia vicinissima, saluto, oggi è proprio una giornata speciale, indimenticabile!!!!!!!.
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