E’ successo in gara: una grossa cernia per Riccardo Molteni
Continuano i racconti di catture avvenute in gara da parte dei protagonisti nel nostro meraviglioso sport; questa volta tocca a Riccardo Molteni, grandissimo campione e pescatore ancora oggi in grado di pescare a ritmi di tutto rispetto.
Molteni con una cernia appena catturata
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Non c’è dubbio che i racconti di gara più interessanti, divertenti, con implicazioni comiche, drammatiche o avventurose sono normalmente quelli che riguardano le cernie; nelle competizioni infatti non capita spesso di catturare grossi pelagici come le ricciole o i grossi dentici e comunque la loro cattura difficilmente offre spunti e dettagli sufficienti per un approfondimento.
Il fatto che vi voglio raccontare risale al 1985, durante le terza giornata del campionato italiano svoltosi a Palau; erano altri tempi, quando ancora in gara si potevano catturare le cernie e se ne eri capace potevi portarne al peso anche dieci; a parlarne adesso in questi termini mi sento come quei vecchietti senza denti che masticano tabacco che si vedevano nei film western di qualche anno fa.
Il ricordo di quel campionato è ancora molto vivo anche per la conclusione rocambolesca; al termine della terza giornata infatti eravamo a pari punti io e Pippo Lo Baido ed entrambi avevamo un primo posto di giornata (Lo Baido nella terza giornata, Molteni nella seconda, n.d.r.); il regolamento non prevedeva altri criteri per risolvere l’ulteriore parità, così i giudici si trovarono a discutere se considerare la somma di punteggi, criterio che mi avrebbe visto in vantaggio, o il secondo miglior piazzamento; la scelta cadde sul secondo criterio e vinse Pippo (Lo Baido secondo nella seconda giornata, Molteni quarto nella prima, n.d.r.), con il quale ho comunque avuto sempre un ottimo rapporto di amicizia.
In quella terza giornata il campo di gara era a Spargi, una zona per altro ormai interdetta alla pesca, uno dei posti più belli di tutto il Mediterraneo.
Dopo aver finito di ispezionare tutte le zone individuate in preparazione cominciai ad esplorare alcune zone dove però non avevo segnali precisi; ad un certo punto identifico un grandissimo masso di granito, su un fondale di circa 23 metri; un masso di 15 metri di diametro, su un base di roccia e altri massi che impedivano di capire bene quale fosse la situazione degli strati sottostanti.
Decido comunque di fare un tuffo di esplorazione; mi affaccio in questo grandissimo antro che poi dava la possibilità di entrare, di spostarsi, una vera grotta delle fate e mi parte un cernione, un pesce davvero grosso che, con un colpo di coda poderoso, si infila in un buco alla base di questo sasso.
Il subacqueo risale dopo la cattura del serranide
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Il buco si trovava proprio al centro del sasso e andava verso il basso, sarebbe stato impossibile tentare di esplorarlo nello stesso tuffo; decisi quindi di risalire cominciando già a pensare come avrei dovuto impostare il tuffo successivo.
Preparo bene il tuffo, entro dentro questo sasso, mollo la cintura per potermi muovere più agevolmente senza il rischio di impigliare la sagola e mi infilo in questo camino, profondo almeno due metri, che finiva sulla sabbia; alla base di questo buco si aprivano una serie di corridoi che costituivano lo strato di base delle rocce su cui, a sua volta, poggiava questo grande masso.
Capisco che gli spazi sono importanti e intuisco una direzione nella quale il buco tende a stringersi e quindi a presentare angoli che ragionevolmente possono essere quelli in cui il pesce si rifugia; non individuo segnali precisi che mi diano la certezza che il pescione si trovi lì ma avverto come una specie di presentimento che quello sia il cunicolo giusto.
Non insisto nell’esplorazione del cunicolo ma comincio a cercare dall’esterno, sperando di scoprire dall’alto delle spaccature che comunicassero con la porzione di questo grande spazio che avevo individuato.
Faccio tre o quattro tuffi senza risultato; tra l’altro lo strato superiore era ben distante rispetto alla sabbia, circa due metri, quindi anche quando riuscivo a trovare degli scorci rispetto alla tana in realtà erano scorci poco significativi.
Mi convinco che l’unica soluzione sia tornare a guardare nel camino; a raccontarlo mi stupisco ancora di questa grande determinazione, anche perché era una tana abbastanza aperta; in altre situazioni avrei lasciato perdere ma era una situazione in cui l’istinto mi portava a scendere in quella zona: voglio andare a guardare la dentro.
Nel frattempo mi si era avvicinato Paolo Nurchis, anche lui impegnato in quel campionato, lo vedo affiancarsi e, ignorando le sue intenzioni, lo informo della situazione chiedendogli di usare il massimo del fair-play; la sua risposta mi lasciò stupefatto: ‘Stai tranquillo, io rimango qui e ti guardo’.
‘Come sarebbe a dire? Tu devi fare la tua gara’ gli risposi ma lui, imperterrito, insistette per rimanere ad osservarmi.
Cambio lampada, optando per una più potente, preparo bene un nuovo tuffo e scendo; solita scena, mi infilo sotto il sasso, poi dentro il camino, deciso questa volta a percorrere il più a lungo possibile questa spaccatura; mi ci infilo, un metro, due metri e intuisco che in fondo c’è qualcosa che non è l’angolo buio della tana ma una massa che potrebbe essere la cernia.
La cernia è sempre stata una delle prede preferite da Molteni
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Torno indietro e in superficie trovo sempre Nurchis al quale continuo a raccomandare attenzione e discrezione mentre lui insiste nel tranquillizzarmi dicendo che vuole solo guardare la mia tecnica di pesca.
Ma per uscire dovevi andare a marcia indietro?
Andavo a marcia indietro per un po’, poi c’era un punto dove il cunicolo si allargava su sabbia e già il fatto che sul fondo ci fosse sabbia era di per se rassicurante, inoltre c’erano delle lame di luce dall’alto che mi davano anche dei riferimenti per muovermi all’interno di questa spaccatura che, nella parte in fondo, sarà stata alta circa 60 cm.
Chiedo al mio barcaiolo di passarmi il Supersten con mulinello, al posto dello Sten che avevo in mano; infatti, se fossi arrivato alla determinazione di sparare, il tiro sarebbe stato molto lungo.
Preparo ancora una volta il tuffo in maniera meticolosa, entro dentro, mi infilo nel camino e poi nel cunicolo, fino al punto in cui difficilmente sarei potuto avanzare ulteriormente senza rischiare seriamente di rimanerci; devo dire che probabilmente oggi non lo rifarei ma con la determinazione di allora ritenevo che fosse un rischio che potevo correre; metto a fuoco bene e, ad almeno quattro metri dal punto in cui mi trovavo, individuo la sagoma del pesce; piazzo il fucile e sparo.
Capisco subito di aver colpito la cernia perché si scatena un rodeo infernale; comincio rapidamente a recuperare la sagola e mi rendo conto che il pesce deve essere stato preso in testa perché, per quanto facesse grandissima resistenza sbattendo da una parte all’altra, riuscivo a guadagnare metri di sagola in maniera abbastanza agevole.
Quanto sia durato quel tuffo non saprei dirlo; mi rendevo conto che se non l’avessi recuperata subito gli angoli, gli anfratti e le spaccature disponibili all’interno del cunicolo principale erano tali che mi sarei trovato in grandissima difficoltà per tirarla fuori nei tuffi successivi.
La cernia era presa bene, la fucilata era una fucilata seria perché erano fucili che, in quanto a potenza, non lasciavano alcun dubbio, capisco dal primo metro di trazione che il pesce tiene, riesco finalmente a prendere in mano il fondello dell’asta e mi rendo conto che è un vitello più che una cernia.
La mancanza dei piombi mi agevola un po’ il compito; con la mano destra tengo la testata del fucile, per evitare che si impigli nella volta di questa spaccatura, con la sinistra tento di indirizzare verso l’uscita la cernia con l’asta piantata nella testa.
Torno indietro, vado nel camino, faccio il giro, esco dal sasso, lascio la cernia e torno a galla filando il mulinello, avendo cura soltanto di tenere il pesce appena staccato dal fondo; l’operazione era praticamente risolta, per altro la cernia era presa molto bene in testa quindi non c’era neanche il rischio di perderla.
Arrivo a galla, mi riprendo da questo tuffo particolarmente impegnativo, chiamo il gommone e comincio a salpare la cernia; Nurchis, che nel frattempo si era goduto una mezz’oretta di spettacolo, mi fece i complimenti in acqua; una volta tornati a terra, commentando insieme la cattura, mi raccontò che quando avevo sparato alla cernia lui si era tuffato perché, pur senza volermi disturbare, era curioso, si era affacciato nella parte iniziale del cunicolo e non mi aveva trovato e si era chiesto dove fossi andato a finire!
La conclusione fu che questa cernia, di circa trenta chili (al peso 27,400 n.d.r.), risultò la cernia più grossa di tutto il campionato; un bel ricordo sia per il pesce davvero bello dal punto di vista sportivo, sia perché impegnativa anche se sempre e costantemente con assoluto controllo della situazione; non ebbi allora e non ho oggi ricordo o percezione di aver corso un rischio, di aver fatto una cosa al di là di quello che sarebbe stato corretto fare.
Questa è una storia che ogni tanto mi torna in mente, che è bello ricordare e che ho raccontato con piacere ai lettori di Apnea Magazine.
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